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Mobilità ignorata dalla campagna elettorale

Nei programmi dei partiti non c’è alcun cenno alle politiche per l’organizzazione dei trasporti. Eppure, le questioni da affrontare sarebbero molte. Anche perché da alcune riforme in questo settore dipendono tranche di finanziamento del Pnrr.

Il disinteresse dei partiti

La campagna elettorale brilla per assenza di discussione pubblica su diversi snodi della vita economica e sociale italiana. Tra le tante questioni assenti, c’è il sostanziale smarrimento nell’agenda politica dei temi relativi alla mobilità e alla connettività. Qualche cenno si può rinvenire sugli investimenti infrastrutturali, ma sulle politiche per l’organizzazione dei trasporti il silenzio nei programmi dei partiti è davvero assordante. Le parole d’ordine che vengono presentate rifuggono dalle scelte controverse che debbono essere compiute, per rifugiarsi su quelle consolatorie e semplici. Eppure, tanti sono i temi che andrebbero affrontati dal governo che uscirà dalle elezioni del 25 settembre.

La logistica e l’autotrasporto nell’immobilismo

Cominciamo dalla logistica, dalla quale dipende in buona parte la produttività totale dei fattori. Da decenni sentiamo stancamente ripetere lo slogan in base al quale l’Italia dovrebbe essere “la piattaforma logistica del Mediterraneo”. Non è accaduto nulla, anzi abbiamo compiuto decisi passi indietro. Nella classifica dei primi dieci operatori logistici che operano sul mercato italiano, otto sono grandi gruppi multinazionali stranieri, mentre sono solo due le aziende nazionali, al sesto e all’ottavo posto. Nelle classifiche internazionali della Banca Mondiale sull’efficienza logistica continuiamo a viaggiare oltre il ventesimo posto, senza sostanziali cambiamenti.

Non è stato neanche tentato un intervento di politica logistica per invertire la prevalenza del modello di commercializzazione dei prodotti italiani franco fabbrica, e non franco destino. Lasciando il diritto di scelta sul trasporto al compratore, la matrice del valore aggiunto viene consegnata al paese importatore: in questo modo perdiamo mediamente il 12 per cento del valore complessivo delle nostre transazioni in esportazione sui mercati internazionali.

Non è cambiata di una virgola, negli ultimi decenni, la politica dei sussidi verso l’autotrasporto, che si attesta ogni anno a circa 500 milioni di euro nelle varie forme che vengono utilizzate per sostenere le imprese nazionali. È un intervento che serve solo a mantenere in assetto di debole sopravvivenza un comparto strategico per la competitività dell’economia.

La conversione delle flotte camionistiche verso l’intermodalità continua a non essere adeguatamente sostenuta, eppure sarebbe uno strumento particolarmente necessario per specializzare il trasporto su gomma sulle corte distanze, dove questa modalità è più competitiva. Si potrebbe così dare un vero impulso allo sviluppo dell’intermodalità ferroviaria e marittima, che costituisce un intervento indispensabile per ridurre l’impatto negativo, dal punto di vista ambientale, che deriva dall’attuale sbilanciamento dell’autotrasporto nelle lunghe e nelle lunghissime percorrenze.

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Trasporti locali: una crisi senza fine?

Nei trasporti collettivi di persone, ci troviamo di fronte a situazioni ormai imbarazzanti. Gli ultimi giorni del governo Draghi sono stati accompagnati, sotto Palazzo Chigi, da minacciose manifestazioni dei tassisti che non vogliono assolutamente mollare la presa sul protezionismo di un settore che nei decenni ha manifestato, verso qualsiasi refolo di liberalizzazione, una protervia davvero meritevole di miglior causa.

Per non parlare poi del profilo di riorganizzazione del trasporto pubblico locale, che resta sentina di inefficienza radicata, soprattutto in alcuni territori: ormai è più di un quarto di secolo che, nonostante plurime norme comunitarie e nazionali, non si batte chiodo sull’apertura alla concorrenza di questo mercato, nemmeno nelle forme più blande. Siamo in presenza di una crisi del settore che richiederebbe profonde riforme strutturali, innanzitutto per migliorare la produttività.

Il recente rapporto Intesa-Asstra ha messo in evidenza che, con la diffusione della pandemia, il trasporto pubblico locale (Tpl) e la mobilità in Italia nel suo complesso sono state completamente stravolte. Tra il 2019 e il 2020 si è registrata una diminuzione del 21 per cento degli spostamenti con l’auto e un crollo del 58 per cento degli spostamenti con mezzi pubblici. I passeggeri trasportati si sono ridotti di quasi il 47 per cento.

Anche per gli anni 2022 e 2023 si evidenzia un livello della domanda ancora al di sotto dei livelli pre-Covid con una diminuzione stimata, rispetto al 2019, pari a -21 per cento per il 2022 e a -12 per cento per il 2023. Il calo dei passeggeri trasportati ha comportato minori entrate per la vendita dei titoli di viaggio, quantificabili per il 2022 in misura non inferiore a un miliardo di euro.

Nel primo quadrimestre 2022, l’incremento esponenziale dei prezzi dell’energia ha determinato per le imprese di Tpl una spesa di circa 220 milioni superiore rispetto allo stesso periodo 2020 e 2021 per l’acquisto di carburanti ed energia elettrica. A differenza degli altri settori delle public utilities, il comparto del Tpl non ha la possibilità di riversare l’aumento dei costi sull’utente. Sarebbe davvero necessario procedere su un sentiero riformatore. Si è formata, invece, ed è ancora all’opera, una vera e propria corazza di resistenza al cambiamento che compatta protezionismi sindacali, resistenze dei politici locali, interessi dei fornitori. Proprio per effetto degli investimenti di rinnovamento delle flotte per il trasporto pubblico locali, negli autobus e nelle metropolitane, dovrebbe essere questo il momento per passare dalle leggi ai fatti. Invece, non se ne vede alcun segnale.

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La mobilità tenuta a distanza

Le forze politiche si tengono dunque distanti dalla mobilità, forse perché vogliono asseverare l’immagine di un paese immobile, quale siamo diventati da quarant’anni a questa parte. Molte delle questioni di cui abbiamo parlato fanno peraltro parte delle riforme che dovremmo introdurre per essere adempienti con il Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Il nuovo governo se le ritroverà sul tavolo, anche molto presto, appunto perché alcuni di questi temi rientrano negli obiettivi di riforma che devono essere realizzati entro la fine del 2022, per poter ottenere la tranche di finanziamenti comunitari del Pnrr. Chiusa la parentesi elettorale, si tornerà alla casella di partenza, laddove eravamo qualche mese fa, quando il governo Draghi è caduto proprio sulle mancate liberalizzazioni, nei trasporti e nelle concessioni balneari.

Ancora una volta è risultato evidente che non esiste un fronte politico adeguato ad affrontare i cambiamenti richiesti dall’evoluzione della mobilità. Al di là di tutte le retoriche affermazioni sulla “agenda Draghi”, vedremo presto se la diciannovesima legislatura si caratterizzerà con un profilo riformatore oppure se sarà ancora l’ennesima sessione protezionistica e immobile.

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  1. Savino

    Come si concilia tutto questo con la libera circolazione delle persone di derivazione comunitaria? E le difficoltà di chi nasce nelle zone interne che fine fanno? Lo vediamo che, ormai, l’orizzonte dei politici non va oltre la ZTL urbana ed essi non si misurano con le difficoltà vere della gente. L’ambientalismo di facciata di cui parlano è solo quello che ha infoltito la speculazione edilizia e l’aumento delle materie prime con l’assistenzialismo di Stato dato agli impresari col 110%. In Germania abbattono il caro-vita e aiutano l’ambiente incentivando i pendolari e già premunendosi per i problemi energetici e noi abbiamo solo riempito le città di inutili monopattini. Il presidente della Camera del M5S è andato a lavoro solo il primo giorno col bus ad uso di telecamere e fotografi poi è tornato a moltiplicare le auto blu.

  2. Leonardo Bargigli

    Non è molto chiaro che cosa l’autore pensa sarebbe giusto fare in merito al problema del TPL

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