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Politiche per il Sud: il rischio di fare più male che bene

Le proposte presentate dai principali partiti per rilanciare il Mezzogiorno si muovono nel solco del passato. Difficilmente potrebbero innescare il cambio di rotta di cui invece c’è bisogno. Soprattutto, manca una visione del futuro del Sud.

Il Mezzogiorno nei programmi elettorali

L’Italia è l’unico paese dell’Ocse, insieme a Grecia e Spagna, in cui nel periodo 2000-2019 sono cresciuti contemporaneamente due divari: quello dettato dalle disparità territoriali, misurate in termini di Pil pro capite, e quello relativo al deficit di crescita aggregato rispetto agli altri paesi. Alla luce dell’aumento delle disparità territoriali, sarebbe forse opportuno interrogarsi sull’efficacia delle politiche nazionali ed europee di sostegno al Mezzogiorno realizzate negli ultimi venti anni e oltre, prendendo spunto anche dall’analisi in Accetturo e de Blasio (2019), da cui emerge la sostanziale assenza di un loro impatto positivo significativo sulla crescita di lungo periodo (nonostante l’effetto positivo talora riscontrato nel breve).

Nel programma di tutti i principali partiti in corsa per le elezioni del 25 settembre figurano, come misura cardine delle politiche di coesione, strumenti di defiscalizzazione al Sud. Il catalogo è ricco: si va dal rafforzamento delle Zone economiche speciali, agli sgravi contributivi previsti da “Decontribuzione al Sud”, al credito d’imposta sugli investimenti. Non tutti gli sgravi fiscali sono ammissibili: per esempio, la “Decontribuzione al Sud” – che prevede per tutte le imprese localizzate nel Mezzogiorno uno sgravio del 30 per cento sui contributi previdenziali di tutti i dipendenti e non soltanto per le nuove assunzioni – è operativa grazie al temporaneo allentamento della disciplina europea relativa agli aiuti di stato durante la pandemia. La negoziazione di un più ampio margine di manovra nei confronti della fiscalità agevolata al Sud figura nei programmi sia di Partito democratico che di Fratelli d’Italia. Poco importa se l’incentivo ha più a che vedere con il mantenimento dei livelli occupazionali esistenti che con la crescita, come appunto nel caso di “Decontribuzione al Sud”, misura porta-bandiera per Fratelli d’Italia, che dichiara di volerla rendere strutturale.

Misure di defiscalizzazione pro-crescita (per esempio, sgravi fiscali sulle assunzioni, credito d’imposta sugli investimenti) possono avere un effetto positivo sulle aziende beneficiarie (non a detrimento di quelle non beneficiarie) e quindi sui territori targettizzati nel loro complesso soltanto se inserite in un programma di rilancio per il Sud in grado di aumentarne contestualmente le risorse produttive disponibili. Tramite politiche orientate a invertirne il calo e alla riattivazione delle persone fuoriuscite dalla forza lavoro, a cominciare dalle donne; al miglioramento del capitale umano di tutti i lavoratori, giovani e non; alla riduzione dei ritardi e al miglioramento della certezza del diritto che deprime gli investimenti associati all’inefficienza della pubblica amministrazione. In altre parole, non esistono misure di defiscalizzazione credibili senza un rinnovamento massiccio della qualità delle istituzioni locali.

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Gli investimenti infrastrutturali, anch’essi ingrediente di rilievo delle politiche per il Sud nei programmi dei vari schieramenti politici, sono importanti, ma occorre saperli gestire. L’evidenza empirica disponibile insegna infatti che l’integrazione infrastrutturale di un paese tende ad avere un impatto a “U” sulla concentrazione delle attività produttive, favorendo, almeno in una prima fase, una maggiore concentrazione nei territori più sviluppati, e inducendo soltanto in una seconda fase, man mano che la rete infrastrutturale si infittisce, una distribuzione più equa sul territorio nazionale.

Debolezza delle istituzioni e federalismo fiscale

La debolezza delle istituzioni al Sud si riflette anche nelle vastissime disparità territoriali in termini di qualità e accesso ai servizi. L’offerta di beni di consumo e servizi è una determinante fondamentale, alla pari dell’offerta di lavoro, della scelta di dove andare a vivere dei lavoratori. Il cammino di approvazione dei livelli essenziali delle prestazioni, che dovrebbe garantire una riduzione di queste disuguaglianze, procede tuttavia lentamente e, nel frattempo, le persone, specialmente i giovani, “votano con i piedi”, lasciando il Sud e le aree interne e trasferendosi altrove. Il quadro demografico del paese tracciato dall’Istat supera ogni anno per gravità quello precedente, con l’indice di vecchiaia che sfiora oramai quota 2 nelle aree interne (due persone sopra i 65 anni per ogni persona tra gli 0 e i 14 anni). Queste persone necessitano di assistenza nei loro territori, ma per rendere in prospettiva l’assistenza meno onerosa servono politiche efficaci di ripopolamento, orientate a portare in queste aree lavoro e servizi. Su questo fronte, il Partito democratico è l’unico schieramento politico che include nel proprio programma una strategia orientata alla prossimità e all’esigenza di riportare le opportunità alle persone (invece del contrario).

E rimanendo in tema di istituzioni, veniamo all’ultimo punto di fondamentale importanza per il divario Nord-Sud, quello del federalismo fiscale e dell’attuazione dell’autonomia differenziata. Tutti i programmi dei principali partiti sono concordi sulla necessità di attuare un maggiore decentramento amministrativo, che per Azione e Partito democratico deve svolgersi dando attuazione al criterio dei fabbisogni standard/livelli essenziali delle prestazioni (Lep), laddove il programma di Azione pone un’enfasi ulteriore sul principio in base al quale l’attribuzione di competenze a un determinato livello amministrativo deve muoversi in tandem con quella di risorse commisurate, in modo tale da minimizzare i trasferimenti verticali. Il programma di Fratelli d’Italia si esprime sulla necessità di fissare livelli essenziali delle prestazioni, ma non sul superamento del criterio del costo storico. Nei programmi in cui è presente (tendenzialmente di Centrodestra), l’autonomia differenziata viene menzionata sempre a valle della definizione dei Lep. Tuttavia, ci sembra opportuno rimarcare come la definizione di questi e la contestuale adozione del criterio dei fabbisogni standard rappresenti esso stesso un passaggio fortemente critico, ancora prima dell’autonomia differenziata, su cui nessuno degli schieramenti in campo presenta spunti di grande innovazione politica, che sarebbe viceversa necessaria per superare l’impasse in cui si trascina il processo federalista sin dalla legge 42/2009. L’attuazione del criterio dei fabbisogni standard e l’operatività dei livelli essenziali delle prestazioni rispondono infatti a due obiettivi – incoraggiare l’efficienza delle amministrazioni locali nell’erogazione dei servizi, garantendo al contempo livelli minimi delle prestazioni in tutti i territori – tra cui è difficile trovare un equilibrio politico. L’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, su cui sono stati compiuti alcuni passi in avanti con le ultime due leggi di bilancio, è una questione ulteriormente delicata che necessiterebbe di un accordo bipartisan, nei confronti del quale ci si augura che chiunque si ritroverà al governo dopo il 25 settembre vorrà impegnarsi.   

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In conclusione, l’assenza di un approccio “place-based”, ovvero di un approccio in grado per ciascuna proposta contenuta nei programmi di tenere conto delle ulteriori problematiche che si potrebbero riscontrare nella sua attuazione al Sud, mina la credibilità delle idee di rilancio del Mezzogiorno presentate in occasione di questa tornata elettorale. Le politiche per il Sud della prossima legislatura rischiano di rivelarsi ancora una volta inefficaci, contribuendo a rendere la “questione meridionale” sempre meno un terreno su cui i partiti desidereranno in futuro esporsi con programmi lungimiranti e coraggiosi.

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I programmi dei partiti sul nucleare – Piero Martin a Zapping

  1. Savino

    Conte si propone come Achille Lauro; prima del voto ti dà una scapa sola, dopo il voto ti dà l’altra scarpa. Sono mezzucci vecchio stampo che le persone serie dovrebbero aver imparato a riconoscere.

  2. ANTONIO AQUINO

    La defiscalizzazione del lavoro al Sud dovrebbe essere concentrata sulle attività a mercato internazionale (manifattura, servizi informatici, turismo, ecc.).
    In primo luogo perché per le produzioni a mercato esclusivamente locale il livello dell’occupazione è determinata pressoché esclusivamente dalla domanda locale, mentre per le produzioni a mercato internazionale la domanda di lavoro è determinata principalmente dalla competitività, e quindi dai costi di produzione. Considerata l’attuale bassissima occupazione al Sud nelle produzioni a mercato internazionale, la defiscalizzazione del lavoro avrebbe per la finanza pubblica un costo iniziale molto basso, che in prospettiva potrebbe essere più che compensato dall’espansione di produzione, occupazione e reddito stimolata dall’aumento di competitività delle produzioni nelle regioni del Mezzogiorno.

  3. Piero Borla

    Si parla di federalismo fiscale e di autonomia differenziata dando per scontato che essi abbiano effetti positivi. Si dimentica che l’effetto certo di entrambi è di allargare le disuguaglianze fra territori, fra Nord e Sud. E’ più convincente il sistema dei piani di finanziamento europei (e quello dei contratti di programma alla francese) nei quali l’autorità centrale stabilisce in quali settori destinare le risorse e ne controlla l’impiego.

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