Le nuove regole che guidano il funzionamento del Senato hanno introdotto alcune importanti novità. Più difficile formare gruppi parlamentari dal nulla e l’astensione non è più un voto contrario. Un governo di minoranza potrebbe avvantaggiarsene.
Come cambia il regolamento del Senato
Il 19 gennaio, è stata pubblicata in Gazzetta ufficiale la delibera di modifica del regolamento del Senato, proposta dalla Giunta per il regolamento il 14/11/2017 e definitivamente approvata (con modificazioni) a maggioranza assoluta dall’assemblea il 20/12/2017 (nonché quasi unanimità dei partecipanti al voto).
Nell’intenzione dei proponenti, le modifiche introdotte dovrebbero rendere il funzionamento dell’assemblea più efficace, sia rispetto al passato sia rispetto alla stessa Camera dei deputati. Quasi sintomatico che modifiche del genere siano avvenute proprio all’inizio di una legislatura che, se non formalmente almeno politicamente, segna per qualcuno un passaggio alla “Terza Repubblica” e per altri un semplice ritorno alla “Prima”.
Le modifiche sono numerose e riguardano circa 60 articoli, vale a dire circa un terzo del totale. Si occupano principalmente di tre questioni: rendere meno vantaggioso il cambio di gruppo parlamentare, rafforzare il ruolo delle Commissioni permanenti, semplificare e aggiornare alle ultime disposizioni dell’Unione europea votazioni e procedimenti.
Più nello specifico, resta il vincolo numerico (minimo) di dieci senatori per costituire un gruppo parlamentare. Ma il gruppo non può più formarsi liberamente a partire da zero in Senato, bensì deve derivare da forze che, singolarmente o anche congiuntamente, abbiano concorso alle ultime elezioni per l’assemblea (articolo 14) oppure derivare da fusione di gruppi esistenti (articolo 15), con le uniche eccezioni dei senatori eletti in regioni a statuto speciale o appartenenti a minoranze linguistiche. Inoltre, i componenti di alcuni organi del Senato che cambino gruppo in corso di legislatura decadono dal loro incarico e devono essere sostituiti (articolo 13 per vicepresidenti e segretari del Senato, articolo 27 per tutte le cariche dell’Ufficio di presidenza delle Commissioni permanenti).
Per quanto riguarda l’attività delle Commissioni permanenti, è introdotto il criterio dell’assegnazione dei disegni di legge di norma in sede deliberante o redigente (articolo 34), opzione non prevista alla Camera; il parere sulla copertura finanziaria dovrà essere espresso sulle sole disposizioni approvate (articolo 40). Infine, dal punto di vista dell’aggiornamento, della semplificazione e della razionalizzazione delle procedure di funzionamento e voto, vale la pena di ricordare la riduzione dei tempi di intervento in assemblea (articolo 89) e la restrizione a un senatore per gruppo della discussione sugli emendamenti presentati per singolo articolo (articolo 100).
Un passo in avanti e qualche ombra
I regolamenti di Camera e Senato furono approvati nel 1971 e poi più volte modificati o integrati. Le ultime modifiche si applicano a partire dalla attuale legislatura. Come è stato fatto notare anche in sede di approvazione delle nuove norme, le modifiche sono state opportunamente approvate, come direbbe John Rawls, “dietro il velo dell’ignoranza”, vale a dire prima di elezioni che si sarebbero tenute con una nuova legge elettorale e, anche per questo motivo, dall’esito più incerto.
Spicca, per esempio, la possibilità che sia più semplice permettere, se mai ce ne sarà bisogno, il voto di fiducia a un governo di minoranza, in quanto l’astensione non varrà più come voto contrario (gli astenuti concorrono esclusivamente a computare il numero legale, articolo 107). Si tratta di una modalità mutuata dal regolamento della Camera e che uniforma ulteriormente i procedimenti legislativi.
Un altro aspetto è che l’approvazione sia avvenuta esattamente un anno dopo il referendum costituzionale che avrebbe ridisegnato il Senato. Se la Camera, di rimando in rimando, non è ancora riuscita ad approvare un nuovo regolamento (l’ultima modifica risale al 2012), il Senato ci è riuscito in tempi piuttosto brevi. Forse anche a causa di quel referendum, che l’ha costretto a interrogarsi sul proprio ruolo e su come rendere il bicameralismo italiano, un meccanismo legislativo indubbiamente lento, un po’ meno macchinoso e più trasparente. D’altro canto, rendere uniformi alcuni procedimenti di Camera e Senato non fa che acuirne la “perfezione”.
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Henri Schmit
L’articolo è preciso ma suscita un’osservazione più generale: i costituenti hanno scelto un parlamento fatto di due camere, con compiti simmetrici, ma a composizione intenzionalmente asimmetrica (315/630 membri; 18/25/40 anni per i diritti elettorali attivi e passivi; elettorato nazionale/suddivisione regionale). L’omogeneizzazione delle leggi elettorali e dei regolamenti interni dovrebbe superare le pesantezze ora ritenute inutili del sistema bicamerale. Ma basteranno questi ritocchi da ragionieri a capovolgere l’impianto razionale, magistrale, benché probabilmente eccessivamente esigente, voluto dai costituenti?
Savino
Una volta la legislatura del Senato durava 6 anni e quella della Camera 5.
Nelle intenzioni dei Padri Costituenti il bicameralismo doveva servire a qualcosa, cioè ad una maggiore ponderatezza nel legiferare. Renzi ha almeno posto il tema: o ci sono delle sostanziali differenze e propedeuticità oppure, se deve essere solo un problema di poltrone, meglio abolire tutto.
Henri Schmit
Si, Renzi aveva ragione di affrontare la questione di un bicameralismo datato, sentito come inutile peso (cf. pesi e contrappesi), ma non ha saputo proporre una soluzione razionale (quale ruolo?), moderna, precisa (procedura elettorale indeterminata, competenze complesse) e democratica (in realtà era prevista un nomina partitica dei senatori). Il Senato di Renzi aumentava la litigiosità fra partiti. In parallelo l’Italicum doveva creare una maggioranza monolitica basata sulla cooptazione. Quello che manca ora come allora è un organo consultivo senza potere di decisione ma con un ampio potere di persuasione per migliorare la qualità e la coerenza di tutta la legislazione. Il progetto di Renzi proponeva l’opposto.
Savino
Non bisogna confondere l’iniziativa legislativa col potere di deliberazione (e decisione).
Nel modello Westminster, il primo spetta al Governo, il secondo (con relativo controllo) spetta al Parlamento.