Il nucleare è tornato nell’agenda politica, ma ancora la divide. Nei programmi elettorali si ritrova un ampio ventaglio di opinioni, con diversificazioni anche all’interno delle stesse coalizioni. Un segnale positivo è l’attenzione di tutti alla ricerca.
La politica e il nucleare
La pubblicazione dei risultati dello stress test della rete elettrica tedesca in vista dell’inverno sta causando nervosismo nella coalizione verde-giallo-rossa guidata da Olaf Scholz. Al centro del dibattito le centrali nucleari ancora in funzione in Germania: mantenere il programma di spegnerle entro l’anno, come deciso all’indomani di Fukushima, o prolungarne il funzionamento per far fronte alla crisi energetica che con l’inverno peggiorerà? Se a Berlino il nucleare è tornato al centro dell’attenzione così come a Tokyo, anche da noi una delle parole più vituperate del dizionario è riapparsa in tutti i principali programmi elettorali. Con punti di vista e livelli di approfondimento assai diversi.
Le scelte tedesche
Il test della rete elettrica tedesca, voluto dal Bundesministeriums für Wirtschaft und Klimaschutz (il Ministero per l’Economia e la salvaguardia del clima), voleva determinare se la Germania avrà una capacità di produzione di elettricità sufficiente nell’ipotesi che le centrali nucleari siano spente, come previsto, alla fine dell’anno. L’analisi ha tenuto conto degli sviluppi sui mercati energetici seguiti alla guerra: vista l’esplosione dei prezzi del gas, ci si aspetta che crescerà la domanda di energia elettrica per il riscaldamento. Stando al comunicato del Ministero guidato dal verde Robert Habeck, pur essendo «una crisi oraria nel sistema elettrico nell’inverno 22/23 molto improbabile», «al momento non può essere del tutto esclusa».
Uno scenario di blocco energetico della locomotiva tedesca sarebbe ovviamente assai grave, e infatti si conclude che «per garantire che non vi siano carenze di carico o interruzioni di corrente dovute a situazioni di stress della rete nel prossimo inverno, sono necessarie ulteriori misure per rafforzare la sicurezza della rete». Visto il rapporto, Habeck propone di lasciare due delle tre centrali nucleari ancora in funzione collegate alla rete come riserve di emergenza, ma i liberali e voci del mondo economico tedesco premono affinché gli impianti a fissione rimangano in servizio per far fronte alla crisi energetica.
Le proposte dei partiti italiani
La crisi irromperà anche nell’agenda del prossimo governo italiano. Non sorprende quindi che anche da noi si torni a parlare di nucleare, vocabolo che era praticamente scomparso dai programmi delle elezioni politiche del 2018, almeno nelle versioni depositate al Ministero dell’Interno.
Azione-Italia viva dedica all’energia un’elaborata riflessione, che si articola in tre fasi temporali, l’ultima delle quali prevede in modo esplicito il ricorso al nucleare. Il breve periodo, ove raggiungere l’indipendenza dal gas russo; il medio termine, per ridurre del 55 per cento le emissioni di CO2 entro il 2030 con fonti rinnovabili; e il lungo periodo, dove entra in gioco il nucleare per contribuire ad arrivare a emissioni zero nel 2050. Secondo la coalizione di Carlo Calenda, la forte elettrificazione degli usi di energia richiesta dall’obiettivo di emissioni zero dovrà basarsi su «un mix ottimale con rinnovabili e nucleare», «impiegando le migliori tecnologie disponibili». Tecnologie che emergeranno dalla ricerca: ad esempio Small Modular Reactors o i reattori di quarta generazione per la fissione, e i futuri reattori a fusione (il nucleare pulito senza scorie di lunga durata) sui quali si registra in questi mesi una significativa crescita dell’interesse industriale.
La coalizione di Centrodestra dedica al nucleare una scarna citazione nel suo accordo quadro di programma, prevedendo il «ricorso alla produzione energetica attraverso la creazione di impianti di ultima generazione senza veti e preconcetti, valutando anche il ricorso al nucleare pulito e sicuro». La vaghezza riflette probabilmente una diversità di vedute all’interno della coalizione. Ampio spazio all’atomo viene infatti dato dalla Lega, che ricorda l’inserimento del nucleare nella tassonomia europea e valuta «la tecnologia dell’atomo» come «quella che, combinata alle rinnovabili, sarà imprescindibile nel medio-lungo termine per consentire di perseguire gli obiettivi di decarbonizzazione con emissioni nette zero al 2050». Posizione che emergeva già in aprile da un amministratore leghista generalmente cauto e molto popolare come il presidente della Regione Veneto Luca Zaia, che alla domanda de Il Gazzettino «Se accetterebbe una centrale nucleare in Veneto», rispondeva: «Io non soffro di feticismo energetico, non ho posizioni precostituite. Dico semplicemente che questo paese deve mettere attorno al tavolo i massimi esperti e darsi un piano energetico nazionale». Molto più sintetica Forza Italia, che dice «sì al mininucleare pulito di quarta generazione e alla ricerca sul nucleare pulito a fusione», mentre Fratelli d’Italia si limita a un laconico «investire nella ricerca sul nucleare di ultima generazione». Se dopo il 25 settembre un rappresentante del Centrodestra sarà chiamato a Palazzo Chigi, è probabile che all’interno del governo la dialettica sul nucleare non sia trascurabile.
Nel campo del Centrosinistra, il Partito democratico promette investimenti immediati che devono però «concentrarsi sull’energia pulita e non inseguire la discussione sulla costruzione di centrali nucleari: perché i tempi di realizzazione e le tecnologie esistenti non sono compatibili con una riduzione significativa delle emissioni entro il 2030 e non risolvono i problemi ambientali ad esse associati». Un no secco che soffre però di un orizzonte temporale limitato. Il percorso per la riduzione delle emissioni non termina certo nel 2030 e la stessa Agenzia internazionale dell’energia (Iea) afferma che «l’energia nucleare gioca un ruolo significativo in un percorso globale sicuro verso lo zero netto di emissioni». Giudicarne l’efficacia solo sul breve termine è limitante. Interessante, comunque, la proposta Pd di un «Fondo nazionale compensativo anti-Nimby, finalizzato proprio alle politiche di compensazione nel dialogo costruttivo con i territori» che pone al centro un elemento cruciale per la transizione energetica, ovvero l’alleanza e il dialogo tra istituzioni e cittadinanza. Un’idea che trova eco, sul fronte opposto, nella Lega, che propone campagne informative di alfabetizzazione energetica.
Altrettanto netta l’Alleanza Verdi-Sinistra, che ricorda come «la scienza vada ascoltata: senza una forte accelerazione nelle politiche per il clima (…) non saremo in grado di limitare il surriscaldamento globale entro la soglia di sicurezza di 1,5 gradi». Ma, evidentemente, la scienza non va ascoltata quando suggerisce di valutare un paniere energetico diversificato che sfrutti tutte le forme di energia libere da CO2: il no all’uso dell’atomo è secco, anche se si apre al mantenimento di un’attività di ricerca. Più sfumata la posizione di +Europa che vuole «rafforzare la ricerca e la cooperazione scientifica italiana per lo sviluppo di reattori a fusione nucleare, Smr e mini reattori modulari di ultima generazione», ma non si pronuncia sull’uso del nucleare negli scenari energetici.
Negativo infine anche il parere del Movimento Cinque stelle, che vuole la prosecuzione del corposo impegno italiano nella sperimentazione sulla fusione, ma giudica la fissione nucleare «non adatta per effettuare la transizione energetica» e punta invece a «un modello decentralizzato», «in modo da concretizzare quel concetto di “democrazia energetica” più volte auspicato, che assieme all’efficienza e alla sobrietà dei consumi, assicuri il massimo benessere energetico a tutti».
Un ampio ventaglio di opinioni, quindi, con diversificazioni tra forze politiche anche all’interno di una stessa coalizione. Il nucleare è tornato nell’agenda politica, ma ancora la divide. Un segnale positivo, che speriamo trovi conferma nei fatti, è l’attenzione trasversale alla ricerca: da Enrico Fermi in poi fisica e ingegneria nucleari italiane hanno una ricchissima tradizione e potranno continuare sia a dare un fondamentale contributo allo sforzo mondiale per mitigare i cambiamenti climatici sia a essere motore di occupazione e crescita industriale made in Italy.
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Lorenzo
Il nucleare è un punto interrogativo sul futuro.
Il tempo perso nell’installazione di impianti da energia rinnovabile è il presente.
Daniele Migliazzi
Oggi ho parlato con mio figlio, ad elezioni ormai avvenute, e sono rimasto colpito e spiazzato da alcune sue considerazioni su ambiente ed energia nei programmi dei partiti. Mi ha detto di aver approfondito l’argomento (al quale ha attribuito un peso prioritario per la scelta del voto) e di aver constatato – sulla base di analisi e valutazioni (con tanto di voto numerico) di diversi esperti presenti nei social (che non frequento ) – che i programmi più chiari, concreti ed attendibili in materia di ambiente e di energia (anche nucleare) erano quelli di Calenda e della Lega mentre quello del PD risultava insufficiente e inadeguato. Questo sembra in linea con le considerazioni da lei svolte nell’articolo, espresse peraltro con molta (troppa? le chiedo) prudenza. Se fosse vero che il programma del PD, di cui sono elettore, è generico e inadeguato sarei molto deluso ed arrabbiato. Mi piacerebbe conoscere più a fondo la sua opinione sul tema. Di voi mi fido.
Grazie, se potrà rispondermi.
P.S. Vedrò, per quel che ci capisco, di recuperare i programmi dei partiti sull’argomento.