Ora che i dati delle elezioni sono definitivi, si può provare a calcolare i risultati che ipotetiche alleanze tra partiti di Centrosinistra avrebbero potuto ottenere nei collegi uninominali. Solo in un caso la maggioranza in Senato sarebbe stata garantita.
Dati definitivi sul voto
La proclamazione dei deputati e dei senatori eletti il 25 settembre rende definitivi i risultati degli scrutini dei voti pubblicati sul sito del Ministero dell’Interno. Ciò offre l’opportunità di verifiche e considerazioni su alcuni aspetti della contesa elettorale sui quali si discusse nella fase di formazione delle liste e delle alleanze tra i partiti. In particolare, dà la possibilità di verificare la plausibilità delle diverse ipotesi di contendibilità dei singoli collegi uninominali sulla base della possibile diversa composizione delle alleanze tra partiti. In quest’articolo sono presentati i risultati di una simulazione relativa ai collegi uninominali del Senato, che è il ramo del Parlamento su cui si era in particolare appuntata l’attenzione; in un prossimo contributo ci si soffermerà sulla rilevanza delle pluricandidature nell’elezione dei senatori, nonché dell’importanza dei candidati sui voti raccolti nei singoli collegi uninominali dai partiti o dalle alleanze elettorali che li avevano proposti.
Il rilievo dei collegi uninominali
La vittoria dell’alleanza di Centrodestra (CD) è dovuta al predominio dei suoi candidati nei collegi uninominali sia alla Camera sia al Senato; gli eletti in quei collegi costituiscono più della metà dei seggi conquistati in entrambi i rami del Parlamento. Al Senato solo dodici collegi uninominali hanno eletto senatori del M5s (5) o dell’alleanza di Centrosinistra (CS) nella composizione che ha concorso alle elezioni (+Europa, Pd, Sinistra italiana-Verdi, Impegno civico).
Nel Centrosinistra, tenuto conto dei veti reciproci tra i partiti, si sarebbero potute formare due diverse – e alternative – alleanze elettorali: + Europa+Pd+Azione (CS1) oppure Pd+Sinistra italiana-Verdi+M5s (CS2). Nessuno dei capi di questi partiti aveva preso in considerazione l’idea di partecipare al “campo largo” proposto dal segretario del Pd. L’obiettivo perseguito con ognuna di queste due alleanze – con perno sempre il Pd – era sottrarre quanti più voti possibile al Centrodestra, fino a fargli perdere o assottigliarla al massimo la maggioranza. Per questo si puntava soprattutto sul Senato, dove la vittoria anche un esiguo numero di collegi in più, rispetto a quelli ritenuti “blindati” per il Centrosinistra, avrebbe potuto fare la differenza.
L’esito dello spoglio delle schede dimostra la sostanziale inefficacia dell’alleanza CS1. Avrebbe vinto solo in sette collegi, sei dei quali vinti già dall’alleanza CS nella composizione che ha effettivamente partecipato alle elezioni. Il seggio in più sarebbe stato quello in cui era candidato il capo di Azione. La maggioranza del CD di 115 senatori sarebbe stata solo scalfita, conservando sostanzialmente lo stesso margine di sicurezza.
La contendibilità in bilico
Diverso sarebbe stato l’effetto dell’alleanza CS2. Avrebbe potuto aggiudicarsi in totale 36 seggi, cioè 24 in più di quelli conquistati da CS e M5S, dei quali 23 sottratti al CD e 1 a Nord chiama Sud. L’efficacia di quest’alleanza si sarebbe manifestata soprattutto nei collegi delle regioni del Meridione e nelle due grandi isole (soprattutto in Sicilia), ossia nelle aree dove la massa di voti raccolti dal M5s è stata più consistente di quella prevista dai sondaggi. Nelle regioni che si presumevano “blindate” per il Centrosinistra sarebbe cambiato poco: si sarebbe aggiunto un solo un seggio conquistato in Toscana. Nonostante il consistente spostamento dell’equilibrio delle forze nei collegi uninominale, neanche l’alleanza CS2 avrebbe avuto la maggioranza dei senatori (si sarebbe fermata a 96 seggi), ma il Centrodestra sarebbe diventato minoranza, totalizzando solo 92 senatori (115-23).
Per ottenere questo esito, tuttavia, si dovrebbe dare per scontata una “affezione” degli elettori ai singoli partiti per i quali hanno votato tanto forte da continuare a sostenerli nella stessa misura anche nel caso di una loro partecipazione all’alleanza elettorale CS2. Ma è rischioso presumere che i voti dei partiti si sarebbero sommati senza alcuna defezione: gli elettori di un partito non apprezzano di essere confusi con quelli degli altri partiti alleati. Nel caso specifico, è molto probabile che una parte degli elettori del Pd non avrebbe gradito l’alleanza con i Cinquestelle, e viceversa. Se non fosse stata compensata dalla capacità di attrarre elettori che altrimenti si sarebbero astenuti o che avrebbero votato per altri partiti fuori dalla coalizione, l’eventuale defezione anche di un piccolo numero di votanti avrebbe influito sul numero dei seggi conquistati sia nella quota proporzionale sia nei collegi uninominali; cambiando l’assegnazione di quei collegi uninominali che la coalizione di CS2 avrebbe conquistato con un ridotto vantaggio di voti sul CD. Sui 23 collegi in più ipoteticamente conquistati, solo 6 potrebbero essere considerati al riparo da questo rischio, perché il numero di voti di scarto (superiore a 25mila) e la sua, contestuale, incidenza percentuale (superiore al 10 per cento) sulla somma del numero totale dei voti del CD e del CS2 avrebbero probabilmente costituito un paracadute rispetto all’eventuale fuga di una parte degli elettori del Pd o del M5s. Nella parte sinistra della Figura 1, si osserva però che in sette collegi il margine di tolleranza del rifiuto dell’alleanza da parte degli elettori del CS2 si restringe fortemente: il numero e la percentuale non arrivano in nessun caso a 8.500 e al 3,5 per cento. Elevando questa percentuale al 6 per cento, i collegi diventano 13. In sostanza, anche sommovimenti relativamente modesti nell’elettorato dell’alleanza CS2, avrebbero potuto dare al CD la maggioranza al Senato, seppure più risicata di quella attuale.
La sola possibile alleanza anti CD che avrebbe potuto ottenere la maggioranza dei seggi al Senato sarebbe stata quella formata da Pd, Sinistra italiana-Verdi, + Europa, Azione-Italia viva e M5S. Avrebbe vinto in 48 collegi uninominali, che sommati ai 69 seggi ottenuti nella ripartizione proporzionale, avrebbe potuto dare al “campo largo” una maggioranza dello stesso ordine di grandezza di quella che gli elettori hanno effettivamente assegnato al Centrodestra. Naturalmente, anche questa simulazione dà per scontato l’accettazione dell’alleanza da parte degli elettori che hanno votato i singoli partiti, al netto della capacità dell’alleanza di calamitare, di per sé, ulteriori elettori di orientamento di centrosinistra convinti fosse strategica la polarizzazione del sistema politico elettorale.
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Savino
E’ proprio così. Aggiungo che i litigi del campo largo avrebbero avuto comunque ripercussione internazionale inferiore agli audio pro-Putin di Berlusconi
GIOVANNI
Interessante….anche se sia più un mero esercizio di stile.
massa silenziosa
Non avrei mai votato M5S se questi si fossero alleati con i comunisti.
Ad ogni modo è bene che questa volta ci sia stato un vero cambiamento, come auspicato la volta precedente, con la sinistra fuori dal potere. Poi Di Maio ci ha tradito.
Conte dovrebbe comunque appoggiare i provvedimenti a favore dei cittadini italiani senza badare al colore politico del nuovo governo. Non ci interessa.
Rick
E molti elettori del PD non avrebbero mai votato PD se questi si fossero alleati con i grillini.
Letta é stato sommerso di critiche per la sua strategia, ma scegliendo di non andare né con Calenda né con M5S ha massimizzato i voti per il suo partito. Quando sai che non puoi vincere, puntare ad essere il migliore tra i perdenti (cioé il piú forte partito di opposizione) puó essere una strategia sensata.
Marco Chiodini
Durante il Conte 2, contestualmente all’approvazione del taglio dei parlamentari, il PD aveva le carte in mano per imporre una modifica della legge elettorale. Approvare una riforma in senso proporzionale (con soglia di sbarramento più o meno alta), avrebbe garantito una non-vittoria della destra meglio di qualsiasi coalizione maggioritaria.
La riforma proporzionale avrebbe però affossato l’idea del “campo largo”, cioè quel tentativo di resurrezione dell’Ulivo, ma fortemente sbilanciato verso il populismo a 5S, che molti dirigenti PD agognano. Per questo motivo il PD ha preferito non riformare la legge elettorale, pur avendo il “capitale politico” per approvare una simile riforma. Il risultato è stato che il “campo largo” è crollato prima di nascere per evidenti contraddizioni di linea politica e per l’opportunismo politico di Conte, che non è disposto a recitare la parte di un Bertinotti, ma vuole invece comandare. Questa legge elettorale ha di conseguenza consegnato il paese alla destra.
Conclusione: il PD ha affossato il proporzionale a causa delle sue nostalgie vetero-comuniste e fondamentalmente illiberali. Invece di abbracciare l’idea di una competizione aperta tra visione liberale-riformista e visione illiberale -populista, che data la distribuzione del consenso in Italia è possibile solo in un sistema parlamentare proporzionale, il PD ha preferito un sistema di contrapposizione bipolare tra opposti populismi. E in questo sistema Conte completerà l’OPA ostile sul PD, visto che ad una versione sbiadita del populismo si tende sempre a preferire la versione non annacquata.
pieffe
Il c.d. campo largo sarebbe stata un’ammucchiata, senza alcuna base politica; la riedizione dell’Unione del 2006. E poi, chi sarebbe stato il federatore, il nuovo Prodi? Enrico “stai sereno”? La politica non è aritmetica; e purtroppo manca.
Enrico Motta
Dopo le valutazioni realistiche di CS1 e CS2, che senso ha prendere in considerazione una ipotesi del tutto irrealizzabile come il campo largo, la terza che l’autore valuta? Se mia nonna avesse le ruote sarebbe un tram!