Il Rosatellum permette fino a cinque candidature in collegi plurinominali per la stessa persona, oltre a quella all’uninominale. In attesa di sapere quanto questa opzione verrà sfruttata dai partiti alle prossime elezioni, analizziamo l’uso che ne se fece nel 2018.
In previsione delle prossime elezioni del 25 settembre, le forze politiche sono all’opera sulle alleanze ma devono anche far quadrare i conti delle candidature. I vertici dei grandi partiti nazionali, che sicuramente avranno una rappresentanza in parlamento, negoziano con le loro dirigenze locali la richiesta di ospitare candidati indicati da Roma, senza legami con le realtà locali, in collegi uninominali “blindati” oppure nelle prime posizioni delle liste plurinominali. Per ragioni diverse, anche i piccoli partiti, persino quelli con scarse probabilità di eleggere qualche parlamentare, catapultano propri dirigenti o militanti in collegi uninominali o circoscrizioni plurinominali che non sono quelli dei territori dove essi risiedono.
Si voterà con il Rosatellum, un sistema elettorale con cui i parlamentari sono eletti per circa due terzi con il sistema proporzionale e il restante terzo in collegi uninominali. Come avviene in ogni sistema uninominale, indipendentemente dal fatto che con esso si eleggano tutti o una parte dei parlamentari, anche con il Rosatellun per l’elezione della quota uninominale ogni persona può essere candidata in un solo collegio; nella quota proporzionale, invece, la stessa persona può essere candidata al massimo in cinque circoscrizioni.
Le pluricandidature per “spirito di servizio”
Il fenomeno non è nuovo. Con la disponibilità delle prossime liste di candidati si potrà verificare se esso si è allargato o ristretto. Intanto, per dare un’idea della sua dimensione e definire un riferimento per un raffronto con il quadro che risulterà dall’esame delle candidature alle prossime elezioni, sono state elaborate le informazioni contenute nel file sulle candidature per la Camera dei Deputati alle elezioni del 4 marzo 2018.
Nei sessantatré collegi plurinominali le candidature furono 4.188 e i candidati 3.566, di cui 399 presenti in due o più collegi (pluricandidati), per un totale di 1.021 candidature. I pluricandidati costituirono poco più di un decimo dei candidati ma pesarono per quasi un quarto sul complesso delle candidature. Tra i partiti che, in quelle elezioni, raccolsero grande consenso tra gli elettori, solo il M5s non fece ricorsa alle pluricandidature, poiché in contrasto con la sua decisione di candidare solo persone legate al territorio.
Per i piccoli partiti, con una struttura territoriale poco diffusa, la riproposizione di uno stesso candidato in più di una lista proporzionale può essere stata soprattuto una necessità per accrescere il numero di circoscrizione in cui essere presenti, dato che il Rosatellun impone a ogni lista plurinominale di avere almeno due candidati. Questa esigenza potrebbe spiegare l’elevato rapporto, tra il numero di candidature assegnate ai pluricandidati e il numero totale delle candidature che caratterizza le piccole formazioni politiche, soprattutto quelle che, nel 2018, ebbero il loro battesimo elettorale. Nel caso di queste formazioni politiche, non è forse azzardato sostenere che l’accettazione di una pluricandidatura è mossa da “spirito di servizio” verso il partito.
Un paracadute ampio
Diversa è la finalità delle pluricandidature per le formazioni politiche che eleggono, si presume, un numero elevato di parlamentari. La legge elettorale non consente a nessuno essere candidato in più di cinque circoscrizioni. Il massimo delle candidature potrebbe essere giustificato, per importanti e riconosciuti leader di partito, dall’esigenza di massimizzare la loro capacità di attrazione elettorale. Per le altre pluricandidarure si può ipotizzare che con esse i capi dei partiti pieghino lo “spirito del partito” al servizio della probabilità dell’elezione dei loro più stretti collaboratori e alla facilitazione delle alleanze politiche rese necessarie dalla legge elettorale. Se in passato questa curvatura dello spirito del partito non ha infervorato gli aspiranti parlamentari e quelli in cerca di riconferma dei territori di atterraggio dei catapultati, ancor meno entusiasti essi sono ora, con il parlamento ridotto a due terzi dell’attuale. Nel 2018, oltre un quarto dei pluricandidati trovò ospitalità elettorale in almeno due distinte regioni.
Nel 2018, tutte le più importanti personalità dei partiti cercarono di non restare scottati da una bocciatura personale da parte degli elettori proteggendosi sotto l’ombrello delle pluricandidature, alla Camera o al Senato, dove le candidature multiple nelle circoscrizioni plurinominali furono quasi 160.
Due terzi dei pluricandidati della Camera trovarono posto in due listini del proporzionale, mentre l’8 per cento del loro numero totale fu candidato in cinque circoscrizioni plurinominali. Va aggiunto che a oltre 200 pluricandidati nel proporzionale fu allargato il paracadute per un atterraggio morbido tra gli scranni di Montecitorio, assegnando a loro anche uno dei collegi uninominali della Camera. Ciò fa aumentare notevolmente la percentuale di candidati con almeno 5 candidature e anche la probabilità di elezione. Tra i 399 pluricandidati, ne risultò eletto 1 ogni 4,5 contro 1 ogni 12 tra le persone con una sola candidatura.
Una postilla
Le trattative in corso tra i partiti fanno presagire che anche l’esame delle liste presentate per le elezioni del prossimo 25 settembre metterà in luce l’esistenza di un notevole numero di pluricandidati, anche senza alcun legame con i territori nei quali dovrebbero essere eletti e nei quali difficilmente ritorneranno. La disponibilità dei leader politici a correre il rischio di non essere eletti candidandosi in un posto solo, meglio se quello in cui vivono, non è il toccasana per sanare la frattura tra i partiti e gli elettori. Ma potrebbe essere un segnale di attenzione verso cittadini sfiduciati nei confronti dei politici . Quello attuale è un sistema elettorale che sembra non soddisfi nessun partito, o molti, e che tanti ritengono debba essere cambiato. Se succederà, il nuovo impianto potrebbe stabilire che la stessa persona non possa candidarsi in più circoscrizioni.
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Carlo Fusaro
Ottimo contributo alla discussione su dati certi. Esso smentisce un ricorso generalizzato alle pluricandidature. Conferma che se ne fa un uso correlato alla dimensione del partito/lista e nel complesso moderato. Conferma anche che chi è “pluricandidato” ha tre volte le possibilità di essere eletto rispetto a chi non lo è (uno su 4.5 contro 1 su 12). Ha infine il merito di non riproporre la vecchia polemica sui nominati e sulle manipolazioni da parte dei leader di partito “che fanno eleggere il pluricandidato a loro convenienza” dato che la legge Rosato (non Rosatellum! non scimmiottiamo quel grande che fu Sartori che pure molto contribuì alla delegittimazione delle migliori leggi elettorali che abbiamo avuto, le Mattarella), dato che la legge Rosato prevede l’elezione automatica in base a criteri predefiniti del pluricandidato eventualmente plurieletto.
Una chiosa però. Perché mai si dovrebbe impedire – finché si resta una democrazia nella quale i partiti hanno un ruolo rilevante – ai dirigenti di partito di puntare all’elezione dei candidati anche non necessariamente “del territorio”, proprio gruppo dirigente incluso? Vogliamo indebolire ancor di più il poco che è rimasto di struttura partitica? Vogliamo impedire le candidature di qualità (in qualche caso) senza grande attrattiva elettorale propria? Pensiamo così di avere un Parlamento meglio governabile? o il contrario? A me la soluzione Rosato pare equilibrata. Se poi si vogliono ridurre le pluricandidature a 3 in tutto, nulla di che: è già nei fatti come i dati opportunamente raccolti e pubblicati dimostrano. Ben altri i problemi delle istituzioni, della forma di governo, della legge elettorale.