Scuola e università sono citate, con più o meno spazio dedicato, nei programmi di tutti i partiti candidati alle politiche. In una serie di articoli, analizziamo alcune delle proposte. Ecco quelle dal programma della Lega.

La formazione dei docenti

A differenza di altri partiti finora esaminati (qui, qui, qui e qui), il programma della Lega entra in profondità su alcuni aspetti dello stato corrente dell’istruzione in Italia, come la qualità della didattica e il sostegno agli studenti con disabilità. Contemporaneamente, però, richiama “parole d’ordine” specificamente dirette al suo elettorato, come la propaganda nelle scuole, piuttosto discutibili. Vediamo i principali temi affrontati.

Il Patto per la scuola proposto dal partito di Matteo Salvini inizia definendo in dettaglio la formazione richiesta ai docenti: “Docenti formati in didattica generale e speciale, pedagogia generale e speciale rivolta ai bisogni educativi speciali, pedagogia sperimentale, didattica disciplinare, laboratori pedagogico-didattici, tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la didattica, con valutazione psico-attitudinale in ingresso e in itinere”.

Al di là dei test psicoattitudinali, che sarebbero certamente fonte di controversie nel mondo della scuola, pur essendo previsti per altre professioni pubbliche, il profilo disegnato dalla Lega risponde a una descrizione accurata dei contenuti della formazione di un insegnante moderno: in particolare, i confronti internazionali sottolineano il ritardo degli insegnanti italiani nelle competenze didattiche delle singole discipline; inoltre, lo studio della pedagogia sperimentale aiuterebbe a comprendere meglio la natura e gli scopi della valutazione, spesso osteggiata dentro la scuola.

Il sostegno agli studenti con disabilità

Un interessante approfondimento viene dedicato al tema del sostegno, tipicamente trascurato dai programmi degli altri partiti, se non per la promessa di assumere docenti extra. La Lega nota che “oltre un terzo dei docenti attualmente incaricati su posto di sostegno è privo di specializzazione, ovvero della formazione necessaria”, censurando l’assenza di una formazione specifica di molti insegnanti di sostegno, soprattutto a seguito del ridotto numero di posti nei corsi di specializzazione offerti dalle università. La proposta è quindi che “chi ha maturato almeno tre anni di esperienza sul campo nel sostegno ad alunni con disabilità deve poter accedere direttamente ai corsi di specializzazione”: in altre parole, permettere ai docenti che hanno già messo insieme un po’ di esperienza di fare corsi e tirocini dedicati al sostegno, costringendo le università a metterli a disposizione. Il numero di insegnanti di sostegno senza un posto di ruolo ha infatti raggiunto i 122 mila su 200 mila, creando continue discontinuità didattiche a danno di studenti particolarmente fragili come quelli con disabilità: una rapida risposta all’emergenza, peraltro prevista anche nella recente legge sul reclutamento, appare a questo punto inevitabile.

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Il programma della Lega affronta anche la questione degli istituti tecnici e professionali, sottolineando la necessità di rendere più competitivi i secondi (che in tutte le rilevazioni forniscono in effetti risultati di apprendimento molto modesti) e di legare maggiormente i contenuti alle esigenze del sistema produttivo locale. Manca invece – ed è interessante – un esplicito riferimento all’autonomia differenziata nella scuola, ovvero il passaggio di competenze alle regioni. Il programma auspica inoltre un rafforzamento dell’alternanza scuola lavoro, oggi “Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento”: condivisibile, ma va ricordato che fu Marco Bussetti, un ministro della Lega, a ridimensionarne la portata, soprattutto nei licei.

La questione della “propaganda”

Solleva invece molte perplessità un altro punto del programma della Lega, quando si afferma “Stop alla propaganda a scuola. Per qualunque proposta educativa inserita nella domanda di iscrizione, nel patto educativo di corresponsabilità, nel piano dell’offerta formativa e nelle varie attività laboratoriali e/o progettuali, in particolare per quanto riguarda progetti relativi a bullismo, educazione all’affettività, superamento delle discriminazioni di genere e di orientamento sessuale, pari opportunità, dispersione scolastica, educazione alla cittadinanza e alla legalità e ogni altra iniziativa che coinvolga l’ambito valoriale e dell’educazione sessuale, deve esserci l’esplicito e libero assenso dei genitori o di chi ne fa le veci”.

L’implicazione è che se non tutti i genitori sono d’accordo, non se ne fa nulla. Difficile concordare. In primo luogo, è sbagliato pensare che affrontare questi temi a scuola determini quei comportamenti che la Lega vuole censurare: come ebbe a spiegare Xavier Bettel, il primo ministro gay del Lussemburgo, a Viktor Orban, commentando la legge ungherese che vieta la rappresentazione di identità di genere diversa dal sesso alla nascita, non fu certo aver guardato una trasmissione tv all’origine della sua omosessualità. In secondo luogo, temi come il superamento delle discriminazioni, le pari opportunità, la lotta al bullismo, il contrasto alla dispersione scolastica e l’educazione alla cittadinanza discendono direttamente da leggi dello stato, dai trattati internazionali o dalla Costituzione stessa: per esempio, le competenze di cittadinanza sono oggetto di analisi periodiche in tutti i paesi avanzati, esattamente come quelle di comprensione della lingua o di matematica, perché a livello internazionale si ritiene che debbano essere parte integrante per agire come cittadini responsabili e per partecipare pienamente alla vita comunitaria. Francamente, su queste basi, l’opt-out da questi insegnamenti è equivalente a dare agli studenti la possibilità di non seguire più italiano o matematica.

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Infine, la Lega rilancia un suo storico cavallo di battaglia, il superamento del precariato, attraverso l’assunzione in ruolo dei 150-200 mila insegnanti annuali a tempo determinato. La questione è ovviamente seria e reale; messa così, però, la proposta ha due problemi. Primo, non garantisce un miglioramento della qualità dell’insegnamento: nel testo, infatti, non si parla di alcuna forma di selezione dei nuovi docenti, che andrebbero assunti in quanto già da tempo nella scuola. Secondo, dato il calo demografico in corso, un ingresso così massiccio di docenti in un solo anno rischierebbe di bloccare le assunzioni di neo laureati per molti anni a venire. In definitiva, più che una proposta per migliorare la scuola, appare una captatio benevolentiae tutta elettorale.

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