La città metropolitana delineata nella legge Delrio è inadeguata. I nuovi enti assomigliano molto alle province, ulteriormente indebolite. La questione del sindaco metropolitano e gli obiettivi e le competenze da rafforzare. Almeno quattro i punti chiave che il Senato dovrebbe migliorare.
CITTÀ METROPOLITANE NELLA LEGGE DELRIO
Il disegno di legge Delrio, approvato dalla Camera e ora in discussione al Senato, oltre a trasformare le attuali province in enti di secondo livello e in prospettiva in pure agenzie a supporto dei comuni e delle unioni di comuni, stabilisce l’organizzazione, le funzioni e le modalità di elezione degli organi delle città metropolitane, previste dal Titolo V della nostra Costituzione.
Il sindaco del comune capoluogo diverrebbe anche il sindaco metropolitano, e il nuovo ente, che si sostituirebbe alla provincia sul suo territorio, sarebbe governato da un consiglio, eletto da – e fra – gli attuali sindaci e consiglieri comunali, e da una conferenza in cui siederebbero tutti gli attuali sindaci. [tweetable]Il sindaco metropolitano attribuirebbe deleghe a consiglieri di sua fiducia; tutte le cariche sarebbero a titolo gratuito[/tweetable], in omaggio all’obiettivo della legge di “ridurre la classe politica” e di limitare la spesa pubblica. A certe condizioni, dopo tre anni si potrebbe procedere all’elezione del sindaco a suffragio universale.
Con il disegno di legge Delrio è la terza volta in cui ci si accinge a costituire il nuovo ente, ritenuto necessario per rilanciare la competitività delle nostre grandi città nonché l’efficienza e la qualità delle loro aree di influenza: speriamo che sia la volta buona! Ma il problema sta nel fatto che la parte delle legge che tratta del tema della città metropolitana, al suo stato attuale, è inadeguata: la distanza fra obiettivi e soluzioni appare tale da far presagire un’ennesima occasione mancata per il paese.
Come recita la stessa relazione al disegno di legge iniziale, servirebbe “uno strumento di governo dalle ampie e robuste competenze”. Ma la proposta legislativa va in tutt’altra direzione: le città metropolitane assomigliano in larghissima misura alle province, già deboli istituzionalmente e ulteriormente indebolite; sono “enti governati dai sindaci” che prestano gratuitamente i loro servizi, senza risorse per le poche competenze aggiuntive. Le funzioni assegnate sono infatti “le funzioni fondamentali delle province”: pianificazione territoriale di puro coordinamento, infrastrutture interne e servizi di mobilità, ambiente, rete scolastica. Di nuovo troviamo sostanzialmente solo:
– il piano strategico: uno strumento di coordinamento e di indirizzo, certamente utile, ma che è possibile attivare comunque, come ha dimostrato la recente esperienza realizzata dalla provincia e dal comune di Bologna;
– la promozione dello sviluppo, ma totalmente senza risorse;
– la pianificazione territoriale generale, non meglio definita, che duplica e rischia di appiattirsi sulla pura pianificazione di coordinamento.
Di più: se si volesse passare all’elezione diretta del sindaco metropolitano occorrerebbe lo smembramento del comune capoluogo, una vecchia e sbagliata idea dei primi anni Novanta. Perché indebolire la città centrale per costruire una città metropolitana già debole?
QUATTRO PUNTI CHIAVE
Vediamo più in dettaglio quattro punti chiave. La pianificazione territoriale di area vasta – cui si dovrebbe attribuire il compito fondamentale di ridurre l’insensato consumo di suolo, anche riorientando l’attività edilizia verso la rigenerazione urbana – temo stia subendo lo stesso destino che si vuole per le province: un sostanziale ridimensionamento. La sua attribuzione a istituzioni di secondo livello è certo accettabile, come avviene in Francia per le Communautés urbaines, ma a condizione che se ne definiscano i poteri di inquadramento e di vincolo sulla pianificazione comunale, le funzioni loro trasferite dai comuni, il sistema di incentivi; in sintesi, “l’adeguatezza” delle nuove strutture per esercitare funzioni di area vasta. Occorrerebbe almeno indicare che la pianificazione metropolitana coincida con la ‘pianificazione di struttura’ introdotta e definita da molte leggi regionali italiane, come è stato giustamente suggerito da Luciano Vandelli, uno dei trentacinque saggi per le riforme nominati da Enrico Letta.
Quanto alla condizione dello scorporo del comune centrale –alleggerita alla Camera per le città metropolitane con più di 3 milioni di abitanti, ma in modo non facilmente giustificabile – potrebbe rispondere all’esigenza di evitare conflitti fra il sindaco del comune centrale e il sindaco metropolitano, una volta che entrambi siano eletti direttamente, secondo la giusta preoccupazione di molti. Ma perché utilizzare uno strumento nato per tutt’altro obiettivo – quello di evitare scontri fra capoluogo e hinterland – e comunque sbagliato? Perché temere un conflitto aperto fra le due istituzioni, che potrebbe essere evitato differenziando in modo chiaro le funzioni loro attribuite? Questa condizione renderebbe ancora più difficile il passaggio all’elezione diretta del sindaco metropolitano, un obiettivo di democrazia, anche se da raggiungere nel lungo periodo.
Una parola sul numero di città metropolitane prevedibili sulla base del testo di legge Delrio. In Francia, dopo un periodo di sperimentazione di cinquant’anni sulle Communautés urbaines, si è deciso oggi di passare alle Métropoles istituendone tre (per il momento). In Italia, dopo un dibattito di qualche mese e soprattutto nessuna sperimentazione, stiamo per lanciarne diciotto (nove obbligatorie + Roma + cinque possibili nelle Regioni a statuto speciale + tre nelle province con più di un milione di abitanti), aumentabili in futuro, più uno statuto di simile autonomia per due province montane. Ogni commento è superfluo.
Infine, occorrerebbe rafforzare nettamente sia gli obiettivi che le competenze attribuite alle città metropolitane, prevedendo almeno:
– una robusta competenza di pianificazione territoriale “di struttura”;
– una delega sulla fiscalità delle trasformazioni immobiliari e sulle relative rendite, oggi frammentata e tenuta a livelli incompatibili col finanziamento finanche delle infrastrutture di base e della manutenzione urbana;
– un esplicito obiettivo di riduzione dei consumi di suolo,
– un obiettivo di semplificazione ed efficientamento della gestione delle aree produttive,
– una competenza su edilizia sociale e riuso del patrimonio edilizio inutilizzato,
– l’istituzione di un “consiglio di sviluppo” metropolitano con le parti sociali, economiche e culturali, sull’esempio francese,
– la proposizione di credibili procedure per la partecipazione dei cittadini,
– un’azione di comunicazione e di costruzione di un’identità metropolitana.
Si tratta di materie che potrebbero essere anche successivamente introdotte nei singoli statuti metropolitani con leggi regionali, ma sulle quali sarebbe molto meglio che la legge nazionale desse almeno un forte indirizzo, invece di restare totalmente muta. Al Senato spettano oggi, a mio avviso, queste cruciali responsabilità.
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Confucius
Alla fine si aboliranno le province e si istituiranno le “prevince”, come a suo tempo si era abolito il Ministero dell’Agricoltura a seguito di un referendum per sostituirlo in giornata (cambiando le targhe fuori dalle sedi e mantenendo inalterate tutte le strutture organizzative) con il Ministero delle Politiche Agricole. Che tutto cambi perché nulla cambi! Il gattopardo è ancora vivo e vegeto.
roc
Del tutto condivisibili le osservazioni del professor Camagni in merito alle città metropolitane per come previste nel disegno di legge Delrio. A sottolineare ancor più la “debolezza” del percorso di riforma istituzionale in corso, segnalo che in Sicilia il disegno di legge del governo Crocetta in discussione all’Assemblea regionale prevede l’istituzione di ben tre città metropolitane, Palermo, Catania e Messina, il cui territorio ( e la cui popolazione) coinciderebbe però, almeno in una prima fase e salve successive eventuali volontarie adesioni di comuni contigui, con quello dei preesistenti comuni. Anche in questo caso ritengo superfluo ogni commento.
Francesco Crispino
Mi pare utile aggiungere alcune osservazioni. La prima a proposito della opportunità di smembramento della città capoluogo già contenuta nella legge 142 del 1990, e che oggi mi appare ancor più indispensabile, se vogliamo effettivamente perseguire un percorso di efficienza amministrativa, che non sia la mera riproduzione di liturgie già manifestatesi proprio a seguito della emanazione della legge del 1990, che non diede luogo ad esiti pratici, malgrado lo sviluppo di un ampio dibattito scientifico e culturale. La disarticolazione della città capoluogo è indispensabile, così come è indispensabile l’aggregazione dei comuni dell’area metropolitana, ciò non per dare luogo ad astratte ed astruse architetture istituzionali, ma piuttosto per coniugare adeguatamente alla scala metropolitana la corrispondenza tra materie e funzioni da attribuire ai diversi livelli di governo. Diversamente si riprodurrebbe solo un cambio di denominazione, così come lo è stato nel caso delle Province Metropolitane, che perderebbero il sostantivo di provincia, insieme qualche ulteriore potere reale. Occorre, invece, dare luogo ad una nuova istituzione: “la Città Metropolitana” con un proprio sindaco, che abbia competenza sulla gestione del territorio, sulla pianificazione e sulla programmazione. Ad essa, proprio per la complessità territoriale, dovrebbero essere integrate nuove municipalità (frutto del processo di disarticolazione e aggregazione) con specifica ed esclusiva competenza sulla manutenzione urbana, sulla erogazione dei servizi pubblici ai cittadini ed agli utenti, inverando i principi di sussidiarietà enunciati dalla Costituzione. E’ del tutto evidente che tale ridisegno della città metropolitana non può prescindere dal ridisegno ed accorpamento degli altri comuni in grado di superare l’attuale polverizzazione amministrativa.
La seconda osservazione riguarda poi i tempi e, quindi, il metodo. Pensare che a tali riforme si possa pervenire con lo stimolo ad un’autoaggregazione dal basso, in Italia, appare una pia illusione! Più pragmaticamente bisogna mettere mano alla riscrittura del DPR 616 recante l’attribuzione di funzioni amministrative a comuni e provincie a seguito della costituzione delle regioni, e definire i criteri ed i tempi attraverso i quali le regioni dovranno provvedere alla riorganizzazione territoriale degli enti locali, ovvero dei comuni, ritenendo ormai dato acquisito lo scioglimento delle province.
Massimo Matteoli
Non sono molto d’accordo. In un momento di sbornia ideologica come l’attuale che sta smantellando ogni possibile strumento di politica locale sovracomunale, le città metropolitane sono gli unici organismi che si occuperanno con una qualche certezza dei problemi delle aree vaste.
Nelle altre parti d’Italia non sappiamo ancora cosa succederà, perché la Del Rio non dice in pratica nulla e la cosa ancora più grave è che ciò avviene nel sostanziale disinteresse dell’opinione pubblica, evidentemente saziata dalla caduta delle odiate Province. Ricordo che si parla di questioni essenziali per la nostra vita, cito per tutti i piani per i rifiuti e la programmazione delle scuole superiori, che se gestite peggio di ora (è possibile, non dubitatene) produrranno ancora maggiori problemi e costi per tutti. Mi sembrerebbe, perciò, prioritario che la riflessione critica si accentri sulla mancanza di ambiti territoriali obbligatori per la gestione dei servizi comunali e sulla necessità, altrettanto se non più importante, che le autonomie locali siano finanziate in modo autonomo e non con i trasferimenti dal centro. Siano i cittadini-contribuenti a giudicare come vengono spese le loro tasse, sono sicuro che ne guadagneremo in risparmi ed efficienza.
Luigi Oliveri
Il ddl Delrio è tutto da riscrivere. Nè abolisce le province, nè disciplina in modo utile e compiuto le città metropolitane. Vi è una visione troppo “sindaco-centrica”, del resto emergente in modo evidentissimo dalla relazione di accompagnamento.
La riforma, nel suo complesso, tende solo a dare maggior potere ai sindaci, eliminando un ente intermedio, commettendo l’errore clamoroso di considerare funzioni sovracomunali, alla stregua di funzioni intercomunali.
Le città metropolitane risentono di questa impostazione erronea e sono considerate come propaggine del sindaco del capoluogo, per dare a questo la forza di incidere sulle scelte degli altri comuni, trattati alla stregua di vassalli, col rischio di creare la periferia delle periferie delle città.
gioele
La legge che definirei Delirio è sostanzialmente una frittata rigirata! I politici non vogliono mollare le poltrone e si inventano nuovi nomi per le solite mangiatoie! Ovvio che ammantano di gratuità le nuove mansioni, tanto si rifarebbero alla grande coi proventi della corruzione e gli immancabili “rimborsi spese” per nuove mansioni inutili come le inutili Provincie attuali.
rob
a differenza di prima le cose che non si possono più fare per una logica di buonsenso non si faranno. Volevamo un aeroporto in ogni provincia ne avremo 10 in tutta Italia (seppure). In Italia fregiarsi del titolo città-metropolitana potrebbero essere solo 6 realtà le conosciamo, ma a qualcuno è venuto in mente perfino di unire (con il pensiero) Padova-Treviso -Venezia pur di non rimanere con le mani in mano ( e senza carega aggiungo). Delrio e company poi sono particolarmente specializzati in “spezzettamento o spezzatino” memori del grande progetto che fecero negli anni ’70 (le Regioni) una o forze l’unica causa del declino di questo Paese
gianluca fratoni
Premetto che sono dipendente di una Provincia e come tale certamente giudicato non obiettivo. Ritengo, personalmente, che la strada migliore sarebbe stata quella di inserire il tema del superamento delle province nell’ambito della riforma generale del Titolo V. Invece ora abbiamo un provvedimento piuttosto pasticciato e per molti aspetti di difficile attuazione, destinato ad essere superato nel giro di un anno se andrà in porto l’abolizione delle Province per via costituzionale. Ha senso mettere in moto un processo che fra alcuni mesi dovrò comunque essere rivisto alla luce della definitiva abolizione di questi Enti ? Potremmo anche correre il rischio che la soluzione provvisoria (legge Delrio) diventi definitiva in un quadro di riforme istituzionali dei livelli di governance locale non compiuto (e i rischi sono molti). Leggo poi che il Governo nel ddl licenziato ieri dal CdM ha inserito la organizzazione degli “enti di area vasta” fra le funzioni fondamentali dello Stato, quindi riconoscendo che c’è bisogno, e va regolato, un livello intermedio fra Regione e Comuni. Insomma, mi sembra che le idee chiare siano poche e che la legge Delrio sia solo un “contentino” dato in pasto alla pubblica opinione per far vedere che qualcosa si è fatto. Staremo a vedere.