Lavoce.info

Un Parlamento rinnovato a metà

Com’è composto il nuovo Parlamento? FdI a parte, per tutti i partiti si riduce il numero degli eletti. Vecchi e nuovi parlamentari si equivalgono. Le pluricandidature sembrano aver assolto la loro missione di eleggere i candidati prescelti dai partiti.

Reclute e veterani

In un precedente articolo abbiamo commentato l’esito di una simulazione sulla composizione del nuovo Parlamento nel caso in cui i partiti classificati di centrosinistra avessero chiesto agli elettori di votare alleanze diverse da quelle che hanno effettivamente partecipato alla contesa elettorale. Ci occupiamo qui di analizzare altri due risultati delle elezioni politiche di settembre: il livello di rinnovamento dei parlamentari e l’efficacia delle pluricandidature.

La riduzione del numero di seggi della Camera e al Senato ha comportato necessariamente che nessun partito possa avere candidato tutti i suoi parlamentari uscenti. Con la sola eccezione di Fratelli d’Italia, che ha triplicato i suoi rappresentanti, nessun partito è neanche riuscito a eleggere lo stesso numero di senatori e deputati della volta precedente, non solo per effetto della riforma costituzionale, ma anche per il risultato elettorale ottenuto. Il gruppo della Lega si è ridotto di un centinaio di unità e quello del Movimento Cinquestelle di un’ottantina sui numeri di fine XVIII legislatura, già dimezzati rispetto al risultato del 2018. Tutti i gruppi si sono dimezzati, o quasi. Per il Partito democratico la riduzione è stata di un quinto, avendo già “beneficiato” dell’uscita di un certo numero di parlamentari che hanno costituito Italia viva. Nelle ultime elezioni il partito guidato da Enrico Letta ha raccolto una percentuale di voti dello stesso ordine di grandezza del 2018 e avrebbe incrementato il numero dei suoi parlamentari se ipotizziamo che nella passata legislatura il loro numero complessivo fosse già stato di 600 membri, distribuiti tra i partiti con la stessa percentuale del Parlamento a 945 membri.

La riforma costituzionale sul numero di parlamentari e le scelte degli elettori hanno sbarrato le porte del Parlamento anche a politici di lungo corso o con una certa notorietà pubblica. Gli scranni degli emicicli di Palazzo Madama e Palazzo Montecitorio sono però occupati nella stessa proporzione da veterani, considerando tali i parlamentari che lo erano anche nella XVIII legislatura, e reclute, anche se non si deve escludere che tra queste ultime siano stati eletti candidati che erano stati parlamentari in passate legislature. D’altronde, la distinzione tra veterani e reclute non sottende alcun giudizio di valore, tanto più che la presenza massiccia delle seconde nella precedente legislatura non si è rivelata del tutto apprezzabile. In Senato la percentuale di veterani è di pochi punti superiore a quella della Camera. I casi di trasloco da un ramo all’altro del Parlamento sono una minoranza: circa nove su dieci dei deputati riconfermati sedevano sui banchi della Camera già nella XVIII legislatura; il tasso di riconferma dei senatori è di due su tre.

Leggi anche:  Un colpo di spugna sulle rivendicazioni delle regioni?

L’elevato numero di parlamentari che nella passata legislatura è migrato da un gruppo parlamentare a un altro – non pochi di loro con più di un passaggio – rende complesso, e forse anche di scarso interesse, ricostruire la precedente appartenenza dei singoli parlamentari riconfermati. Considerando la sola appartenenza ai gruppi parlamentari che si sono formati nell’attuale legislatura (Figura 1), la Lega risulta il partito in cui è netta la prevalenza degli eletti già presenti nella passata legislatura, soprattutto al Senato, dove superano l’80 per cento. Per FdI la composizione è quasi speculare, con oltre il 70 per cento dei suoi parlamentari costituita da matricole; più che una scelta, è un esito obbligato dell’effetto convergente della sua ridotta presenza nel precedente Parlamento e del successo elettorale.

L’effetto delle pluricandidature

I partiti non hanno offerto a tutti i loro candidati le stesse opportunità di essere eletti. Ogni partito riteneva di essere forte in alcune aree del paese, dove sarebbe stato più facile eleggere i suoi canditati nei collegi proporzionali o prevalere in quelli uninominali. Tali collegi sono stati assegnati ai dirigenti di primo piano dei partiti e a personalità di area. In più, per aumentare la probabilità della loro elezione, un certo numero di loro è stato candidato in più collegi. In totale, le pluricandidature sono state nel complesso più di mille, delle quali due terzi alla Camera e la parte restante al Senato.

I risultati del voto permettono di misurare l’efficacia delle pluricandidature, nella cornice del diverso consenso elettorale ricevuto da ogni forza politica. Oltre un quarto dei 600 membri del nuovo Parlamento è stato eletto in almeno due collegi. Essi costituiscono quasi un terzo dei pluricandidati dei soli partiti che hanno un rappresentante. Restringendo il campo di osservazione all’insieme dei partiti che hanno potuto costituire propri gruppi parlamentari, il rapporto si avvicina al 45 per cento, una percentuale di circa tre volte superiore a quella calcolata per i candidati in un solo collegio: un pluricandidato su due è diventato senatore o deputato, contro uno su sei per i candidati che non hanno goduto del beneficio delle candidature multiple (Figura 2). Di questo scarto si sono avvantaggiati in misura differente i pluricandidati dei vari partiti. L’apertura della forbice è più stretta per il Pd e per FdI, i partiti con il maggior numero complessivo di parlamentari e con la minor quota eletta in più di un collegio.

Per i pluricandidati, le elaborazioni sui risultati elettorali evidenziano una dipendenza della probabilità della loro elezione dal numero di collegi assegnati: l’aumento della prima dipende dalla crescita del secondo. La dipendenza è evidente, anche se non perfettamente lineare: la percentuale del 79 per cento di eletti per i candidati in quattro collegi è di quattro punti superiore a quella dei candidati cui ne furono assegnati sei (Figura 3).

Leggi anche:  Autonomia differenziata: c'è molto da rifare

Nel complesso, con l’elezione di quasi la metà dei pluricandidati dei partiti presenti in Parlamento, si può ritenere raggiunto in buona misura uno degli obiettivi dell’escamotage: garantire la presenza in parlamento di tutti i leader dei partiti e dei dirigenti e personalità da essi scelti. Resta da dimostrare l’efficacia delle candidature multiple di “persone importanti” rispetto all’altro obiettivo che potrebbe motivarle: attrarre più elettori nei collegi prescelti. Ma su questo occorre rinviare la valutazione.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Maratona regionali 2024: cosa dicono i numeri dopo la Basilicata

Precedente

Il maggioritario introvabile: partiti concorrenti dentro coalizioni apparenti

Successivo

Divari di genere dopo la pandemia

  1. lorenzo

    Mi sbaglio o è un ritorno al sistema con le “multipreferenze” già abrogato con referendum 30 anni fa?

    • raffaele lungarella

      direi di no. con le pluricandidature la persona è sempre la stessa, per la quale è come se si chiedessero più preferenze.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén