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Liz Truss, prima ministra senza mandato

Liz Truss è la nuova prima ministra del Regno Unito. A Downing Street arriva senza essere consacrata né da un voto parlamentare né da uno popolare. Molto probabilmente cercherà di cementare la sua posizione con elezioni anticipate. Ma i rischi non mancano.

Chi è Liz Truss

Classe 1975, deputata dal 2010, due figlie adolescenti, Liz Truss è la prima persona che diventa prima ministra senza l’appoggio né dell’elettorato né del parlamento. Negli ultimi decenni, anche Jim Callaghan (1976), John Major (1990), Gordon Brown (2007), Theresa May (2016) e Boris Johnson (2019) sono sì entrati al numero 10 senza aver guidato il loro partito a una vittoria elettorale, ma tutti avevano ricevuto il voto della maggioranza dei parlamentari del rispettivo partito. Non Liz Truss: il complesso meccanismo elettorale del partito conservatore, con multiple elezioni del gruppo parlamentare per scegliere due candidati per il ballottaggio decisivo dei membri del partito (purché tesserati da almeno tre mesi), l’ha vista ricevere la fiducia di solo 50 deputati su 357 al primo turno, e anche all’ultimo, quando erano rimasti tre pretendenti soltanto, ha ricevuto meno di un terzo dei consensi, battendo al fotofinish (8 voti) la rivale Penny Mordaunt per il secondo posto.

Le legittimità costituzionale formale della nomina lascia però un’assenza di mandato sostanziale che mina inevitabilmente l’autorevolezza morale di Truss. Per questo alcuni prevedono che cercherà di cementare la sua posizione con elezioni anticipate. Indirle è sicuramente una mossa ad altissimo rischio per Truss. Per il momento nessun sondaggio prevede una sostanziale maggioranza per i tory, e non sembra possibile che possa ripetersi l’allineamento fortuito di astri politici eccezionalmente favorevoli (la stanchezza nazionale per il dibattito sulla Brexit, un ineleggibile leader dell’opposizione, l’incondizionato adorante supporto della stampa di destra, l’effetto sulla partecipazione delle condizioni metereologiche) che portò al trionfo di Johnson. Se Truss perdesse 35-40 seggi, non avrebbe più la maggioranza ai comuni e nessuno degli altri partiti si offrirebbe di votare la fiducia, vista la misura dell’odio verso i tory e le catastrofiche conseguenze per i Lib-dem del patto faustiano che fecero con i conservatori. I probabili esiti di un’elezione nel 2022 sono una risicata maggioranza per i tory, o un parlamento in cui il maggior partito non arriva ai 310-312 deputati necessari per la fiducia (l’incertezza dipende dal numero di seggi ottenuti dagli irlandesi cattolici di Sinn Fein: poiché rifiutano di giurare fedeltà alla regina, seppure eletti, non sono autorizzati a votare ai Comuni). Nel primo caso, anche tenendo conto che molti si convertirebbero al “trussismo”, il governo sarebbe ostaggio di una manciata di deputati, garantendo una certa paralisi legislativa; nel secondo, Truss diverrebbe, probabilmente per poco, il leader dell’opposizione.

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Ipotesi sulle prossime mosse

Dietro le quinte, molti deputati si preparano a elezioni anticipate prima di Natale. Nel caso di inaspettato successo per i conservatori, darebbero a Truss un periodo di indiscussa autorevolezza morale, sia nel partito, sia nel paese. Nel peggiore dei casi, le assicurerebbero almeno un posto nella storia come prime minister dal più breve periodo in ufficio, visto che supererebbe l’attuale record di George Canning, morto nel 1827, 119 giorni dopo il suo ingresso al numero 10.

Se invece Truss decidesse di non indire elezioni, potremmo finalmente scoprire quali sono le sue posizioni politiche. La (ir)restibile ascesa di Liz Truss è interamente basata sulla sua zelighiana agilità nel cambiare posizione a seconda di come gira il vento e le opinioni di chi le sta davanti. All’università (Oxford, come prima di lei tutti i premier dal 1979, tranne Major, che aveva la licenza media, e Brown, che ha frequentato l’Università di Edimburgo) era presidente degli studenti Lib-Dem. Aggressiva nella campagna contro Brexit, è poi diventata più brexitista di Johnson, dichiarando di essersi sbagliata in pieno. Le due campagne elettorali che ha fatto per diventare leader non sono, per la loro natura, per niente istruttive. Quella per l’inclusione nel ballottaggio si è svolta prevalentemente dietro le quinte, cercando di convincere gli elettori – uno per uno – più con promesse di posizioni ministeriali che presentando una posizione politica coerente. Una volta insediatasi a Downing Street, Truss può tranquillamente ignorare le promesse fatte ai 160 mila membri del partito, in prevalenza maschi, anziani, bianchi, brexitisti e socialmente conservatori, che, se sono ancora in vita, voteranno comunque compatti per i tory alle prossime politiche. Avendoli convinti con la cuccagna di tagli alle tasse finanziati da debito pubblico, di riduzione dell’indipendenza dalla Banca d’Inghilterra, di battaglie contro l’ideologia woke e le politiche di genere, di erosione dei diritti dei lavoratori, di politica estera aggressiva e isolazionista (“non sono certa sa la Francia sia un amico o un nemico”) e rottura ancor più netta con la UE riguardo al confine con l’Irlanda, Truss potrà ora ignorare le promesse e concentrarsi a riconvertire gli elettori che avevano disertato i laburisti per Johnson, ma che dopo tre anni si sono resi conto di non aver ottenuto granché; e, dall’altro lato, potrà concentrarsi per impedire un’emorragia di voti di tory moderati, disgustati da tre anni di Johnson, verso i Lib-Dem, di recente galvanizzati dai successi nelle elezioni supplettive.

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Già se tornasse a posizioni che aveva tenuto in passato sarebbe un passo in avanti rispetto alle opinioni deliranti, alle proposte insensate e ai toni isterici, brillantemente catturati dalle vignette di Steve Bell, che abbiamo subito negli ultimi mesi. Truss è liberista in economia, ma farà comunque fatica a eliminare i milioni di lacci e lacciuoli che incatenano, a suo dire, le energie dell’imprenditorialità britannica. Al contrario di molti suoi colleghi parlamentari, non è socialmente conservatrice, ha sempre votato a favore dei diritti Lgbtq (per esempio per matrimoni e adozioni di coppie gay), anche se si è espressa contro il diritto all’autoidentificazione del genere, e non vorrà certo essere lei a scagliare la prima pietra contro chi ha commesso infrazioni coniugali; pur dicendo di condividere i valori cristiani, non è una regolare osservante religiosa. Si è spesso dichiarata un’ambientalista e ha promesso di imporre politiche che permettano al paese di raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette nel 2050, compresi il miglioramento dell’isolamento termico delle abitazioni e l’ampliamento della gamma di centrali nucleari. Liz Truss entra al numero 10 con bassissime aspettative, sia in casa sia all’estero, nonché tra gli elettori. Anche se, come si dice in Veneto, el pexo no xe mai morto, penso che sarà difficile per Truss risultare peggiore di quello che molti temono. Ma, come sa bene chi mi legge, le mie previsioni hanno in passato dimostrato una preoccupante tendenza a rivelarsi errate.

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Il Punto

  1. Savino

    Certamente il Regno Unito oggi rappresenta bene il trend in negativo delle democrazie in declino, delle istituzioni assembleari in declino, dei partiti politici in declino, così come in passato ne ha esaltato il prestigio di questi sistemi politici. Non deve, però, stupire eccessivamente la nascita di Esecutivi in Parlamento per una monarchia costituzionale parlamentare e ancora dal forte legame tra gruppi parlamentari e partiti politici. Se non altro, i cambi di casacca, così come li intendiamo in Italia, sono molto rari e i partiti (quello conservatore in questo caso) hanno al loro interno modalità di ricambio. In ogni caso, nulla a che vedere con sistemi para-presidenzialistici.

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