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Un’analisi del programma del Partito Democratico sull’istruzione

Scuola e università sono citate, con più o meno spazio dedicato, nei programmi di tutti i partiti candidati alle politiche. In una serie di articoli, analizziamo alcune delle proposte. Ecco quelle dal programma del Partito Democratico.

Il programma sulla scuola del Partito Democratico prende le mosse dalla preoccupazione per il ritardo degli apprendimenti nel Mezzogiorno, che i dati Invalsi 2022 ci dicono essere inferiori del 10 per cento rispetto al Nord: un distacco che equivale a numerosi mesi di istruzione perduti. Dopo questa premessa, le proposte però non si concentrano in modo specifico sulla riduzione dei divari di apprendimento fra le aree del Paese, tranne quella che riguarda l’estensione del tempo scuola, da realizzarsi prevalentemente al Sud: l’abbiamo già commentata positivamente analizzando il programma di Sinistra Italiana. Il programma dei Democratici si indirizza, invece, su numerosi aspetti dell’organizzazione scolastica, a cominciare dalle retribuzioni degli insegnanti, il tema che più ha destato l’attenzione degli osservatori.

Tabella 1 – Retribuzioni degli insegnanti in Italia

Fonte: Eurydice, 2021 Teachers Salaries, EU Country Sheets. PPS indica a parità di potere d’acquisto. Isced02 è la scuola dell’infanzia, Isced 1 è la primaria, Isced 24 è la secondaria di primo grado, Isced 34 la secondaria di secondo grado.

La proposta è di “restituire al mestiere dell’insegnante la dignità e centralità che merita, garantendo una formazione adeguata e continua e allineando, entro i prossimi cinque anni, gli stipendi alla media europea”. Secondo i dati 2021 di Eurydice, la rete dei ministeri dell’istruzione europei, la retribuzione annua lorda iniziale in Italia è pari a 24.297 euro per un’insegnante dell’infanzia e della scuola primaria e di 26.114 euro per un’insegnante della secondaria (Tav 1, dove sono riportati i valori in euro e a parità di potere d’acquisto)

Fonte: Eurydice, 2021 Teachers Salaries, EU Country Sheets. PPS indica a parità di potere d’acquisto. Isced02 è la scuola dell’infanzia, Isced 1 è la primaria, Isced 24 è la secondaria di primo grado, Isced 34 la secondaria di secondo grado

Dopo quindici anni di lavoro (la durata dell’impiego è in media di 35 anni) la retribuzione annua lorda (Ral) di un docente si aggira sui 30 mila euro e sale a 39.500 a fine carriera per chi insegna nella scuola secondaria. Si tratta di valori in linea con la retribuzione media di un lavoratore dipendente, ma del 30 per cento circa inferiori a quella di un lavoratore laureato.

La proposta del Pd richiama esplicitamente l’allineamento alla media degli stipendi europei. Come si collocano quelli italiani rispetto agli altri paesi? Vi sono due aspetti da sottolineare. In primo luogo, se si considerano gli stipendi iniziali degli insegnanti di scuola superiore nei paesi che aderiscono alla rete Eurydice (sostanzialmente quelli dell’Unione europea, dell’Efta-European Free Trade Association, e quelli balcanici candidati all’Ue), la media semplice è pari a 29 mila euro, quindi circa 3 mila euro al di sopra del valore italiano. I paesi dell’Est Europa mostrano retribuzioni significativamente più basse, anche a parità di potere d’acquisto: per esempio, in Estonia, che pure è uno dei sistemi scolastici con i migliori risultati nei test Pisa dell’Ocse, un docente delle superiori guadagna a inizio carriera 16 mila euro. Diversa è la situazione rispetto ai paesi dell’Europa occidentale, che, immaginiamo siano il riferimento del Partito democratico: un insegnante italiano guadagna poco meno di un collega francese, ma assai meno di uno spagnolo (35 mila), di uno scandinavo (40 mila) e, soprattutto, di un tedesco (60 mila). La forbice si restringe tenendo conto delle differenze nel costo della vita, ma resta molto ampia. Il secondo aspetto rilevante riguarda la dinamica retributiva: i salari dei docenti italiani crescono poco lungo l’arco della vita lavorativa: arrivano a circa 40 mila euro a fine carriera, e solo per effetto dell’anzianità; in un paese come la Francia, che parte da livelli molto simili ai nostri, le retribuzioni a fine carriera raggiungono i 50 mila euro.

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La proposta non chiarisce se si vogliano aumentare le retribuzioni dei docenti innalzando il livello di partenza e lasciando la dinamica attuale o, viceversa, si preferisca rendere più rapida la progressione dello stipendio, legandola a un’eventuale carriera degli insegnanti. Le implicazioni sono diverse: nel primo caso l’aumento sarebbe sostanzialmente uguale per tutti gli insegnanti, indipendentemente dalle competenze, dall’impegno, dall’aggiornamento professionale, dalla disponibilità e capacità di assumersi maggiori responsabilità nella scuola o di lavorare nelle situazioni più difficili; nel secondo, invece, i passaggi retributivi andrebbero verosimilmente legati a qualche forma di valutazione del merito dei docenti. Va detto che l’impegno preso dall’Italia con l’Unione europea nel Pnrr aveva scelto esplicitamente questa seconda strada, sebbene la recente riforma del reclutamento (legge 79 e decreto Aiuti bis) ne dia una lettura minimalista: prevede un solo gradino retributivo, legato alla formazione, dopo nove anni; il Pd si è però dichiarato contrario a questo meccanismo di carriera, impopolare fra gli insegnanti, chiedendone lo stralcio dal decreto.

A quanto ammonterebbe il costo per le finanze pubbliche dell’aumento proposto dal Pd? Utilizzando i dati salariali medi del 2019-20 (gli ultimi disponibili da Eurydice), si può moltiplicare la differenza fra il valore medio europeo (36.627 euro) e quello italiano (33.261) per i 699 mila docenti di ruolo: l’aggravio di spesa a regime (ma il Pd ipotizza un percorso di avvicinamento graduale) sarebbe quindi pari a 2,35 miliardi di euro all’anno. Per dare un’idea, si tratta dell’equivalente annuo di quanto verrà speso complessivamente per adeguare tutte le scuole alle tecnologie digitali di qui al 2026.

Fra le altre proposte degne di nota, ricordiamo: la dotazione di un pc per ogni studente, la gratuità dei servizi educativi fino a tre anni per le famiglie con bassi redditi (non meglio definiti), la gratuità dei libri di testo (anche qui in base all’Isee), un aumento ulteriore dei docenti di sostegno (che in Italia sono già 200 mila) e la creazione di ambienti scolastici sicuri dal punto di vista sanitario, attraverso l’installazione di sistemi di ventilazione meccanica. Per nessuna di queste misure vengono fornite previsioni di spesa, anche se si tratta di interventi sicuramente costosi: nel caso dei sistemi di ventilazione, oggetto di ampia discussione negli ultimi due anni, però qualche ipotesi si può fare. Dall’esperienza delle Marche, dove sono stati realizzati sistemi di ventilazione meccanica, sappiamo che il costo medio dell’intervento è pari a 4 mila euro per aula: si tratta probabilmente di una sottostima, perché, a fianco delle opere sulle murature e i condotti d’aria, spesso è necessario anche il rifacimento dell’impianto elettrico. Moltiplicando per le 333.850 classi in Italia (nell’ipotesi che a ogni classe corrisponda un’aula) si giunge a un investimento complessivo di 1,335 miliardi di euro per assicurare la ventilazione meccanica a tutti gli studenti delle scuole statali. Si tratta di un investimento iniziale assai significativo, a cui vanno aggiunti i costi annui di manutenzione ordinaria: è noto infatti che se gli impianti non sono mantenuti in perfette condizioni, il rischio di diffusione del virus addirittura peggiora.

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Per quel che riguarda l’istruzione universitaria, il Pd propone la costituzione di un sistema di welfare allargato rispetto all’attuale diritto allo studio, il potenziamento dell’edilizia universitaria e alcune modifiche – un po’ criptiche, per la verità – delle procedure di carriera dei ricercatori che provengono dall’esterno degli Atenei. In generale, il tema dell’istruzione terziaria (compresi la formazione professionalizzante) non sembra centrale fra le proposte del Partito democratico.

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Il voto non è uguale per tutti

  1. Lorenzo Luisi

    Per piacere qualcuno può dire alle forze politiche che esistono studi rigorosi per la misurazione dell’IAQ e che la ventilazione meccanica è necessariamente dispendiosa economicamente ed energeticamente e con risultati paragonabili a quelli ottenibili, a parità di frequenza di ricambio dell’aria, con l’aerazione naturale?
    Un esempio qualificato in “SINPHONIE Inquinamento Indoor nelle Scuole e Salute Osservatorio Europeo”
    [https://www.ventilazionecasa.it/wp-content/uploads/2020/06/Sinphonie-II_Italian-Guidelines.pdf]

  2. Una delle misure fondamentali per il riequilibrio Nord/Sud del paese è l’estensione della scuola a tempo pieno in tutti i cicli dell’obbligo.
    Il tempo pieno – inteso come scuola su cinque giorni, onnicomprensiva, senza compiti a casa – costituisce una misura indispensabile per incrementare le ore dedicate allo studio e all’acquisizione di nuove competenze anche mediante le attività extracurriculari, nonché una leva fondamentale per offrire pari opportunità ai giovani che vivono in contesti sociali/familiari svantaggiati. Il tempo pieno, quindi, anche come strumento contro la diseguaglianza. Generalizzare la scuola a tempo pieno vuol dire offrire a tutti la possibilità di essere supportati dagli insegnanti in caso di carenze scolastiche; significa costruire percorsi didattici che possano consentire, ad esempio, al termine dell’obbligo scolastico, di conseguire il livello base della Patente europea del computer e la certificazione della lingua inglese livello B1.
    Inoltre, se è vero che lavoro ed istruzione sono le due armi primarie per combattere le mafie, l’estensione della scuola tempo pieno in tutte le regioni interessate al fenomeno è condizione indispensabile per offrire ai ragazzi ed ai giovani di quei territori una alternativa culturale alla sottocultura mafiosa: più tempo sui libri, con gli insegnanti e coetanei e meno dentro le loro famiglie, perché la mafia è una subcultura che ha radici forti, che si consolida attraverso l’introiezione di codici e modelli di comportamento che vanno contrastati offrendo un’alternativa di valori positivi e di contenuti.

  3. Leonardo Tagliente

    Concordo su buona parte del suo pregevole intervento. Solo un piccolo appunto: la sottocultura mafiosa, alla quale si può in qualche assimilare il disagio (eufemismo) presente in tutte le periferie delle nostre città, è un fenomeno non più circoscrivibile geograficamente alle aree del sud Italia. La cosiddetta patente europea del computer è oramai preistoria, anche se il digital divide continua ad essere progressivamente in crescita fino a livelli quasi abissali in alcune fasce della popolazione. L’inglese B1 dovrebbe essere un livello da conseguire al massimo al termine delle scuole medie. Ci si continua ad occupare dell'”hardware” della scuola, ma bisognerebbe più propriamente occuparsi di progettare ed implementare il “software”: competenza e competenze. Infine, bisognerebbe cominciare a dare prospettive serie a chi frequenta la scuola (ed auspicabilmente l’università), altrimenti la motivazione ai sacrifici e all’impegno evapora.

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