Che si cominci dalle famiglie povere con figli, come prevede la legge di stabilità 2016, o dai pensionati, l’importante è avviare un percorso che riveda in modo ampio e approfondito il nostro sistema assistenziale. Per sanare le iniquità e per rispondere al complesso dei bisogni delle persone.
L’equità delle politiche di assistenza sociale
Il livello di equità sociale in un paese è l’esito dell’azione e dell’interazione dell’insieme delle politiche pubbliche, da quelle regolative a quelle per l’acquisizione e l’erogazione di risorse. Il tema dell’equità, rilanciato da Tito Boeri, comporterebbe la riconsiderazione critica di tutte queste politiche, un argomento troppo impegnativo e vasto per essere qui trattato.
Ci concentriamo allora sulle sole erogazioni di assistenza sociale, che hanno effetti diretti e rilevanti in termini di equità. Valutare l’equità del totale delle risorse ad esse dedicate è arduo, anche perché i bisogni trattati hanno tale rilevanza per la vita delle persone che gli interventi in merito possono apparire sempre inadeguati. L’espediente della comparazione fra paesi, pur approssimativo per la diversità dei sistemi, evidenzierebbe che la nostra spesa è nella media europea, mentre è inferiore a quella dei paesi dell’Europa centrosettentrionale.
Anche il valutare l’equità della distribuzione della spesa fra le diverse politiche sociali è problematico (tabella 1). La distribuzione attuale è frutto di eredità storiche, sensibilità sociale e capacità di pressione politica e della loro evoluzione nel tempo, e non risponde quindi a nessun criterio razionale.
Qualche valutazione equitativa si può fare entrando nel merito della distribuzione dei benefici delle singole politiche fra coloro che condividono condizioni di bisogno analoghe. In larga misura consistono in erogazioni monetarie nazionali, il che è criticabile, ma semplifica il confronto.
Il principio di equità può essere così declinato: dare a ciascuno in rapporto ai suoi bisogni, e quindi dare solo a chi è in condizione di bisogno socialmente rilevante e riconosciuto e, fra questi, dare di più a chi ha maggior bisogno. Possiamo allora giudicare non equo che ai quattro quinti delle famiglie italiane, e proprio a quelle più benestanti in base all’Isee (indicatore della situazione economica equivalente), vada quasi il 20 per cento delle risorse nazionali dedicate a interventi di sostegno alle famiglie e quasi il 18 per cento di quelle dedicate al contrasto alla povertà (tabella 2). E questo mentre molte delle famiglie in povertà assoluta, oltre 4 milioni di persone, non ricevono nessun sostegno. E possiamo anche giudicare non equo che nelle politiche di sostegno alla non autosufficienza e alla disabilità ricevano un identico sostegno economico (indennità di accompagnamento) persone che necessitano di una assistenza personale di intensità molto diversa.
Un sistema da considerare nel suo complesso
Le non equità richiamate andrebbero riconosciute, affrontate, sanate. Fra coloro che si pongono il problema, taluni ritengono lo si possa fare solo chiedendo più risorse e assegnandole a coloro che risultano oggi svantaggiati, perché giudicano impraticabili processi redistributivi, mentre può essere praticabile il superamento dei vincoli economici e del loro uso politico. Altri condividono la richiesta di maggiori risorse per affrontare bisogni in crescita, come ad esempio la povertà nella recente crisi economica o la non autosufficienza per l’evoluzione demografica ed epidemiologica. Ma non considerano invece realistica né praticabile la richiesta di risorse aggiuntive in misura tale da ottenere significativi effetti equitativi senza rivedere situazioni oggi relativamente privilegiate. E propongono quindi di cominciare a perseguire maggiore equità anche fra i beneficiari delle attuali erogazioni economiche con prudenti e graduali processi redistributivi, che concorrano a coprire le più gravi carenze assistenziali.
Nel contrasto alla povertà, erogazioni economiche finalizzate a integrare redditi insufficienti (pensione e assegno sociale, ad esempio) potrebbero essere gradualmente ridotte o eliminate a beneficiari di famiglie con l’Isee molto elevato, non solo per la componente patrimoniale ma anche per quella reddituale. Persone e famiglie per le quali l’erogazione monetaria di cui beneficiano rappresenta, insomma, una quota marginale rispetto all’insieme delle loro entrate.
Analogo ragionamento si può riproporre per i sostegni alla famiglia, dove vediamo che gli attuali benefici (esenzioni fiscali o assegni monetari) penalizzano i nuclei familiari incapienti, giovani, con più figli a carico. E le politiche contro la povertà e a favore delle famiglie andrebbero considerate e riformate insieme, per le loro consistenti interazioni. Insomma, non bisogna ragionare per comparti, ma riconsiderare l’insieme delle politiche sociali, per massimizzare l’efficacia e l’equità conseguibili con le risorse che sono oggi – o che saranno domani – disponibili.
Si profila una opportunità da non lasciarsi sfuggire. La legge di stabilità prevede nel 2016 una revisione ampia del nostro sistema assistenziale. Che si cominci dalle famiglie povere con figli, come lì previsto, o dagli over 55 poveri, come vuole Boeri, l’importante è iniziare un percorso che deve estendersi per qualificarsi. Perché l’equità comporta in prospettiva l’universalismo, a uguali bisogni uguali sostegni, e anche per questo concorre alla efficacia delle politiche e degli interventi.
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stefano toso
Articolo che condivido totalmente. Due sole osservazioni: nel testo circa a metà di pag.1 si parla dei “quattro quinti della famiglie italiane” più benestanti in termini di Isee ma in realtà, se è corretta la didascalia dell’ultima colonna della tab. 2 (“spesa per 4 decili Isee più elevati”) si tratta dei due quinti delle famiglie italiane più benestanti. Seconda cosa: gli importi in milioni di euro della prima colonna della tabella 2 (“Spesa totale”) non dovrebbero essere uguali alla colonna in milioni di euro della tab. 1?
Emanuele Ranci Ortigosa
Grazie a Toso del consenso e delle osservazioni che mi permettono di correggere e di chiarire. Procedendo troppo frettolosamente alla riduzione del testo iniziale per rispettare i vincoli redazionali, i 4 decili del testo originario sono erroneamente diventati 4 quinti, e non 2 quinti!
I diversi valori delle due tabelle sono dovuti soprattutto al campo trattato: la tabella 1 considera tutte le spese per assistenza sociale degli enti pubblici; la tabella 2 analizza la distribuzione sociale solo delle prestazioni monetarie nazionali gestite dall’Inps e delle detrazioni fiscali per le famiglie, oggetto della riflessione proposta. Ulteriori differenze sono dovute alla diversa fonte dei dati trattati: contabilità pubblica 2014 per la tabella 1, It.silc 2013 su redditi 2012 rivalutati su prezzi 2015 per la tabella 2.
Mi scuso con redazione e lettori e spero di avere ora adeguatamente chiarito.
Donata lenzi
caro professore riprendo una discussione che con lei ho avuto altre volte mentre in aula alla camera ora,sabato 19 dicembre, per un ora e mezza la totalità delle opposizioni e un po’ di maggioranza spara contro l’Isee. le famiglie ricche,non compilano l’isee. quelle che sono nella fascia alta delle sue valutazioni sono ceto medio.D’accordo che non possano ricevere sussidi destinati alla lotta alla povertà ma su tutti gli altri interventi (sostegno famiglie e non autosuff.autosufficienza)penso si debba riflettere meglio prima di escludere chi paga più del 40% del proprio reddito in tasse da qualsiasi provvidenza sociale.
Emanuele ranci Ortigosa
Grazie delle sue osservazioni che mi consentono ulteriori chiarimenti. I dati che indico non sono relativi alle sole famiglie che compilano l’Isee, ma a tutte le famiglie italiane, di cui sui dati del campione viene ricostruita l’Isee. Quindi quelle dei quattro decili superiori non sono ceto medio, o almeno sono famiglie di alto ceto medio o propriamente ricche. Moderati e graduali interventi redistributivi li propongo per le erogazioni destinate a integrare redditi per contrastare la povertà, non per le erogazioni per disabili o non autosufficienti per i quali va piuttosto riproporzionata l’erogazione, oggi uguale per tutti, all’entità del fabbisogno assistenziale. Per il sostegno alle famiglie come accettare l’attuale penalizzazione di quelle incapienti? La tematica é complessa e delicata, ma va affrontata!.
Rainbow
Quando si parla di non autosufficienza,e di indennita’di accompagnamento, occorre rendersi conto di che cosa si sta parlando! Gia’Cottarelli aveva proposto di legare la non autosufficienza al reddito ed al patrimonio x ridurre la relativa indennita’. Sono disabile motorio non autosufficiente,quindi posso portare la mia testimonianza personale x consentire di inquadrare a coloro che non hanno questi problemi,di rendersi conto della questione. La indennita’di accompagnamento x non autosufficienti veramente tali non viene intascata dal soggetto beneficiario,ma serve unicamente x pagare le assistenti familiari che forniscono l’assistenza necessaria all’asSistito, come avviene x me. Anzi,spesso,non e’neanche sufficiente,occorre integrare con proprie risorse come nel mio caso. Legare questa prestazione al reddito,o al patrimonio, x quei soggetti che la utilizzano x pagare le badanti,e’una cosa senza senso ed ingiusta! Perche’non e’un aumento di ricchezza x il soggetto,ma un mero trasferimentoi risorse verso altri soggetti. Altrimenti x costoro il principio solidaristico Costituzionale secondo cui”il soggetto impossibilitato provvedere al proprio mantenimento deve essere assistito dalla collettivita”,non varrebbe piu’perche’,in ragione del proprio reddito,costorodovrebbero utilizzare le proprie risorse personali x pagarsi le badanti! A prescindere dal fatto che questa sfortuna,la non autosufficienza,e’capitata a me,non lo trovo giusto!
Alberto Lusiani
Sbagliato il suo approccio (e di Cottarelli) di ridurre/eliminare i sussidi per inabilita’ e non-autosufficienza alle famiglie con ISEE elevato. Il risultato complessivo e’ accanirsi su famiglie con redditi medi colpite da malattie, disabilita’, non autosufficienza, con un peso iniquo e irragionevole. Esempio: oggi un invalido singolo al 100% bisognoso di assistenza diurna e notturna deve pagare 3000-4000 euro al mese di badanti, che non puo’ nemmeno dedurre per l’IRPEF partendo da redditi soglia _lordi_ di ~3300 euro al mese (40mila all’anno), redditi paganti oggi aliquota IRPEF marginale del ~40%. Norma iniqua italiana gia’ in vigore che lei vuole estendere, ad es. togliendo anche l’accompagnamento di ~400 euro al mese. Migliaia di euro di penalizzazione reale passando da 39500 euro a 40mila euro di reddito, che in questo caso sono reddito minimo di sopravvivenza. Una redistribuzione equa va fatta _solo_ con IRPEF e tasse patrimoniali, i sussidi invece vanno dati a tutti anche i piu’ ricchi ISEE (che li super-ripagano con le loro tasse). Meno controlli e burocrazia aggiuntiva sui sussidi e piu’ equita’ tra redditi medi colpiti da gravi patologie e redditi medi non colpiti. Azzerando i sussidi ai “ricchi” si fa di fatto demagogia sul tema sussidi ai “ricchi” non valutando adeguatamente il bilancio reale complessivo di tasse pagate, benefici ricevuti e compensazione/assicurazione (in Italia obbligatoria e statale) per infortuni e disabilita’.