Scuola e università sono citate, con più o meno spazio dedicato, nei programmi di tutti i partiti candidati alle politiche. In una serie di articoli, analizziamo alcune delle proposte. Ecco quelle dal programma di Azione-Italia Viva.
Le proposte
A differenza di quelli degli altri partiti, il programma del Terzo Polo, guidato da Carlo Calenda e Matteo Renzi, non ha timori nell’affrontare di petto alcune carenze del nostro sistema di istruzione, a cominciare dall’inadeguatezza dei livelli di apprendimento rilevati dall’Invalsi e dal basso numero di laureati, prendendosi forse anche il rischio di scontentare una parte consistente del mondo della scuola e dell’università.
Le principali ricette per la scuola proposte da Azione e Italia Viva sono:
- Innalzamento dell’obbligo scolastico a 18 anni, che coinciderebbe con il termine delle superiori, per allinearci agli standard europei.
- Estensione del tempo pieno nella scuola primaria.
- Rilanciare il sistema nazionale di valutazione.
- Aumento retribuzione e istituzione di una carriera dei docenti con posizioni di middle management.
- Intervento mirato nelle aree svantaggiate, attraverso l’identificazione delle scuole in cui operare sulla base dei dati, incentivo economico per i docenti che decidono di fermarsi almeno per un ciclo in queste scuole, riduzione del numero di allievi per classe.
- Ridisegnare l’istruzione professionale di Stato secondo il modello duale (scuola-lavoro) con docenti provenienti da fuori del mondo della scuola.
- Formazione incentivata al sostegno per i docenti curricolari.
- Riqualificazione in dieci anni di tutti gli edifici scolastici.
- Libertà di scelta della scuola, aiutando chi sceglie le paritarie.
Quelle per l’università invece sono:
- Sostegno economico per l’alloggio agli studenti fuori sede.
- Internazionalizzazione degli atenei attraverso corsi in inglese e docenti stranieri.
- Reclutamento di nuovi ricercatori.
- Trasformazione delle università in fondazioni di diritto privato a capitale pubblico.
L’analisi
Cominciamo dalla scuola e dall’innalzamento dell’obbligo scolastico a 18 anni. Oggi in Italia l’istruzione è obbligatoria dai 6 anni fino ai 16 (generalmente, il secondo anno della secondaria di secondo grado, o scuola superiore). Anche se l’obbligo scolastico è raggiunto a 16 anni, quello formativo dura fino ai 18: fino alla maggiore età, chi lavora ha diritto a seguire – e il suo datore di lavoro ha il dovere di fornire – corsi di formazione legati alle attività svolte. In pratica, per la fascia d’età fra 16 e 18 anni l’assolvimento dell’obbligo formativo avviene con il ricorso a contratti di apprendistato di primo livello, ovvero un contratto di lavoro a tempo indeterminato che, a partire da 15 anni (c’è una evidente contraddizione fra la normativa scolastica, che impone di frequentare fino a 16 anni, e quella lavorativa, che consente di iniziare l’attività a 15 anni), permette di conseguire una qualifica professionale o un diploma professionale, alternando studio e lavoro: si tratta principalmente di occupazioni nel settore dei servizi o in piccole imprese.
Elevare l’età dell’obbligo, come proposto anche dal Pd, è una misura condivisibile. Uno dei pochi risultati su cui tutti gli studiosi concordano è che studiare di più è un vantaggio. Lo è per gli individui che migliorano le proprie prospettive lavorative e retributive: il rendimento dell’istruzione è anzi ben superiore a quello degli investimenti finanziari e immobiliari. Una maggiore istruzione – che non vuol dire solo formazione accademica, ma anche studi professionalizzanti – è anche un vantaggio per il paese, per la maggiore crescita economica e per la qualità della vita civile. Inoltre, l’innalzamento dell’età dell’obbligo azzererebbe la dispersione scolastica, oggi al di sotto del 13 per cento, anche se “forzare” i ragazzi a stare in aula non necessariamente conduce a un miglioramento degli apprendimenti, come dimostrano i dati Invalsi sulla dispersione implicita.
In termini pratici, va poi ricordato che la scuola italiana termina a 19 anni, non a 18: quindi l’età dell’obbligo andrebbe logicamente fatta coincidere con quella del termine degli studi superiori. Qui subentra la seconda parte della proposta di Azione-Italia Viva, assai più discutibile, di abbassare la fine della scuola a 18 anni per allinearsi ai paesi europei ed evitare che gli studenti italiani siano penalizzati nell’accesso la mercato del lavoro rispetto ai loro coetanei europei. In realtà, è un ragionamento semplicistico: quello che conta non è tanto l’età a cui si ottiene il diploma, ma il numero complessivo di anni di istruzione ricevuti (o, meglio ancora, l’ammontare complessivo di ore e, di conseguenza, la qualità degli apprendimenti) e quindi, a fortiori, anche l’età di inizio della scuola. Per quel che riguarda l’età iniziale, la situazione europea è molto variegata: il livello Isced1, corrispondente alla nostra primaria, inizia a 4 anni in Irlanda del Nord, a 5 nel resto del Regno Unito (dove però non vi è un obbligo statale e spetta quindi ai genitori decidere quando far iniziare la scuola ai figli), 6 nella maggior parte del continente e 7 in alcuni paesi scandinavi. L’età di conseguimento del diploma vede due gruppi – più o meno equivalenti – di paesi: quelli i cui studenti terminano a 18 anni (fra cui Francia, Paesi Bassi e Regno Unito) e quelli a 19 (noi e i paesi del Nord Europa). Non è quindi vero che l’Italia sia un’anomalia per gli anni di scuola: 13 anni è una durata piuttosto frequente in Europa.
L’opportunità di anticipare il termine degli studi era stata affrontata dal ministro Francesco Profumo, che nel 2012 aveva istituito una commissione di studio: gli esiti del lavoro non sono purtroppo mai stati resi pubblici. È comunque facile immaginare che la discussione si sia concentrata su due ipotesi principali: una traslazione dell’attuale sistema, facendo partire la primaria a 5 anni e limitando a due gli anni della scuola dell’infanzia; una contrazione a 4 anni della secondaria di secondo grado. La seconda strada porterebbe a significativi risparmi in termini di numero di cattedre (valutabile in circa 1,5 miliardi di euro a regime), ma richiederebbe un profondo (e peraltro necessario) ripensamento dei curricoli delle superiori e, forse, un allungamento dell’orario giornaliero. Nell’anno scolastico 2018-2019 fu avviata una sperimentazione in 192 scuole, di cui 65 paritarie e 144 licei, che prevedeva il completamento della scuola secondaria di secondo grado in 4 anni. Di questa sperimentazione, completata a giugno 2022, non sono ancora noti i risultati: del resto non è mai stato previsto un piano di valutazione di impatto che evitasse il rischio, molto concreto, che gli studenti iscritti alle scuole sperimentali costituiscano un gruppo selezionato per abilità o retroterra famigliare. Nondimeno, il ministro Bianchi ha recentemente ampliato la sperimentazione ad altre mille scuole.
Per quel che riguarda gli altri temi proposti da Azione-Italia Viva, di alcuni – come l’estensione del tempo scuola e la carriera degli insegnanti, largamente condivisibili, e la libertà di scelta fra scuole statali e non – si è già discusso in precedenti analisi (in particolare, quelle di Sinistra italiana, Pd e Forza Italia). Un unicum nel programma di questo gruppo è rappresentato dal riferimento al Sistema nazionale di valutazione, tema inviso a molti insegnanti: pur senza dar troppi dettagli, il Terzo Polo si propone di rilanciarlo, partendo dallo schema introdotto nel 2013. Gli elementi cardine sono: il ruolo dei test Invalsi nella valutazione di sistema e delle scuole, ma non dei singoli studenti; la continua autovalutazione delle scuole attraverso apposite schede (Rav); e, soprattutto, l’istituzione di un corpo di ispettori che dovrebbe utilizzare i dati Invalsi per condurre visite sul campo e fornire indicazioni sugli aspetti dell’attività scolastica che vanno migliorati. L’ultimo punto è quello critico: in passato il Ministero non ha investito sugli ispettori, i cui numeri rimangono largamente insufficienti per condurre una valutazione sistematica del sistema scolastico.
Se gli interventi nelle aree scolastiche svantaggiate e sull’istruzione professionale appaiono disegnati secondo una strategia razionale (simile a quella adottata del Pnrr), l’obiettivo di rifare tutti gli edifici scolastici in dieci anni è velleitario: il costo del rifacimento integrale del patrimonio edilizio scolastico si aggira infatti sui 200 miliardi di euro.
Per quel che concerne l’università, a fianco di proposte già contenute nel Pnrr – come il diritto allo studio e gli alloggi universitari – o sulle quali gli atenei sono attivi da tempo – come l’internazionalizzazione, incentivata nella parte premiale del Fondo di finanziamento ordinario – spicca l’idea di trasformare le università in fondazioni, con patrimonio interamente versato dallo stato. L’obiettivo è da dare maggiore flessibilità gestionale agli atenei (ad esempio nelle assunzioni e dismissioni di personale), che uscirebbero così dal perimetro statale. Va però notato che anche l’istituto delle fondazioni ha notevoli rigidità gestionali, a cominciare dalla natura delle attività ammissibili e dalle regole di governance. Inoltre, la legge Gelmini già consente la trasformazione, anche se nessuna università ne ha finora approfittato, forse per l’assenza di vantaggi certi.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Vincenzo Pascuzzi
Anche Azione-Italia Viva ignorano, evitano di dare indicazioni su costi, tempi, priorità, obiettivi e modalità di monitoraggio del loro c.d. Programma sull’Istruzione ….
Marcello
In Francia, paese civile, i libri sono gratuiti e il tempo pieno è la norma, la scuola è un diritto fnondamentale dei cittadini e il motto è più o meno “voi comprate le penne al retso ci pensa lo Stato”.. In italia, la scuola secondaria di primo grado, cioè le medie, terminano alle 14.00, tranne qualche eccezione, e per i libri di testo si spendono per ogn figlio circa 400 euro il primo anno e 300 nei due anni successivi. Al di la delle analisi e proposte fantasmagoriche irrealizzate e/o irrealizzabili, comincerei con qualcosa di semplice e comprensibile a tutti. Libri gratuiti per tutti gli alunni dlle medie, senza questa sciocchezza dell’ISEE che premia solo evasori e disonesti.. Costo poco più di 300 mln/anno, un’inezia nella cornucopia di aiuti e sussidi elargiti in questi anni. Tempo pieno per tutti, docenti motivati con stipendi europei. Cose semplici, ma in grado di contrastare efficacemente i crescenti tassi di abbandono e l’analfabetismo funzionale che segnenerà in modo inesorabile il destino sociale ed economico dell’Italia. Infine una considerazione. Negi ultimi tre anni sono stati regalati circa 40 mld a tutti, senza nessun criterio patrimoniale o di necessità, favorendo speculazioni e spese folli per il rinnovo delel facciate delle abitazioni private. Con una parte di quesi soldi si sarebbero potute mettere a norma le scuole italiane, dotarle di impianti sportivi e ricreativi, l’effetto sull’conomia sarebbe stato pressochè lo stesso, ma in più avrebbe rappresentato un investimento per il futuro, un’investimento sulle per nuove generazioni. E invece siamo qui a parlar dl nulla e domani si torna a scuola, in aule fatiscenti, con orari provvisori, senza palestre, senza impianti di areazione,. Complimenti dei veri geni, ma dove viveono le nostre elite dirigenti?
Mariana Nagy
Bravi. Speriamo di vincere