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La morale della storia *

Il finale dell’affaire Antonveneta è ancora incerto. Ma i documenti mostrano che il richiamo al principio di italianità è un luogo comune che nasconde interessi particolari. Il rispetto delle regole dimostrato dai contendenti nullo. E sorprendenti le analogie con altre scalate del 2005. Quanto agli arbitri, Consob ha agito prontamente, mentre il Governatore della Bamca d’Italia ha autorizzato Bpl ad assumere il controllo di Antonveneta con procedure anomale, arrecando un grave danno alla credibilità esterna della Banca e al suo funzionamento interno.

Non è ancora chiaro quale sarà il finale della storia della scalata ad Antonveneta, soprattutto dopo la clamorosa iniziativa della magistratura di procedere al sequestro delle azioni della banca padovana e alla sospensione da ogni incarico societario di Gianpiero Fiorani, del suo direttore finanziario Gianfranco Boni, di Emilio Gnutti e di Stefano Ricucci.

Se il finale della storia è incerto, la morale che si può trarre, anche guardando solo al capitolo della scalata di concerto, comincia a essere chiara: può essere riassunta in quattro punti che riguardano il principio di italianità in nome del quale si è combattuta la battaglia, il rispetto delle regole dimostrato dai contendenti, il collegamento con le altre scalate del 2005, il ruolo delle istituzioni, in particolare della Banca d’Italia, che avrebbero dovuto fungere da arbitri della contesa.

Il principio di italianità

Fin dal momento in cui si è delineata la volontà di Abn Amro di assumere il controllo di Antoveneta è stata sventolata la sacra bandiera dell’italianità, cioè della difesa del controllo italiano delle banche. La stessa accoglienza è stata riservata all’offerta per Bnl avanzata dagli spagnoli del Banco di Bilbao Vizcaya. Una parola d’ordine avallata dalla Banca d’Italia e subito ripresa con compunta determinazione dal mondo politico. In quei giorni, dichiarazioni favorevoli ad un’aggregazione pilotata da Fiorani e soci sono state rilasciate da esponenti di un arco politico molto vasto. Nessuno però, e tanto meno Fiorani, si è mai dato cura di dare un contenuto più preciso a questo vuoto concetto. E così le lodi del “radicamento territoriale” oppure i solenni richiami alla “attenzione all’apparato produttivo locale” sono rimasti nel campo dei luoghi comuni. Esattamente come era successo quando si voleva difendere a ogni costo la “meridionalità” del Banco di Napoli o del Banco di Sicilia.
I documenti ufficiali, compreso il carteggio con la Banca d’Italia fanno riferimento a un’altra dimensione dell’italianità, che però ha poco a che vedere con gli interessi generali. Bpl dichiara infatti nella sua lettera dell’11 febbraio all’autorità di vigilanza di agire “su sollecitazione di imprenditori locali”. Chi? Forse quelli che partecipavano alla cordata e/o quelli che si accingevano a spartirsi qualche centinaia di milioni di euro guadagnati con l’uso disinvolto di informazioni riservate.
L’unico localismo che emerge in questa vicenda è quello dei rapporti preferenziali fra una banca (meglio: un banchiere) e una serie di soggetti che ne traggono pingui tornaconti personali. Si tratti dei trentacinque clienti come l’imprenditore agricolo Carlo Baietta o dei nuovi immobiliaristi, il copione è sempre quello dei clienti privilegiati, come era avvenuto nel caso Bipop e, risalendo per li rami, alla famigerata “lista dei 500” delle banche di Sindona.
Non è un caso che Emilio Gnutti dichiari alla Consob di essersi dissociato dal patto di sindacato di Antonveneta anche perché il nuovo management dell’istituto padovano gli aveva chiesto di rimborsare il fido ottenuto. Le condizioni di favore sono evidentemente considerate come un atto dovuto nei confronti degli azionisti di riguardo, con tanti saluti ai conflitti di interesse e alla particolare prudenza con cui dovrebbero essere realizzate le operazioni con parti correlate. Alcuni soggetti sono dunque convinti che a loro le regole si applicano con molta elasticità. E infatti uno dei protagonisti negativi della vicenda continua a sedere imperterrito nel consiglio di amministrazione di una grande banca (Gnutti, vicepresidente del Monte dei Paschi di Siena) nonostante una condanna in primo grado per insider trading: con la nuova normativa sarebbe ipso facto causa di perdita dei requisiti di onorabilità necessari per far parte dell’organo amministrativo di una banca.
L’italianità in sé interessa dunque ai suoi sostenitori quanto la riconquista del Santo Sepolcro premeva a coloro che predicavano le crociate, mossi, prima che da nobili motivi spirituali da ben più concreti interessi commerciali e di potere.

Il rispetto delle regole

Per conquistare Antonveneta, un boccone da quasi tutti gli analisti indipendenti ritenuto troppo grosso per una banca dalla crescita così intensa e così ricca di particolari inquietanti, Bpl ha violato sistematicamente le regole più importanti del mercato finanziario e della corretta gestione bancaria. È accertato che l’istituto guidato (fino alla sospensione) da Fiorani non ha rispettato le norme sui patti parasociali, cioè norme fondamentali di trasparenza del mercato del controllo proprietario. Il fatto che ciò sia avvenuto in un periodo così delicato come l’imminenza di un’offerta pubblica di acquisto rende la violazione ancora più grave: non a caso le cronache riferiscono di possibili reati di manipolazione di mercato. Le modalità con cui sono avvenuti gli acquisti da parte dei clienti eccellenti ha indotto la procura di Milano a ipotizzare anche il reato di insider trading. Infine, i fidi per oltre un miliardo di euro concessi in pochi giorni a tali clienti, senza garanzie, per operazioni che potevano essere fortemente rischiose, sono contrari alle buone regole della tecnica bancaria.
Le polemiche di agosto sui protagonisti della scalata ad Antonveneta sembrano per lo più improntate (anche da parte dell’opposizione) a criticare le intercettazioni telefoniche e la diffusione dei loro contenuti: la seconda carica del Paese ha affermato che non ritrovava in esse elementi di carattere penale o deontologico. Il punto non è affatto questo: le intercettazioni sono solo la forma colorita di una sostanza grave, già emersa negli atti di accertamento Consob e nel decreto di sequestro delle azioni. Questi documenti dimostrano che la scalata è avvenuta violando tutte le regole possibili di funzionamento del mercato finanziario e bancario e che il Governatore della Banca d’Italia ha avallato e sostenuto violazioni così gravi.
La delibera Consob di maggio aveva confermato che la Banca Popolare di Lodi e i suoi alleati avevano diffuso comunicazioni false a proposito delle azioni Antonveneta rastrellate in Borsa, in primo luogo non rivelando al mercato l’esistenza di un patto di sindacato. Tutto ciò ha alterato gravemente il quadro informativo e ha impedito agli azionisti della banca padovana di prendere una decisione consapevole sulle operazioni in corso. Si tratta di una violazione gravissima delle regole sulle offerte pubbliche e sul controllo societario. Non a caso Luigi Zingales ha ricordato che negli Stati Uniti uno dei protagonisti negativi del capitalismo rampante degli anni Ottanta era stato condannato perché nel corso di una scalata aveva intestato alcuni pacchetti azionari a società di comodo.
Se qualcuno nutre ancora qualche dubbio sulla gravità del depistaggio sistematico che è stato realizzato, si legga il seguente passo del decreto di sequestro delle azioni Antonveneta.

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“Diffondevano (i soggetti indagati) le seguenti false notizie al mercato:

a) di non possedere né direttamente né indirettamente altre partecipazioni nel capitale sociale di Banca Antonveneta oltre a quelle specificamente indicate alle autorità e al mercato” (comunicati bpl del 9 e 16 marzo e del 6 aprile 2005);

b) che la “determinazione (di collocarsi fra gli azionisti stabili di Antonveneta) sarà assunta previa valutazione dei prezzi e delle quantità, compatibili con l’esigenza di non creare turbative al mercato. Tutto ciò ovviamente nell’ambito delle prescritte autorizzazioni” (comunicato del 12 aprile 2005);

c) che “l’attività di intermediazione per conto terzi sul titolo Bav svolta da Bpl nel rispetto formale e sostanziale delle vigenti disposizioni non ha alcun nesso con la partecipazione detenuta né tanto meno con pretesi accordi con gli attuali azionisti di Bav (comunicato del 16 marzo e del 6 aprile);

d) che non sono stati “stipulati accordi (opzioni, contratti preliminari, a termine o condizionati, accordi per gli acquisti o per il voto) aventi per oggetto le azioni Bav e di non aver concluso – in forma scritta o in altra forma – patti parasociali con azionisti della medesima banca (comunicati Bpl del 16 marzo e 6 aprile);

e) che secondo quanto deliberato dal cda di Bpl, “l’eventuale acquisto non dovrà comunque superare il 30%” (comunicato Bpl del 16 aprile);

f) che il gruppo facente capo all’imprenditore Ricucci definiva come destituita di ogni fondamento la notizia di stampa secondo cui il Gruppo avrebbe ricevuto da istituti bancari una finanziamento finalizzato all’acquisto di azioni Bav, ribadendo che l’acquisto era stato eseguito con mezzi propri;

così inducendo il mercato, nella convinzione che Bpl non avesse acquistato titoli (direttamente o per interposta persona) in quantità superiore al quella di volta in volta comunicata, che non intendesse superare la soglia di cui all’art. 106 tuf e che non esistesse un “concerto” come poi accertato da Consob con delibere del 10.5 e 22.7″.

Gli interventi della magistratura, in particolare il clamoroso sequestro delle azioni del 25 luglio, dimostrano che vi sono ipotesi di violazioni ben più gravi e di rilievo penale. Ma da tempo sulla stampa si era parlato di ipotesi di insider trading e di aggiotaggio informativo e manipolativo. È vero che in questo caso (ma non in quello precedente) dobbiamo aspettare di saperne di più prima di giudicare, ma un conto è il garantismo, uno è il giudizio che è possibile esprimere fin d’ora sulla disponibilità di Fiorani e soci a rispettare le regole di funzionamento del mercato.
Il decreto di sequestro preventivo delle azioni offre un quadro circostanziato delle condotte di mercato addebitate ai cosiddetti concertisti:

avendo [Bpl] organizzato il rastrellamento di azioni Antonveneta:

· Mediante l’utilizzazione in prima battuta di diversi soggetti, persone fisiche, persone giuridiche,, e società offshore, sempre ed integralmente finanziati dalla bpl, con tassi inferiori a quelli normalmente praticati e non richiedendo nella maggioranza dei casi alcuna garanzia per l’apertura di credito;

· Occultando la reale motivazione della concessione dei finanziamenti ed in taluni casi anche il reale destinatario degli stessi, all’uopo avvalendosi di società off-shore e tra queste Garlsson Real Estate SA (riconducibile a Ricucci) cui veniva erogato da Bpl Suisse e con fideiussione di Bpl Scarl, un credito di 100 milioni di euro, fittiziamente destinato a finanziare un’inesistente operazione immobiliare, invece impiegato per l’acquisto di azioni Antonveneta;

· Interponendo per l’acquisto di azioni antonveneta fondi di investimento offshore tra i quali Generation Fund, finanziati direttamente anche tramite Bpl Suisse.

Le storie parallele

La scalata ad Antonveneta si è svolta contemporaneamente ad altri due raid borsistici che hanno reso incandescente il mercato finanziario italiano nel primo semestre del 2005: quella a Bnl e quella al Corriere della Sera. Ciascuna scalata, come le famiglie infelici di Tolstoi, fa naturalmente storia a sé, ma le coincidenze almeno fra quelle che riguardano le due banche sono inquietanti: coincide il sacro principio dell’italianità; coincidono i soggetti che orchestrano l’operazione; coincidono le banche finanziatrici; coincide il problema dell’acquirente molto più piccolo della preda. Il sospetto che si stia scrivendo un capitolo di “vite parallele” degno di Plutarco si fa sempre più robusto.
Unipol ha più volte dichiarato di avere un disegno industriale significativo e di essere in grado di dissipare i molti dubbi agitati dagli analisti sulla possibilità di creare valore in un’operazione che comporta costi finanziari elevatissimi e dal ritorno assai incerto, considerate anche le condizioni di debolezza della banca obiettivo (non certo risolte dall’ultima gestione, nonostante la presenza nell’azionariato di tutti coloro che si sono proposti per risolverne i problemi, a cominciare – va detto – dagli spagnoli del Banco di Bilbao). Ma se così non fosse, la nostra storia sarebbe solo un capitolo di una saga ancora tutta da scrivere e da meditare. Sicuramente saremmo di fronte a un’operazione di potere perfettamente analoga a quella su Antonveneta (e forse a quella su Rcs) cioè a un tassello del disegno che, come dice Edmondo Berselli, porta solo a “lottizzare posizioni nel circuito della rendita attraverso una pratica di accordi e alleanze trasversali”.

Il ruolo degli arbitri

La Consob ha dimostrato di sapere agire prontamente, grazie anche ai maggiori poteri e all’azione coordinata con la magistratura derivanti dalla nuova legge (imposta dall’Europa) sugli abusi di mercato e soprattutto ha preso una decisione coraggiosa pochi giorni dopo l’assemblea di fine aprile che ha modificato il corso dell’intera vicenda. Ben diverso è il giudizio che si deve dare sull’operato della Banca d’Italia e soprattutto del Governatore Antonio Fazio.
In ogni concerto che si rispetti c’è uno spartito, un’orchestra, un solista e un direttore. La cronaca che abbiamo ricostruito dimostra che Fiorani è la mente che ha scritto lo spartito fin dai tempi della scalata alla Banca Popolare di Crema. È anche il solista che esegue i pezzi più difficili, ben seguito da orchestrali che sono anche suoi compagni di affari e che si sono esercitati in questa e altre esecuzioni con diligente entusiasmo. Rimane scoperto il ruolo di direttore d’orchestra e molti non esitano ad assegnarlo al Governatore della Banca d’Italia.
Già qualche mese fa, Alessandro Penati osservava che “l’aspetto incomprensibile della vicenda è l’atteggiamento del Governatore della Banca d’Italia: perché mette in gioco la reputazione personale, e quella dell’Istituzione, pur di appoggiare apertamente l’espansionismo di una banca così debole?”. Dopo gli accertamenti della Consob e le prime indiscrezioni che filtrano dalle inchieste della magistratura, rispondere a questa domanda è ancora più difficile. Dal punto di vista formale, la Banca d’Italia ha finora dimostrato la correttezza del proprio operato sul piano amministrativo sia davanti al Tar, sia a Bruxelles, e ovviamente non si tratta di un aspetto secondario. Ma sul piano sostanziale la documentazione che abbiamo citato dimostra ampiamente che un progetto che aveva l’italianità come unico formale obiettivo, privo peraltro di alcun contenuto reale, è stato accolto con tale favore da ricevere autorizzazioni che hanno pochi precedenti nella storia bancaria italiana.
Tutto questo già dimostra che Bpl aveva violato regole di sana e prudente gestione, cioè l’essenza stessa della vigilanza di stabilità affidata alla Banca d’Italia. Non è né sano né prudente concedere in pochi giorni 1,1 miliardi di euro di finanziamenti a tasso molto basso e senza garanzie per investire in un’operazione rischiosa come una scalata societaria. I controlli interni della banca (la base della sana e prudente gestione come recitano le istruzioni di vigilanza) escono a pezzi da questo episodio; non è sano né prudente interporre schermi societari, per di più finanziati dalla banca; non è sano né prudente tacere al mercato operazioni che sono sicuramente effettuate con parti correlate. E molti di questi aspetti vengono citati nella relazione della Vigilanza dell’8 luglio sulla Popolare Lodi. La stessa relazione poi clamorosamente bocciata da Fazio, per dare comunque via libera all’Opas di Fiorani.

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Un danno incalcolabile

Questo è il prezzo pagato per sostenere l’italianità del sistema bancario, l’obiettivo dichiarato dal Governatore e avallato dall’esecutivo almeno a partire dallo sciagurato “pranzo dello Sciacchetrà” di gennaio scorso (quando la scalata era già partita). Un mito che, come ha detto Ferruccio de Bortoli, si è infranto nel dedalo degli interessi anche personali di un gruppo di amici finanziati da Fiorani per acquistare titoli dell’istituto padovano.
È possibile che il Governatore abbia appoggiato la scalata senza sapere delle violazioni normative che Fiorani e soci stavano commettendo. Ma è gravissimo che una volta accertato questo aspetto fondamentale (da maggio, si ripete) egli abbia continuato ad appoggiarne il disegno fino alla autorizzazione decisiva all’Opas di Bpl su Antonveneta (il 12 luglio).
Quest’ultima decisione è stata presa contro il parere di due alti funzionari della Vigilanza. E, peggio, facendo ricorso al parere di tre esperti esterni, un fatto senza precedenti che ha aperto così un conflitto tutto interno a Bankitalia mai visto prima.
Che Fiorani abbia ricevuto un trattamento privilegiato è quindi nella vicenda stessa. Ed è anche questo un fatto grave, perché già prima che iniziasse la scalata ad Antonveneta si poteva stigmatizzare che un banchiere venisse presentato come il “pupillo di Fazio” o come l’autore di una crescita “sponsorizzata” da via Nazionale. Eppure queste sono le espressioni ricorrenti nella stampa da molti anni e ovviamente sempre più frequenti nel corso della scalata. Il danno che ne è derivato all’indipendenza della Banca d’Italia e alla sua capacità di essere super partes rispetto ai soggetti vigilati è incalcolabile, anche solo sulla base di questi aspetti. È inaudito che la seconda carica dello Stato affermi di non trovare nulla di “moralmente censurabile” nelle intercettazioni che hanno dato ulteriore evidenza a tutti questi fatti.
Come se non bastasse, qui si apre il capitolo più scottante: se nel corso della vicenda la Banca Popolare di Lodi abbia sempre rispettato i principi di sana e prudente gestione e in particolare i coefficienti patrimoniali che sono la base fondamentale della vigilanza prudenziale. Qui il giudizio è ancora sospeso, ma basterà mettere in evidenza almeno i seguenti aspetti.

a) la complessità della struttura di controllo e il frequente ricorso a strumenti di finanza derivata avevano indotto molti analisti indipendenti a formulare da molto tempo dubbi sulla consistenza patrimoniale effettiva di Bpl;

b) le acquisizioni passate avevano comportato emissioni obbligazionarie cospicue: la struttura del passivo di Bpl è molto diversa da quella del sistema bancario e tale, secondo Alessandro Penati, a farla assomigliare più ad un hedge fund che a una banca;

c) la ricapitalizzazione di marzo aveva comportato emissione di titoli ibridi che il mercato aveva accolto imponendo spread da junk bond;

d) la cessione di quote di minoranza delle società del gruppo Bpl a banche estere appare sempre più sospetta e tale da comportare un (oneroso) impegno di riacquisto da parte della banca;

e) è stato utilizzato uno schermo societario (Earchimede) inizialmente taciuto al mercato e poi rivelatosi riconducibile a uno dei componenti la cordata;

f) Moody’s ha declassato al livello D+ (cioè un gradino sopra il minimo assoluto) il suo giudizio sulla solidità finanziaria della banca e della controllata Efibanca.

Era sulla base di queste considerazioni che ben due capiservizio della Banca d’Italia ritenevano opportuno negare a Bpl l’autorizzazione ad assumere il controllo di Antonveneta. Per superare questa opposizione, Fazio ha usato una procedura anomala e irrituale. Anche in questo caso, il problema non è se la procedura sia difendibile sul piano strettamente formale, ma il vulnus che ne deriva per la credibilità esterna della Banca e per l’armonia del suo funzionamento interno.
Duole che sia adesso la magistratura penale ad avere la parola decisiva al riguardo. È auspicabile che, come è finora avvenuto sul piano amministrativo, sia possibile dimostrare la piena correttezza almeno formale dell’operato della Banca d’Italia. Ma sul piano sostanziale vale il vecchio detto di Talleyrand: “È più che un delitto; è un errore”.

* Conclusioni dell’articolo di Vittorio Malagutti e Marco Onado che sarà pubblicato sul prossimo numero di “Mercato Concorrenza Regole”, ed. Il Mulino. Uno speciale ringraziamento a Giuliano Amato per averci concesso l’opportunità di pubblicare in anteprima questo articolo.

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Un fallimento troppo “amministrato”

  1. Luca Bandiera

    Ho letto con enorme interesse l’anrticolo di Marco Onaldo. Questo e’ il valore aggiunto della Voce: la sostanza dell’informazione. Pero’ l’articolo e’ lunghissimo e bisognerebbe introdurlo meglio. Il lettore potrebbe ritenere l’interezza delle sue parti piuttosto complesse, ma tra loro saldamente collegate.
    Comunque, articolo bellissimo. Complimenti.

  2. grigorieff

    Vi ringrazio per l’anticipo della pubblicazione dell’articolo di Onado e Valagutti e anche dei vari documenti originali . Sono costernata;non mi rassegnerò all’idea che questa è l’Italia. Sarà anche questa , ma non è solo questa.
    Distinti saluti

  3. Giuseppe gaggero

    Nel congratularmi per il bellissimo articolo del prof. Onado, prendo spunto dal suo paragrafo relativo al danno inferto al sistema Italia dal comportamento del Governatore Fazio per porre questa domanda: è possibile parlare di una responsabilità civile e patrimoniale di Fazio nelle note vicende? in altri termini, sussistono i presupposti giuridici affinché il comportamento di Fazio possa essere considerato una violazione dei suoi obblighi per cui debba ora far fronte per risarcire il danno causato?
    Se così non fosse, porrei un’altra domanda: se chi ricopre tale carica non è responsabile civilmente delle azioni che compie (attraendo implicitamente il suo operato nell’ambito di una sfera politica insindacabile, ma così non mi pare), il sistema dovrebbe essere munito di una “valvola di sicurezza” per impedire che le fuoriuscite sommergano tanto impunemente il paese; esiste un responsabile della “valvola di sicurezza”? Se sì, perchè non paga (in questo caso, solo in termini politici)?
    Si perdoni la metafora ed il semplicismo, ma credo che il paese abbia necessità di regole chiare e semplici e comportamenti esemplari nel rispetto delle stesse.
    Se la politica (perché questa, e non Fazio, è in ultima analisi la vera responsabile di questa situazione) non è in grado di provvedere a ciò, è la politica che bisogna curare.
    Il comportamento di Fazio non è che uno degli effetti distorti della malattia della nostra politica, cioè nostra, purtroppo.
    Grazie.
    Giuseppe Gaggero

  4. Alberto Cottica

    Torno ora da un lungo viaggio americano e l’articolo di Onado mi è stato utilissimo per capire quello che da laggiù era francamente inintelleggibile. Se ne potrebbero trarre molte riflessioni sul senso morale della nostra classe dirigente, e in particolare su quella sua parte che, come Antonio Fazio, proviene dall’esperienza della Democrazia Cristiana. Preferisco però unirmi alle lodi per il formato “cronologia+fonti+commento” dell’articolo. Abbiamo bisogno di queste cose, continuate così.

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