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L’alba della XIX legislatura

Si sono tenute le elezioni che hanno dato vita alla XIX legislatura, dopo un’atipica campagna elettorale estiva e la chiusura anzitempo della legislatura precedente. Per la prima volta, l’elettorato attivo di Camera e Senato coincideva. E, sempre per la prima volta, la Camera sarà composta da 400 deputati e il Senato da 200 senatori eletti. A urne chiuse ma ancora calde, sembra proprio che non saranno solo queste le novità della legislatura che sta per cominciare. Una tra tutte, la quasi certezza che Giorgia Meloni sarà la prima donna Presidente del Consiglio nella storia repubblicana.

Il crollo della partecipazione

Il primo dato che vale la pena di commentare è quello sulla partecipazione al voto: nonostante la legge costituzionale 1/2021 abbia ampliato il diritto di elettorato attivo al Senato, dove anche circa 4 milioni di elettori con età compresa tra 18 e 24 anni hanno potuto votare, l’astensionismo del corpo elettorale ha continuato a crescere e ha toccato il 36 per cento, confermando una tendenza ormai in atto da trent’anni, con la sola eccezione del 2006. In termini assoluti, su 46 milioni di elettori alla Camera, si sono recati alle urne in 29,4 milioni, quattro milioni e mezzo in meno rispetto al 2018.

A cosa è dovuto questo crollo? Difficile dare una risposta univoca. La prima ipotesi, e anche la più semplice, è quella della disaffezione. Probabilmente, è anche l’ipotesi più corretta. Tuttavia, ci potrebbero essere argomenti aggiuntivi. Il primo fa riferimento alle difficoltà di voto. Molti giornali hanno evidenziato (e molti di noi hanno testimoniato direttamente) lunghe code ai seggi. I dati sull’affluenza raccontano però una realtà ben diversa dal plebiscito. Allora forse votare, o più precisamente far votare, cioè gestire il riconoscimento delle identità (verifica del documento d’identità, timbro sulla tessera elettorale, verifica del talloncino di sicurezza, controllo del cellulare, etc.) ha insopportabilmente allungato i tempi di attesa e scoraggiato molto elettori. Un’altra possibile spiegazione è che, a differenza di elezioni passate, questa volta il risultato sembrava già scritto (e così è in effetti stato, per certi versi): perché allora andare a votare sapendo che il Centrodestra avrebbe sicuramente vinto? E ancora: nonostante lo sforzo del governo Draghi di studiare il fenomeno, nulla è stato fatto per rendere più semplice il voto dei fuori sede (studenti e lavoratori), una popolazione che, secondo le stime del “Libro bianco sull’astensionismo”, arriva a quasi cinque milioni di elettori.

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Il risultato elettorale

In attesa di avere i dati definitivi sull’assegnazione dei seggi, più interessanti per capire le dinamiche di formazione della maggioranza parlamentare e di distribuzione delle cariche più importanti (governo e presidenza Camere), in questo primo contributo ci si limita a commentare i dati sulle percentuali di voto ottenute dai partiti alla Camera (non ci sono grandi differenze col Senato). Questi dati (raccolti in tabella) sono invece molto indicativi di come le preferenze politiche siano distribuite all’interno della popolazione e della forza elettorale dei partiti.

Quasi tutti i partiti hanno perso consensi rispetto al 2018, tranne l’evidente eccezione di Fratelli d’Italia. Il risultato del partito di Giorgia Meloni, primo partito del Centrodestra e primo partito nel paese, proietta la sua leader a ricevere, quasi certamente, l’incarico a formare il prossimo governo. All’interno del Centrodestra, perdono consensi sia Forza Italia sia, soprattutto, la Lega, entrambi sotto al 10 per cento. Addirittura, Forza Italia ha quasi raggiunto la Lega nel voto proporzionale: un risultato insperato all’inizio della campagna elettorale ma frutto sicuramente più della cattiva performance del partito di Salvini che di un exploit di quello di Silvio Berlusconi. Ogni partito del Centrodestra, con eccezione di Noi, moderati (che peraltro potrebbe non ottenere rappresentanza), è necessario per superare la soglia di maggioranza nelle due camere. Guardando al Centrosinistra, il Partito democratico sembra confermare il risultato del 2018, il suo minimo storico. All’inizio della campagna elettorale, l’obiettivo di Letta era di contendere a Meloni il primato tra i partiti: obiettivo decisamente fallito. Non aver superato la soglia del 20 per cento e, addirittura, non allontanarsi troppo dal risultato del 2018 non pone Enrico Letta in una posizione particolarmente favorevole. Alla sinistra del Pd non emerge alcuna forza alternativa di sinistra. Forse perché invece, fuori dal Centrosinistra, risorge o quasi il Movimento 5 stelle. Che più che dimezza la sua percentuale rispetto al 2018 (è il partito che perde più voti) ma di fatto recupera numerosi consensi rispetto alle previsioni e ai sondaggi. Per alcune ore, nella lunga notte elettorale, è sembrato addirittura possibile che superasse il Partito democratico. Certo, considerare un successo il risultato di un partito che dimezza la percentuale dei propri voti è un’alchimia che ha senso solo in politica. Per quanto riguarda il cosiddetto “Terzo polo”, costituito da Azione e Italia viva, l’esito non sembra particolarmente felice: la soglia del 10 per cento è lontana e lontana è, in fin dei conti, anche Forza Italia, concorrente diretta per la conquista del centro. Tuttavia, uno degli obiettivi dichiarati di questa lista era quello di diventare ago della bilancia alla prima crisi di governo, che secondo Renzi e Calenda avverrà presto e porterà alla sostituzione di Meloni e Salvini con altri. Vedremo cosa succederà nel corso della legislatura. Un ultimo commento riguarda la dimensione della vittoria del Centrodestra in termini di seggi. Secondo i dati più aggiornati, questa si aggira intorno al 59/60 per cento alla Camera e poco meno al Senato. Un margine ampio ma non amplissimo, di poco superiore a quello già ottenuto dal Centrodestra nel 2001 e nel 2008 (58%). Curiosamente, queste tre vittorie schiaccianti sono state ottenute con tre leggi elettorali diverse. La differenza è che, in termini assoluti, il vantaggio in termini di parlamentari è oggi relativamente più basso, a causa della riduzione della dimensione delle Camere. Forse vale la pena di ricordare che in nessuno di quei due casi, se mai questa fosse la paura di qualcuno, il Centrodestra riuscì a cambiare in maniera sostanziale la Costituzione. Ma ci andò vicino nel 2006: la proposta di riforma fu approvata dai due rami del Parlamento; poi però uscì sconfitta dal referendum costituzionale che si tenne il 25 e 26 giugno di quell’anno.

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Il Punto

  1. Savino

    Bisogna riconoscere la volontà di cambiare da parte degli italiani: premier donna e nata nel 1977, non era affatto una soluzione scontata. Più che le riforme costituzionali occorrerebbe un cambio di mentalità economica ed una società comunque più aperta, più dinamica , più moderna, a partire dal carrozzone burocratico. Ciò sarebbe il vero interesse nazionale di cui si vede il bisogno. Il cattivo esempio da non seguire è, invece, la pessima gestione amministrativa dell’epoca pandemica elemento, secondo me, decisivo nell’esito elettorale, nel senso che già allora gli italiani hanno meditato per questo cambiamento politico.

  2. Lorenzo

    Alla grossa: Berluscono ha donato sangue a Calenda e i due ex vicepremier si sono svenati per Meloni

  3. Catullo

    Campagna elettorale completamente sbagliata da Letta che di suo ha proposto solo l’obbligo scolastico a cinque anni e lo ius scholae, per il resto ho visto solo attacchi alla Meloni ed il solito fantasma del fascismo, un po’ poco per avere voti.

  4. Alex

    La continua crescita dell’astensionismo è un fatto negativo e preoccupante per la vita democratica del paese, non solo per la consistenza numerica (simile peraltro ad altri paesi omologhi), ma soprattutto per le motivazioni che ne stanno alla base.
    La proposta del centrosinistra non ha saputo focalizzarsi chiaramente sugli aspetti che marcano la differenza nella vita delle persone.
    Quella vincente ha soprattutto sfruttato la coerenza del messaggio veicolato in questi ultimi anni favorito dalla posizione di partenza, quella all’opposizione, che in questi tempi difficilissimi è stata particolarmente ripagante.

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