Il fact-checking de lavoce.info passa al setaccio le dichiarazioni di politici, imprenditori e sindacalisti per stabilire, con numeri e fatti, se hanno detto il vero o il falso. Questa volta tocca a Giuseppe Conte: quanto è stato accurato durante l’ultimo dibattito a Porta a Porta?

Il 22 settembre Porta a Porta ha ospitato i leader politici dei principali partiti che corrono per le elezioni 2022: Letta, Meloni, Salvini, Berlusconi, Conte, Calenda, Di Maio. I sette si sono seduti uno dopo l’altro di fronte al conduttore, senza avere confronti tra loro, e le interviste sono state poi successivamente mandate in onda. In questo articolo ci soffermiamo su alcune dichiarazioni di Giuseppe Conte, ex Presidente del Consiglio e capo politico del Movimento 5 Stelle.

Il reddito di cittadinanza

Secondo Conte, “due terzi dei percettori del reddito di cittadinanza sono inidonei al lavoro”.

Non è facile determinare chi sia o no idoneo al lavoro. La fonte più aggiornata al riguardo è l’ottava nota di Anpal sul Reddito di cittadinanza, pubblicata ad aprile 2022 e contenente dati aggiornati al 31 dicembre 2021. Come mostrato nella tabella 1, i beneficiari effettivi del reddito di cittadinanza al 31 dicembre erano poco meno di due milioni (il dato è ottenuto sottraendo dai beneficiari totali quanti hanno perso il diritto alla misura).

Come definire chi non è idoneo al lavoro? Innanzitutto, una parte dei beneficiari è esonerata dal patto per il lavoro altrimenti da sottoscrivere, per via di situazioni specifiche come disabilità, carichi di cura familiare o partecipazione a corsi di formazione. Una categoria a parte è esonerata perché soddisfa condizioni tali da essere rinviata ai servizi sociali per il contrasto alla povertà. Tra i non occupati che sono invece indirizzati ai servizi per il lavoro, Anpal distingue chi è “vicino” al mercato del lavoro (ha avuto esperienze lavorative negli ultimi tre anni) da chi è “lontano”.

Sommando i beneficiari esonerati dal patto per il lavoro, quelli rinviati ai servizi sociali e quelli considerati lontani dal mercato del lavoro, si raggiunge il 61,5 per cento dei beneficiari effettivi. Tuttavia, la distinzione tra vicini e lontani è opinabile e non dice molto delle caratteristiche dei beneficiari. Escludendo dal computo i lavoratori classificati come lontani dal mercato del lavoro, si ha una quota di inidonei dell’11,5 per cento dei beneficiari. Non è dato sapere quanti possano riqualificarsi tramite corsi di formazione e rientrare nel mercato del lavoro, ma è ragionevole ritenere che non tutti quanti sono indicati come “lontani” dal mercato del lavoro siano necessariamente inidonei al lavoro.

Il dato citato da Conte appare quindi una sovrastima ed è TENDENZIALMENTE FALSO.

Il Pil

Conte ha anche dichiarato che “noi siamo il partito che ha fatto correre l’Italia ad oltre il 6% di Pil”.

Il leader del Movimento 5 Stelle si intesta il dato sulla crescita del 2021, sostenendo che sia dovuto alla legge di bilancio approvata a fine 2020. Tuttavia, sostenendo di aver fatto “correre” l’economia italiana Conte tralascia che la crescita del 6,7 per cento del Pil osservata nel 2021 ha fatto seguito al calo del 9 per cento del 2020. Si tratta di un recupero successivo alla crisi pandemica, con ogni probabilità in parte favorito dalle misure approvate dai governi Conte II e Draghi, ma in buona parte legato semplicemente all’allentamento delle misure di contenimento della pandemia.

Intestarsi la responsabilità della crescita riscontrata nel 2021, che ha beneficiato anche delle misure emergenziali adottate dal governo Draghi allora in carica, è un’operazione che confonde le acque e racconta solo un lato della storia. Ignora, per esempio, che alla data del passaggio di consegne tra Conte e Draghi l’Italia era uno dei paesi Ue il cui Pil era più basso rispetto al 2019, sintomo di un calo notevole nel 2020 e di una ripresa ancora debole.

Non è facile isolare davvero il contributo dato alla ripresa dal governo Conte II, perciò il verdetto su questa dichiarazione è INCERTO.

Il lavoro povero

L’ex Presidente del Consiglio ha anche affermato che “è chiaro che oggi in Italia 4.300.000 lavoratori e lavoratrici prendono stipendi da fame”.

Conte fa probabilmente riferimento al rapporto annuale Istat 2022. Durante la sua presentazione, il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo affermò che “circa 4 milioni di dipendenti del settore privato (con l’esclusione dei settori dell’agricoltura e del lavoro domestico) sono a bassa retribuzione, cioè percepiscono una retribuzione teorica lorda annua inferiore a 12 mila euro”. Una retribuzione bassa, tuttavia, può essere dovuta non a uno “stipendio da fame”, ma a un numero di ore lavorate molto basso. Sempre Blangiardo proseguiva sottolineando che “circa 1,3 milioni di dipendenti riceve una bassa retribuzione oraria, inferiore a 8,41 euro. Per 1 milione di dipendenti i due elementi di vulnerabilità si sommano”. Solo un milione di dipendenti avrebbe quindi una retribuzione bassa dovuta a un salario orario basso.

Il dato riportato all’inizio, inoltre, è stranamente più alto rispetto a quello riportato da Eurostat, secondo cui dei 21,76 milioni di lavoratori italiani (dato 2021) sarebbe a rischio di povertà l’11,6 per cento. Cioè, 2,5 milioni di persone; anche qui, non necessariamente per via di stipendi “da fame”, ma potenzialmente anche per via di un basso numero di ore lavorate.

Questa affermazione di Conte è quindi TENDENZIALMENTE FALSA.

I contratti a tempo indeterminato

Conte ha anche rivendicato dei risultati relativi al mercato del lavoro: “a fine 2019, prima che scattasse la pandemia, abbiamo avuto il record storico di contratti a tempo indeterminato, più 800.000”.

Non è chiaro da dove provenga il dato citato dal leader del Movimento 5 Stelle, né a che periodo preciso si riferisca con “a fine 2019” o quale sia il periodo precedente oggetto del confronto. Consideriamo alcune ipotesi diverse.

Se Conte intende che nell’ultimo trimestre del 2019 i contratti a tempo indeterminato aumentarono di 800.000 unità, non è così: secondo i dati dell’Osservatorio sul Precariato di Inps (Figura 1), ci fu una variazione netta del numero dei rapporti a tempo indeterminato negativa (-20.903 unità). In particolare, il saldo fu positivo a ottobre (+28.645) e novembre (+13.420), ma negativo a dicembre (-48.992).

Se invece Conte si riferisce alla variazione cumulata dei contratti a tempo indeterminato durante i suoi governi, fino alla fine del 2019, di nuovo il valore citato non coincide con i dati Inps: da giugno 2018 a dicembre 2019 c’è stato sì un aumento dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato in essere, ma si è attestato cumulativamente a +377.305 unità, meno della metà del valore indicato dall’allora Presidente del Consiglio.

Pertanto, questa dichiarazione di Conte è FALSA.

Gli orari di lavoro

Secondo Conte, “noi siamo il paese dove si lavora di più”; il leader M5S suggerisce pertanto di ridurre l’orario di lavoro a 35 ore settimanali.

Tuttavia, già ora il numero medio di ore lavorate dagli italiani nell’occupazione principale è di 36, sotto alla media dell’Unione europea (che si attesta a 36,2) ma sopra a quella dell’Eurozona (35,4). Solo 10 paesi Ue hanno un valore più basso del nostro: sono tra le economie più ricche dell’Unione e negli ultimi decenni hanno conosciuto una crescita della produttività più significativa della nostra.

Questa affermazione di Conte è quindi FALSA.

Il “track record” del Movimento 5 Stelle

Il capo politico del Movimento 5 Stelle ha rivendicato i risultati ottenuti dal suo partito, sostenendo che “abbiamo realizzato l’80% del nostro programma, è un record assoluto”.

Questo dato circola già da alcune settimane ed è stato giudicato FALSO da Pagella Politica. Secondo la loro analisi, che riteniamo attendibile, il M5S si presentò alle elezioni del 2018 con 20 punti chiave. Soltanto due di queste promesse sono state realizzate, altre dieci sono state realizzate solo in parte e otto non sono state realizzate.

Questa affermazione è perciò FALSA.

Un aumento delle pensioni

Infine, Conte ha dichiarato che “detassare le pensioni fino a 1000€ costa 5 miliardi”.

Questa proposta è già stata fatta circolare dal Movimento 5 Stelle nei giorni scorsi, alternativamente proponendo di detassare le pensioni fino a 13mila euro annui o fino a 1000 euro mensili. I dati sull’Irpef del Ministero delle Economia e delle Finanze, disponibili solo per scaglioni di reddito, forniscono una stima del costo.

Nel 2020, 4,4 milioni di pensionati hanno percepito un reddito da pensione fino a 12mila euro (non è disponibile il dato fino a 13mila). L’imposta lorda pagata dai pensionati con reddito fino a 12mila euro è stata di 6,2 miliardi di euro, ma al netto delle detrazioni scende a 878 milioni di euro. Il numero di pensioni in essere e il loro importo variano nel tempo; perciò, questi dati forniscono solo una stima indicativa dei potenziali costi.

Siccome non è chiaro se con “detassare” Conte intenda anche compensare per le detrazioni che sarebbero perse o no, c’è un’ampia variabilità nel possibile costo della misura, tra i due valori indicati sopra. Di conseguenza, il verdetto su questa affermazione è INCERTO.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!