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Il buono-scuola? Vale solo per gli anglosassoni

I buoni-scuola permettono davvero a studenti bravi ma poveri di frequentare scuole migliori? È così nei paesi anglosassoni. Ma non in quelli dove l’educazione statale è di alta qualità. Lo dicono i risultati di uno studio basato sull’indagine Pisa. Come rafforzare l’uguaglianza delle opportunità.
PERCHÉ I BUONI-SCUOLA
I programmi che prevedono buoni-scuola finalizzati a permettere anche a studenti che altrimenti non potrebbero permetterselo di frequentare scuole private suscitano molte discussioni, quasi sempre più emotive che razionali. Per esempio, tra maggio e giugno 2013 controversie sul tema sono sorte in New Jersey, Wisconsin e Pennsylvania nella discussione sui bilanci statali e altrettanto è accaduto a Bologna per i risultati di un referendum sul finanziamento pubblico delle scuole dell’infanzia private a Bologna. A favore dei buoni scuola sono generalmente i politici di destra, che diffidano della capacità dello Stato di gestire l’educazione (come qualsiasi altra cosa), ma anche gli economisti che auspicano la pressione competitiva e temono che gli insegnati della scuola pubblica, fortemente sindacalizzati, possano avere scarsa attenzione per le esigenze attuali e future degli studenti.
Ai buoni-scuola si può guardare, però, anche come a una soluzione non controversa e di buon senso per un classico problema economico. Se la capacità individuale è complementare alle risorse a disposizione della scuola per produrre educazione, allora gli individui con maggior talento sono disposti a pagare per una educazione migliore rispetto a quella del sistema scolastico pubblico che è tarata sulle capacità dell’elettore mediano. (1) In questo caso, le scuole con finanziamento pubblico lasciano spazio a costose scuole private che, proprio perché sono frequentate da studenti migliori e dispongono di maggiori e migliori risorse per la didattica, offrono un’educazione migliore. Dal momento che attenuano i vincoli di prestito, che escludono dalle scuole migliori gli studenti brillanti ma poveri, i buoni-scuola possono migliorare l’uguaglianza delle opportunità e allo stesso tempo rafforzare la produttività delle risorse destinate dalla società all’educazione.
L’EVIDENZA EMPIRICA
Questa prospettiva teorica trova conferma nell’evidenza empirica dei sistemi scolastici di Stati Uniti, Regno Unito e di altri paesi anglosassoni, dove le scuole private sono frequentate da studenti che sembrano avere più talento ed essere più ricchi. (2) Tuttavia, le risorse per la didattica possono sostituire piuttosto che completare il talento e dunque sono possibili altre spiegazioni. Ad esempio, gli studenti che si iscrivono alle scuole private potrebbero avere meno talento di quelli che frequentano le più esigenti scuole statali e i loro risultati scolastici possono essere particolarmente scarsi quando le scuole private non sono più costose delle scuole pubbliche, ma usano la loro autonomia per adeguarsi a chi ha difficoltà di apprendimento. (3)
Figura 1 Differenze tra paesi nei punteggi medi dei test Pisa (in matematica, lettura e scienze) tra studenti di scuole private e statali a confronto con le differenze tra paesi tra la percentuale di risorse a disposizione della scuola pagata dai genitori nelle scuole private e pubbliche.
Cattura
In uno studio che ho condotto con Daniele Checchi sui test Pisa del 2009 si trovano evidenze che non in tutti i paesi le scuole private garantiscono migliori risultati scolastici. (4)
La figura 1 mostra che mentre in quasi tutti i paesi le scuole gestite da privati coprono i costi con le risorse versate dagli iscritti in misura maggiore rispetto a quelle statali, c’è solo una lieve associazione positiva tra costo relativo e qualità apparente (così come misurata dai test Pisa) dell’educazione privata nei 72 paesi e regioni del campione. Se gli studenti migliori si trovassero in un settore privato che offre una migliore educazione, i punteggi della rilevazione Pisa dovrebbero essere tutti positivi e superiori laddove la percentuale di risorse o le tasse pagate dai genitori mostrano le differenze maggiori tra scuole pubbliche e private. È così in tutti i paesi anglosassoni (Usa, Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda), ma in molti altri paesi (e in particolare in Italia e Norvegia) gli studenti delle scuole private ottengono risultati peggiori nei test Pisa.
Le informazioni dettagliate raccolte dall’indagine Pisa sulle singole scuole e i singoli studenti di ogni paese fanno sì che si possano analizzare in maggior profondità i ruoli qualitativamente diversi giocati dalle istituzioni scolastiche private nei diversi sistemi educativi. Sono disponibili informazioni a livello di scuola su aspetti organizzativi che indicano se la scuola è specializzata nell’educazione di individui con grandi capacità oppure se è specializzata nel rafforzare i risultati scolastici di studenti deboli. Queste differenze tra le scuole statali e private di ogni paese possono essere fatte interagire con indicatori sulla capacità di ogni studente di imparare e di scegliere le scuole private. L’indagine offre anche informazioni rilevanti sul livello culturale e di ricchezza della famiglia e gli stessi risultati del test Pisa (amministrato solo un anno o due dopo l’inizio della scuola secondaria) possono essere visti come una indicazione del talento di ogni studente piuttosto che dell’efficacia della scuola.
Regressioni che descrivono le scelte individuali di iscrizione alla scuola privata segnalano una interazione positiva tra la ricchezza apparente delle famiglie e il costo relativo dell’educazione privata dello specifico paese: ciò suggerisce che la capacità di spesa gioca un ruolo importante nel determinare la scelta di scuole gestite da privati. Tuttavia, il livello culturale apparente della famiglia interagisce negativamente con gli indicatori dei differenziali dei risultati accademici attesi nel paese specifico tra scuole private e statali. Questi e altri risultati suggeriscono che la scuola gestita da privati non è necessariamente scelta da studenti che, sulla base del livello culturale delle loro famiglie e dei risultati nei test, appaiono maggiormente capaci di rispondere a un contesto di apprendimento esigente.
Ulteriori ricerche dovrebbero approfondire le ragioni storiche e politiche che in ciascun paese determinano se le scuole gestite da privati sono o meno finanziate dallo Stato (lo sono in Austria, Repubblica Ceca, Finlandia, Germania, Ungheria, Islanda, Lettonia, Lituania, Olanda, Norvegia, Repubblica di Slovacchia, Serbia, Slovenia e Svezia); e se l’organizzazione didattica delle scuole statali è orientata verso gli studenti con basse o alte capacità, lasciando così nicchie di mercato diverse alle scuole private. Ma già l’evidenza attuale indica che gli elettori e i politici non dovrebbero dare per scontato che “le scuole private sono migliori”. Sono effettivamente migliori per gli studenti che scelgono di frequentarle: questi ragazzi, però, possono essere alla ricerca di un insegnamento “di riparazione” perché la scuola pubblica è esigente piuttosto che cercare la possibilità di esprimere i propri talenti perché la scuola pubblica è tarata sugli studenti con scarse capacità.
Nei paesi dove lo Stato garantisce solo un’educazione di base, le scuole private possono occupare la nicchia di mercato dell’alta qualità. In questo caso, le raccomandazioni di policy dovrebbero prevedere sia un miglioramento degli standard educativi statali sia i buoni-scuola. Al contrario, gli Stati con scuole pubbliche migliori non dovrebbero adottare i buoni-scuola senza prima considerare gli effetti distributivi e di efficienza. Se le scuole statali di alta qualità attraggono il segmento più brillante degli studenti, allora i buoni-scuola avvantaggiano studenti che non sono abbastanza ricchi o stupidi da acquistare una educazione “di riparazione” non sussidiata. Una redistribuzione tra individui con ricchezza o capacità differenti può essere auspicabile in alcuni casi, ma i programmi che prevedono buoni-scuola non rafforzano l’uguaglianza delle opportunità e l’efficienza complessiva nei paesi dove lo Stato fornisce un’educazione di alta qualità.
(1) Stiglitz J. (1974), “The demand for education in public and private school systems”, Journal of Public Economics 3, 349-385.
(2) Si veda Epple D. and Romano R. (1998), “Competition between private and public schools vouchers and peer-group effects”, The American Economic Review 88(1), 33-62; De Fraja G. (2002), “The design of optimal educational policies”, Review of Economic Studies 69: 437-466; Epple D., D. Figlio and R. Romano (2004), “Competition between private and public schools: testing stratification and pricing predictions”, Journal of Public Economics 88, 1215–1245.
(3) Si veda Bertola G., Checchi D., Oppedisano V. (2007), “Private School Quality in Italy”, Giornale degli Economisti e Annali di Economia 66(3), 375-400; Brunello G., Rocco L. (2008), “Educational Standards in Private and Public Schools”, Economic Journal 118(533), 1866-1887.
(4) Bertola G., Checchi D. (2013), “Who Chooses Which Private Education? Theory and International Evidence”, CEPR Discussion Paper 9513. OECD (2012), “Pisa 2009 Technical Report”, Paris, Organization for Economic Cooperation and Development.

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Il Punto

  1. uqbal

    L’articolo è molto interessante. La domanda che mi faccio è questa: nei Paesi anglosassoni i buoni-scuola compensativi sono sufficienti a permettere ai meritevoli di raggiungere i massimi gradi dell’istruzione? O sono solo un palliativo?
    In secondo luogo: i buoni scuola per scuole di riparazione potrebbero essere considerati un fattore positivo se l’alternativa, a fronte di una istruzione statale “esigente”, è l’abbandono scolastico (in Italia al 18,8%). Con il sussidio si darebbe una seconda chance a chi ora, abbandonato dalla Statale per le ragioni più varie, non ha alternative di sorta.
    Infine: quando si parla di buoni-scuola che non aiutano l’equità nei Paesi a istruzione statale di alta qualità, dobbiamo includere l’Italia? Perché se è vero che le statali sono migliori delle private, in Italia, è pur vero che il livello medio della statale non è alto in senso assoluto (o quanto meno relativamente ai Paesi migliore Ocse).
    Ora, la raccomandazione di promuovere sia policies di innalzamento qualitativo delle statali sia i buoni-scuola per le private non può essere valido per Paesi come l’Italia? Ovviamente questo implica un riposizionamento e una “riqualificazione” delle scuole private, con tutto che anche una privata “di riparazione” secondo me un senso lo mantiene.
    La cosa mi interessa perché il sistema dei buoni-scuola costa meno allo Stato, e se si può riuscire ad ottenere l’uovo di Colombo di un sistema più efficiente ma non più costoso, ben venga.
    Da un altro punto di vista: la linea di faglia tra “scuola d’eccellenza” e “scuola di riparazione” deve per forza coincidere con quella tra “pubblico” e “privato” (in qualunque modo si assegnino i ruoli)?
    La mia impressione è che la scelta di offrire una istruzione pubblica di qualità sia una scelta politica indipendente che può convivere con i buoni scuola anche in Italia.
    Anche perché, ma non so quantizzare quanto possa pesare, la scelta di una privata non è solo un fatto di qualità, ma anche di scelta culturale: c’è chi vuole per il figlio una educazione cattolica, anche a parità di risultati PISA con una scuola pubblica, o con qualche altro orientamento culturale specifico che non sarebbe appropriato per una statale, ma perfettamente legittimo da parte di un privato.

  2. stefano

    Finalmente qualcuno lo dice … a quando un articolo altrettanto ficcante sulla sanità privatizzata?

  3. Riccardo

    Il problema delle private peggiori delle pubbliche esiste e ho apprezzato il fatto che finalmente qualcuno ne parli.
    Ma non capisco perchè il buono scuola non sarebbe un valido sistema nel caso le private, come in Italia, siano peggiori.
    Uno studente bravo (ricco o povero) non avrebbe nessun incentivo a farsi pagare la retta di una scuola di bassa qualità (e spesso riconosciuta come diplomificio per ripetenti). Lo studente bravo lo userà solamente per andare ad una scuola privata migliore delle pubbliche, che così otterrà anche più afflusso di persone.
    Le private sono peggiori nei paesi in cui fortunatamente l’istruzione pubblica è decente e molto sovvenzionata, così che a meno di tasse astronomiche le scuole private si devono accontentare di fornire un servizio mediocre per chi proprio non ce la fa nelle pubbliche.
    Con un sistema tipo “buono-scuola” forse si stimolerebbe la creazione di più scuole private “d’eccellenza” e anche una salutare competizione con le pubbliche.
    Insomma mi pare che nell’articolo traspaia un’eccessiva idea di mondo “fisso” con scelte degli agenti “fissate”

  4. antonio gasperi

    articolo scientifico su una tematica ormai vecchia ma sempre spinosa: in questo senso condivido buona parte delle osservazioni di Iqbal a cui mi permetto di aggiungere una semplice considerazione di politica scolastica: da sempre è esistito nel nostro paese un accordo più o meno sotterraneo fra ministero, confederali e imprese scolastiche private: lasciare nicchie di mercato a questi ultimi purchè si continui a sovvenzionare la scuola statale senza incidere nelle sue inefficienze burocratiche. sottoprodotto dell’accordo lo sfruttamento vergognoso della manodopera intellettuale delle scuole private. i pesanti tagli al bilancio ministeriale e la crisi del modello trasmissivo dell’istruzione hanno messo in crisi questo accordo, ma come evidenzia l’articolo non sembra che il sistema dei buoni scuola possa fornire una valida alternativa per il nostro paese. mi permetto di rinviare ad un mio lavoro ormai datato ma sempre utile per comprendere la complessità delle scelte di politica scolastica
    http://win.netplanet.tv/public/gildaprofessionedocente/htdocs/prd200305/pagina10.htm

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