Parlamentari e membri del governo non sono mai stati particolarmente giovani. Ora, però, tra le generazioni più giovani sembra essersi affievolita anche la partecipazione politica diretta. È un distacco che va ricomposto, ascoltando i loro interessi.
Una classe politica anziana
Il 2022 è stato designato dall’Unione europea come “Anno europeo dei giovani”. Tra i tanti scopi dell’iniziativa, troviamo la volontà di aiutare le nuove generazioni a sviluppare una cittadinanza attiva e impegnata. Da questo punto di vista, l’Italia è carente: il 25,8 per cento delle persone tra i 20 e i 24 anni non partecipa alla politica a causa della sfiducia nel sistema, così come il 13,3 per cento dei giovani di 18-19 anni (dati Istat 2020).
Ciò è in parte dovuto alla scarsa rappresentanza delle giovani generazioni all’interno delle principali istituzioni. Anche a livello globale, raramente è possibile trovare individui sotto ai 35 anni in posizione di leadership politica, e vengono etichettati come “giovani” i politici tra i 35 e i 40 anni. La situazione è ancora più difficile se ci concentriamo sulle giovani donne e sulle posizioni di leadership. Risulta dunque evidente come le generazioni più recenti non siano rappresentate all’interno dei parlamenti, dei partiti politici e nella pubblica amministrazione.
Nella figura 1 viene illustrata l’età media di vari ministri nei governi dell’Italia repubblicana. La più alta si registra per il ministro degli Esteri (nonostante il caso recente di Luigi Di Maio, che ha assunto la carica a 35 anni, tra i più giovani nella storia repubblicana), pari a 60,17 anni, mentre quella più bassa si registra per il ministro dell’Istruzione e per il ministro del Lavoro, pari a 53 anni.
Se si osserva la figura 2, si nota che l’età media dei deputati nell’attuale legislatura risulta pari a 44,3 anni. Benché sia un valore non assimilabile a una classe “giovane”, è notevolmente più basso rispetto a 10 anni fa, quando l’età media si aggirava intorno ai 51 anni. Tuttavia, nonostante il recente “ringiovanimento”, la partecipazione politica dei giovani non sembra aumentare. Anzi, in alcune categorie sembra decrescere, in particolare per la politica passiva (ossia il modo di informarsi e di discutere di politica).
Un confronto interessante è quello con il Parlamento europeo. Secondo il rapporto Istat uscito a maggio 2022 sulla fiducia nelle istituzioni del paese, le uniche verso cui i giovani sembrano mostrare livelli di fiducia più elevati sono il sistema giudiziario e il Parlamento europeo. Quest’ultimo, secondo le statistiche, ha un’età media di 53 anni (52 considerando solo i parlamentari italiani), partendo da un minimo di 28 (un’età molto più giovane rispetto ai principali organi politici italiani).
Giovani sempre meno partecipi politicamente
Secondo i dati dello European Social Survey (risalenti al 2018), tra i più giovani si riscontrano un minore interesse per la politica (figura 3) e una minore partecipazione al voto rispetto alle generazioni precedenti (con l’eccezione, in Italia, dei nati prima del 1950). Inoltre, i giovani hanno una convinzione meno forte nella propria capacità di giocare un ruolo attivo in politica.
La figura 4 considera alcune forme alternative di partecipazione politica. Ne emerge che i giovani italiani della “generazione Z” (nati dal 1997) sono meno politicamente attivi online e meno propensi a firmare petizioni, partecipare a boicottaggi o contattare politici o pubblici ufficiali rispetto alle due generazioni precedenti (la “X” e la “Y”, che comprendono rispettivamente i nati dal 1965 al 1980 e dal 1981 al 1996). Tuttavia, al contrario del resto d’Europa, in Italia la generazione Z è caratterizzata da una partecipazione alle manifestazioni più alta rispetto alle generazioni precedenti.
È quindi curioso che la fiducia nelle istituzioni politiche (Parlamento, governo, partiti e Parlamento europeo) sia maggiore tra i giovani, per quanto si mantenga bassa in assoluto. Allo stesso modo, sono decrescenti con l’età la fiducia nell’economia, nel governo, nel funzionamento della democrazia e nello stato del sistema dell’istruzione. Questo dato suggerisce che la scarsa partecipazione dei giovani alla politica non sia legata a una percezione negativa del suo funzionamento più diffusa che in altre generazioni, ma che le ragioni della disaffezione, così come della percezione di non poter incidere, vadano cercate altrove. Per esempio, nella scarsa formazione in materia fornita nel passato recente dal sistema dell’istruzione, che potrebbe invece aiutare i giovani a familiarizzare con il funzionamento della macchina politica e l’importanza di giocare un ruolo attivo.
Infine, i giovani sembrano prendere posizioni decise a favore dei diritti civili e dell’immigrazione, più delle generazioni più anziane. I dati (Figura 6) suggeriscono che il conservatorismo su temi come il riconoscimento dei diritti di persone e coppie omosessuali e l’accoglienza dei migranti aumenti con l’età. I giovani tendono a condividere anche la redistribuzione contro le disuguaglianze, per quanto non più delle altre generazioni.
Nuove forme di coinvolgimento
Come già evidenziato in un precedente contributo, gli indicatori per misurare l’effettiva partecipazione politica dei giovani potrebbero non limitarsi alla percentuale di voto e di associazione a un partito politico. Infatti, nel dibattito sulla partecipazione politica dovrebbero essere considerati sia l’impegno formale che quello informale, perché entrambi portano effetti benefici per una democrazia viva e resiliente.
Per raggiungere le nuove generazioni, dunque, i governi non dovrebbero limitarsi ai metodi tradizionali, ma dovrebbero concentrarsi su temi “reali”, che possono suscitare maggior interesse fra i giovani. Proprio per questo motivo nasce l’idea dell’Anno europeo giovani.
L’Eurobarometro ha dunque condotto un’indagine per capire su quali problemi concentrarsi per avvicinare i giovani al dibattito politico, intervistando persone tra i 15 e i 30 anni. Secondo i risultati, mostrati nella Tabella 1, i temi di maggior importanza per i giovani europei sono il miglioramento della salute e del benessere mentali e fisici, la protezione dell’ambiente e la lotta al cambiamento climatico e il miglioramento dell’istruzione e della formazione, incluso il libero movimento di studenti, apprendisti e alunni. In particolare, i giovani italiani mostrano più attenzione per la spinta all’occupazione e lotta alla disoccupazione, la protezione dell’ambiente e il miglioramento dell’istruzione (in ordine di importanza).
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Tommaso
Non credo sia un problema di età dei rappresentanti politici. In un mondo così complesso, e in un contesto come quello italiano che tende mediamente – a mio avviso – a non offrire una buona preparazione ai giovani, è forse inevitabile che al Governo o in Parlamento siedano persone con maggiore esperienza (lavorativa, universitaria ecc.). Peraltro, può anche darsi che i giovani ritengano maggiormente rilevante la competenza piuttosto che il dato anagrafico in sé per riporre fiducia nell’uno o nell’altro politico .
Il vero problema, come giustamente sottolineate, sono i temi. Nella politica italiana non si trova un politico che in modo programmatico si rivolga alla fascia di popolazione d’età compresa tra i 18 e i 35 (strategia peraltro anche miope, considerando l’elevata percentuale di voti disponibili e al contempo inespressi, come confermano i dati sull’astensione). Problemi reali dei giovani, come la sicurezza del posto di lavoro, un salario sufficiente non soltanto ad arrivare a fine mese ma a vivere in modo dignitoso, l’acquisto di una abitazione e – soprattutto – l’estrema difficoltà che oggi si ha solamente a pensare di formare una famiglia (con le ovvie ricadute che peraltro la nostra generazione incontrerà al momento della pensione), sono sistematicamente trascurati. Semplicemente, non interessano alla classe politica, non sono nei programmi di governo.
Si tratta dunque non di una questione di esprimere fiducia, bensì: in chi esprimere fiducia?
Giacomo
Non so se sia solo questione di temi. Forse i giovani sono più consapevoli del fatto che la politica ormai decide veramente poco e che gli eletti una volta eletti portano avanti istanze in totale contrasto con il proprio programma elettorale. Che senso ha andare a votare quando il governo è tecnico, espressione di quasi tutti i partiti e con un’opposizione (FDI) che è sostanzialmente filogovernativa sulle questioni essenziali? Che cosa cambia scegliendo un partito o l’altro?