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Perché la flat tax non funziona nei paesi occidentali

Il modello della flat tax si è affermato finora in paesi con livelli di Pil molto inferiori a quelli dell’Europa occidentale, dove anche la domanda di spesa sociale è nettamente più bassa. Una sua introduzione in Italia richiederebbe tagli di spesa.

Quei paesi dove vige la flat tax

In generale, la flat tax è un’imposta sul reddito con aliquota unica, resa progressiva da una deduzione (riduzione dell’imponibile) o da una detrazione (riduzione dell’imposta) concessa a tutti i contribuenti. Il modello ha finora trovato applicazione in alcuni piccoli stati, spesso paradisi fiscali (ad esempio, Jersey, Hong Kong, Andorra e Belize), e soprattutto in molti paesi dell’Europa centro-orientale che un tempo facevano parte del blocco sovietico. Si tratta di un modello adattabile ai paesi occidentali?

L’economista americano Peter Lindert, nel suo libro Growing Public del 2004, sostiene che durante il Novecento la quota della spesa sociale sul Pil è aumentata per tre principali ragioni: l’aumento del reddito medio, l’invecchiamento della popolazione e l’espansione della democrazia. Nazioni più democratiche, con maggiore livello di reddito o con più anziani dovrebbero quindi avere una pressione fiscale superiore a quella di nazioni più arretrate sotto questi aspetti.

E infatti, per quanto riguarda il reddito medio, i paesi con flat tax si trovano a uno stadio di sviluppo economico ancora molto diverso da quello dei paesi occidentali, malgrado i progressi degli ultimi venti anni. La tabella compara alcuni indicatori – relativi al 2016 – dei paesi dell’Europa orientale con flat tax e delle principali economie dell’Europa dell’Ovest. Nel primo gruppo il Pil pro-capite va da un minimo di 3.765 euro per la Georgia a un massimo di 17.156 per l’Estonia, che è comunque inferiore al valore più basso – della Grecia – tra i Pil pro-capite degli stati del secondo gruppo.

La domanda di spesa pubblica

Stadi di sviluppo economico così lontani, come suggerisce Lindert, producono anche una diversa domanda di spesa pubblica in generale e sociale in particolare. L’incidenza della spesa pubblica è infatti mediamente del 35 per cento nei paesi europei con flat tax, di quasi 12 punti percentuali inferiore alla media di quelli dell’Europa occidentale con imposta progressiva sul reddito. Anche la spesa sociale – che nella tabella comprende pensioni, sanità e assistenza – è decisamente più alta nell’Europa dell’Ovest. È dunque logico che anche le entrate abbiano un’incidenza sul Pil assai inferiore (mediamente di 10 punti di Pil) nei paesi orientali.

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Certo sarebbe possibile immaginare una flat tax con elevata aliquota, in grado di raccogliere un gettito simile a quello delle imposte progressive per scaglioni, ma sia nel dibattito italiano che nei paesi dell’Est la flat tax si caratterizza di solito per un’aliquota molto bassa.

Una flat tax a bassa aliquota riesce – assieme alle altre imposte – a finanziare i bisogni di spesa sociale di questi paesi proprio perché sono ancora contenuti, in linea con il basso livello del Pil. Dove invece la spesa pubblica è molto elevata, come in Italia, l’adozione di una flat tax ad aliquote basse potrebbe rendere impossibile finanziare gli attuali livelli di spesa pubblica e costringere a tagli significativi. In molti dei paesi che hanno optato per la flat tax il gettito dell’imposta sul reddito è diminuito dopo il passaggio all’aliquota unica, con l’eccezione della Russia, anche se in quel paese la tenuta delle entrate sembra sia da attribuire ad altri fattori concomitanti (la ripresa del ciclo economico, la maggiore severità del contrasto all’evasione).

Di per sé, una riduzione della spesa di qualche punto di Pil potrebbe non essere un male, visto che probabilmente una delle cause del declino economico italiano sta nella continua espansione della spesa pubblica e, a ruota, delle entrate necessarie per finanziarla. Non sempre, però, c’è la consapevolezza che il dibattito sulla flat tax ne richiederebbe necessariamente anche un altro, non meno importante, sul livello ottimale di spesa pubblica.

Il modello della flat tax sembra dunque essersi affermato finora in paesi con livelli di Pil molto inferiori a quelli dell’Europa occidentale, con conseguente minore quota di spesa sociale. In futuro, tuttavia, almeno due dei tre fattori indicati potrebbero spingere verso una crescita della spesa sociale, mettendo in crisi il sistema con flat tax ad aliquota bassa: se il Pil convergerà verso i livelli dell’Europa dell’Ovest e se l’invecchiamento della popolazione continuerà, i cittadini chiederanno un aumento della spesa sociale, soprattutto per pensioni e sanità.

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Da un punto di vista politico, invece, i paesi con flat tax sono spesso democrazie con preoccupanti tendenze involutive, e in democrazie fragili c’è una minore domanda di spesa sociale. Quindi su questo aspetto c’è più incertezza. Ma un’evoluzione in senso più democratico potrebbe mettere in difficoltà la flat tax. Segnali di ripensamento cominciano già a vedersi, tanto che negli ultimi anni alcuni paesi l’hanno abbandonata, in genere passando dall’aliquota unica ad uno schema con due o tre aliquote. La Serbia è ad esempio passata dall’aliquota unica del 14 a tre aliquote: 10-20-35 per cento, la Repubblica Slovacca da 19 a 19-25 per cento, la Repubblica Ceca da 15 a 15-22 per cento, l’Albania da 10 a 10-25 per cento, la Lettonia dal 25 per cento su tutti i redditi a tre aliquote (20-23-31.4 per cento). Rimangono con la flat tax Russia, Estonia, Lituania, Romania, Macedonia, Bosnia-Erzegovina, Bielorussia, Bulgaria, Georgia, Ucraina e Ungheria. La Polonia, l’economia più importante dell’Europa orientale dopo la Russia, non ha mai avuto la flat tax, ed ora ha due aliquote (18 e 32 per cento).

*Questo articolo è stato originariamente pubblicato l’8 gennaio 2019.

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18 commenti

  1. Henri Schmit

    Nella discussione di questo tema il confronto empirico è interessante, ma non decisivo. Per completezza citerei anche gli USA, così indifferente all’uguaglianza sostanziale (è quello il concetto che conta davvero, sottintendendo che l’uguglianza solo formale è un inganno), ha mantenuto con Trump cinque scaglioni, di cui l’ultimo che si applica ai redditi di oltre 500.000$ è appena stato limato (dal 39,4 al 37%) con la riforma di due anni fa. La proporzionalità è un corollario delle’uguaglianza. Matematicamente vera proporzionalità è proporzionalità con progressività costante (e infinita! per quanto scandaloso possa suonare). Questi argomenti servivano 12-18 mesi fa prima che l’opinione pubblica fosse intossicata dalle idee diffuse dai geni dell’IBL e che gli apprendisti stregoni fossero armati dei veleni più insidiosi.

  2. graziano camanzi

    Bell’articolo. Ma mi pare che manchino alcune informazioni di start che lo rendono meno bello. Queste.
    Oggi quanti soldi entrano con la tassazione attuale, al netto di tutte le cose?
    Che valore percentuale ha sul reddito dal quale vengono presi?
    Quanti soldi perderemmo con le varie ipotesi di flat tax proposte?
    Da qui in poi si potrebbe ragionare in modo più articolato anche di altri aspetti, tipo il recupero di un bel po’ di sommerso, per esempio. E altro. Ma le info di base servono. Pre me.

    • Andrea

      Può trovare sul sito vari articoli sullo stesso argomento degli stessi autori.

  3. Henri Schmit

    Per valutare l’idea discussa il confornto empirico è interessante, ma non pesa quanto un’altra considerazione, teorica, di giusitizia fiscale e sociale. Il punto è che l’uguaglianza formale senza uguaglianza sostanziale è un inganno. La proporzionalità è un corollario dell’uguaglianza. Matematicamente vera proporzionalità fiscale non è né una linea flat, né una leggera progressività, ma, almeno tendenzialmente, una proportionalità di costante progressività, una diagonale retta e infinita (per quanto scandaloso questo possa suonare; ma penso che Bill Gates mi darebbe ragione). Tornando all’empirico, comunque sempre da considerare per verificare possibili effetti applicativi non previsti, faccio notare che gli USA di Trump – notoriamente poco credenti nell’ugualgianza sostanziale – hanno mantenuto cinque aliquote di cui la più alta, che si applica a redditi di oltre 500.000$, è stata appena limata dal 39,4 al 37% con la riforma fiscale di due anni fa. Questi discorsi accademici servivano 12 a 18 mesi fa, prima che l’opinione pubblica fosse intossicata con il veleno particolarmente insiduoso (perché presentato come una medicina) fabbricato dai geni dell’IBL e diffuso dagli apprendisti stregoni populisti.

  4. Enrico Falcone

    Ho particolarmente apprezzato l’articolo dei dr.ri Massimo Baldini e Leonzio Rizzo.
    Una personale considerazione sulla questione.
    Con la struttura sociale italiana caratterizzata, in particolare, da elevata vita media, concentrazione della ricchezza/risparmio nelle classi di età più anziane, spesa sociale assorbente e difficilmente moderabile per pensioni-sanità , l’applicazione di una flat tax (anche pluri -aliquota) innescherebbe ulteriori elementi di conflitto generazionale assolutamente non auspicabili con i “venti di ribellione sociale ” che vanno imperversando intorno.

    • Carlo

      Purtroppo la flat tax per le p.iva è già arrivata e la provincia di Trento, ad empio, perde la bellezza di 70 milioni e quindi taglierà di sicuro i servizi.

      • Andrea A.

        Se sta parlando delle sconti entro 65k e 100k euro credo che la flat tax stessa si arrabbierebbe ad essere confusa con strumenti del genere.

  5. Michele Lalla

    Condivido le osservazioni di Henri Schmit, di stampo costituzionalista (ah! Su questo tema il mio articolo rifiutato da Lavoce.info) e sottolineo il passaggio “visto che probabilmente una delle cause del declino economico italiano sta nella continua espansione della spesa pubblica” perché mi lascia perplesso per vari motivi. Su tutti rilevo il logoramento delle istituzioni pubbliche: ogni volta che si sente dire che si taglieranno le spese inutili, il cittadino avveduto sa che si ridurrà l’efficienza dei servizi. Con un esempio chiudo: si è detto sui media che questo governo taglierà le spese inutili della Sanità. Ecco, è molto probabile che vi siano delle spese inutili in Sanità, che è una delle migliori al mondo e è universale, ma a volte anche quelle spese inutili sono funzionali! In conclusione, bisogna far funzionare meglio la macchina amministrativa intervenendo sui punti nodali ostacolanti … Non ridurre le tasse, ma farle pagare ugualmente a tutti … Combattere la corruzione che è diffusa e insostenibile.

  6. Davide K

    Articolo, perdonatemi, di cui non capisco il senso.
    Affermare, facendola breve, che per sostenere una spesa pubblica molto elevata occorrano forti entrate fiscali, è solamente una banalità, una ovvietà.
    Che non dimostra affatto come la flat tax “non funzioni”.
    Che con questi livelli di spesa pubblica sia difficile ridurre la pressione fiscale è evidente. Il punto è proprio che la spesa non è affatto una variabile indipendente, ma una scelta.
    Specie per quanto riguarda le pensioni: esistono sistemi a capitalizzazione, e non è di certo indispensabile mettere in piedi schemi Ponzi come il nostro, regalando pensioni senza senso.
    Le analisi dell’IBL in merito, perdonatemi ancora, ma sono molto più avanti: si parla tra le altre cose di uno spostamento dalle imposte dirette a quelle indirette (ma zero patrimoniali), per non penalizzare eccessivamente chi produce ricchezza.
    Comporterebbe anche una maggiore equità fiscale, in quanto, tassando in modo più omogeneo, si otterrebbero meno effetti discriminatori (il nostro sistema fiscale oggi ne fa troppe, tra figli e figliastri) e meno effetti distorsivi sul sistema economico.
    Tra l’altro anche affermare che i paesi con pil pro capite elevato abbiano alti livelli di spesa, è sì vero, ma è anche la fotografia di un mondo occidentale in seria crisi.
    Le alternative ci sono, e le riduzioni di spesa di tanti paesi occidentali negli ultimi decenni (UK e Germania in primis) lo dimostrano.

    • Henri Schmit

      Condivisibile l’affermazione realtiva ad un augurabile spostamento dalle imposte dirette verso quelle indirette. Ma insinuare nello stesso passaggio che 1. l’equità fiscale e 2. l’utilità di favorire la produzione di ricchezza (due obiettivi condivisi) che occorre abolire la tassazione patrimoninale (scil. immobiliare) necessiterebbe quanto meno qualche spiegazione in più, a meno di aver fretta, come ormai di prassi comune, e quasi virtù, in questo paese.

      • Davide K

        Certamente, la questione andrebbe approfondita.
        Nel frattempo, facevo più che altro notare come questa fosse la proposta IBL relativa alla flat tax.
        Sull’imposizione patrimoniale, in tanti pensano che sia poco distorsiva; io al contrario trovo che sia enormemente distorsiva, perchè mina alla base la proprietà privata, fondamento di ogni sistema economico funzionante, insieme a scelte di lungo periodo su consumi e risparmio. Aspetto che viene sempre ignorato da chi la sostiene. Il primo aspetto per favorire la produzione di ricchezza è lasciarla nelle mani dei proprietari, anzichè espropriarla.
        Vengono inoltre spesso fatti esempi come Svizzera o Usa, ma la realtà è che questi sono paesi con pressione fiscale complessivamente molto minore alla maggior parte dei paesi avanzati.
        Non mi pare ci siano esempi funzionanti di imposizione patrimoniale, abbinata ad alti livelli di spesa e pressione fiscale.
        Se non erro, persino nei paesi scandinavi hanno capito che non funziona, e l’hanno progressivamente ridotta, portandola sotto la media Ocse (https://data.oecd.org/tax/tax-on-property.htm).
        Comunque il concetto di base è che bisogna ridurre la spesa, non giustificarla.
        E, per questo, “affamare la bestia” potrebbe essere utile, visto che, come diceva Mises, i governi diventano liberali solo quando vi sono costretti dai cittadini.

        • Henri Schmit

          Non per insistere e aver ragione, ma per capirci meglio. Condivido il criterio utilitaristico che le tasse non devono ostacolare la creazione di ricchezza, l’investimento e la produttività. Ma non comprendo il concetto della distorsione applicato alla tassazione della proprietà privata: distorce che cosa? A mio parere si tratta, logicamente prima del critrio utiliaristico, di una questione di equità, di patto sociale. Senza patto non c’è proprietà, ma solo possesso, difeso con la forza. Per godere in pace della proprietà e farla sfruttare, devo remunerare quello che me lo consente, che mi garantisce la possibilità dell’uso pacifico e dello sfruttamento. Non c’è ovviamente ragione di detassare la prima casa; meglio creare abattimenti per nucleo e persone a carico. Corretto invece non tassare il patrimonio mobiliare, per ragioni di utilità: in un mercato aperto trova tanti modi per fuggire senza farsi notare. I dati OCSE mostrano anche il livello alto della tassazione immobiliare in UK, paese con tanti problemi, ma con una tassazione efficiente, non dannosa per l’attività economica.

  7. Non direi che il nostre welfare è insostenibile in quanto il saldo primario è positivo. Semmai gli interessi pagati per il debito, elevati, vessano la nazione, ma questa è una questione di politica monetaria e di architettura sbagliata dell’istituzione monetaria europea, dove l’emissione del debito e creazione monetaria è in integralità in mano ai mercati.
    La flat tax, se il suo finanziamento comporterà tagli all’istruzione e alla sanità, certo metterà in pericolo il nostro modello economico ad alto valore aggiunto per qualità e innovazione. Mi diranno che gli US sono un modello analogo ma a bassa spesa welfare; sbagliato, gli US non sono la California. E inoltre lì la FED interviene a sostegno delle imprese.

  8. dave

    a me pare che l’articolo parta da una considerazione di fondo per me errata, ossia: tutti pagano le imposte e la spesa pubblica non è inefficiente per cui diminuire le imposte costringe ad un taglio secco della spesa pubblica.
    la verità delle cose in Italia è per me assai differente dal presupposto logico dell’articolo. per cui è forse meglio iniziare a pensare serimanete ad alleggerire il peso fiscale di coloro che ancora producono reddito alla luce del sole e renderlo attraente per tutti coloro che vorrebbero uscire allo scoperto e normalizzarsi perchè penso che nessuno sia d’avvero convinto che “il nero è bello”. circa il capito spesa pubblica penso che vi sia un oceano da esplorare alla ricerca di risparmi e maggiore efficienza. da qui alla flat tax ne passa.

  9. Henri Schmit

    Alla faccia della proposta IBL e dei numerosi sostenitori su questo blog copio l’estratto di un articolo contro Trump pubblicato oggi su The Guardian da un repubblicano: Quote: Which is why more than 75% of us (including 45% who call ourselves Republicans) support Alexandria Ocasio-Cortez’s proposed 70% tax on dollars earned in excess of $10m a year. And over 60% of us support Elizabeth Warren’s proposed 2% annual tax on households with a new worth of $50m or more. Unquote. Domanda: perché in Italia, il paese con un debito pubblico del 133% /PIL, un’evasione fiscale senza paragone, un’evasione IVA record in UE (tre volte F e D, più di 10 volte LX, 20 volte Svezia) e vantaggi fiscali enormi per ricchezza improduttiva (assicurazione vita = 10.000 miliardi!!!), anche l’accademia milita a favore di una flat tax???

  10. Alessandro Sciamarelli

    Francamente, a me sia l’analisi sia le conclusioni riportate nell’articolo paiono ineccepibili. Cose che dovrebbero essere ovvie. Una flat tax simile a quella contenuta nel programma di governo (oltre ai problemi di costituzionalita’ su cui sorvolo) comporta una perdita di gettito sostanziale, recuperabile unicamente a patto di aumentare considerevolmente l’aliquota. L’alternativa e’ ridurre proporzionalmente alla perdita di gettito il perimetro di spesa pubblica. Ma come questo possa conciliarsi con l’aumento della spesa pensionistica (perlomeno per i prossimi 3 anni) dovuto a quota 100 e’ cosa che desta quanto meno ilarita’. L’unica altra opzione, se proprio non si puo’comprimere la spesa pubblica e/po pensionistica, e’ aumentare l’imposizione indiretta (Iva ecc.) che e’ regressiva (e recessiva) per definizione, perche’ ricade sulle fasce della popolazione a maggiore propensione al consumo. Siamo l’unica economia dell’area euro e dell’OECD in cui avviene un dibattito surreale come questo. Il che la dice lunga.

  11. Danilo Mevo

    Se la flat Tax presume una riduzione della spesa sociale ( sarebbe interessante sapere qualcosa di più sui sistemi di welfare nei paesi dell’ est che la adottano – ho letto qualcosa sulla privatizzazione del sistema pensionistico in Ungheria – i quali oltretutto ripianano i loro bilanci con i contributi che gli diamo noialtri europei), come fa il capo della Lega a proporre una riforma così ultraliberista e nello stesso tempo promettere più pensioni, migliore assistenza sanitaria, più fondi per i disabili, asili gratis, più polizia, e chi ne ha più ne metta….Troppe parti nella commedia!

  12. Lorenzo

    Ho già commentato in proposito: Uniformare i contribuenti da 65k€ con una flat tax del 15% (rimangono comunque più di 50k€) ai contribuenti da 15k€ (che al limite andrebbe con una flat tax del 5%) che dovranno sopravvivere con meno di 13k€, è un disegno da criminali. Che poi possa essere eseguito da FdI e dalla Lega con Berlusconi deus ex machina è semplicemente grottesco.

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