Le crisi finanziarie creano molti danni, ma sono anche messaggi utili per regolatori distratti. L’ultimo caso sollecita la ricerca di regole più semplici, uniformi e trasparenti, per governare scenari di incertezza per far fronte a eventi imprevisti.
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La bufera che ha investito il sistema bancario americano ed europeo non sembra placarsi. Le ragioni vanno ricercate nella difficoltà di gestire la politica monetaria in un contesto di alta inflazione e in una situazione rapidamente cambiata per le banche.
Le banche quotate italiane hanno effettivamente aumentato la rappresentanza femminile nelle posizioni di vertice, come prescritto dalla legge Golfo-Mosca, senza mettere in atto pratiche per aggirare la norma. Ma non c’è stato l’auspicato cambio culturale.
Quindici anni dopo la crisi finanziaria, si torna a parlare di cartolarizzazioni. Riattivare quel mercato potrebbe essere utile a molti scopi in tempi di tassi crescenti. È però necessario ripensare il rigido contesto normativo che lo regola in Europa.
Da più di due anni l’Unione Europea emette una discreta quantità di “Eu Bonds”. Non hanno assunto però le caratteristiche di un free risk asset e i loro tassi d’interesse sono superiori non solo a quelli tedeschi, ma anche a quelli francesi e spagnoli.
Il ciclo di rialzi dei tassi dovrebbe portare a un raffreddamento dell’inflazione secondo i modelli Bce, al costo però di una recessione. I ritardi nella trasmissione degli impulsi monetari non consentirebbero, se necessari, tempestivi cambi di rotta.
Il nuovo accordo di Basilea sui requisiti patrimoniali delle banche avrebbe dovuto entrare in vigore quest’anno, ma è stato rinviato al 2025, proprio perché prevede un netto cambiamento d’indirizzo. Molti i nodi da sciogliere per le autorità europee.
L’aumento di pochi punti percentuali dei tassi deciso dalla Bce porta a forti incrementi delle rate dei mutui a tasso variabile. Ne potrebbe derivare un problema di sostenibilità economica dei costi abitativi, pronto a trasformarsi in un problema sociale.
La politica della Bce è meno aggressiva di quanto si pensi. Non c’è una “stretta monetaria” e la Banca centrale fa bene a uscire dalle politiche ultra-espansive degli ultimi anni. Rinviare la “normalizzazione” non farebbe altro che aumentarne i costi.
L’inflazione ha forti conseguenze su consumi, redditi e ricchezza degli individui. Eppure, l’opinione pubblica e i politici si concentrano solo sull’aumento dei prezzi di pochi beni, come la benzina. E guardano con sospetto l’azione delle banche centrali.