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Legge di stabilità: un déjà-vu per il pubblico impiego

Nella Legge di stabilità le norme sul pubblico impiego valgono circa 1,5 miliardi. Misure ormai abusate, come blocco del turn over e della contrattazione, permettono di contenere la spesa. Mancano però gli interventi per una maggiore efficienza del lavoro. Liquidazioni e tetto alle retribuzioni.
ANCORA BLOCCO DEL TURN OVER E DEI CONTRATTI
Il giudizio di scarsa incisività attribuibile in generale al disegno di Legge di stabilità per il 2014 vale in modo particolare per uno dei suoi capisaldi, l’intervento dedicato al contenimento della spesa del personale pubblico.
Complessivamente, il valore delle norme relative al pubblico impiego è stimato in circa 1,5 miliardi. Se l’intento della Legge di stabilità non era solo il contenimento della spesa, ma anche il tentativo di rilanciare produttività e capacità di sostenere sviluppo ed economia mediante la maggiore efficienza del lavoro pubblico, i risultati sono molto diversi.
Il disegno di legge, infatti, sembra caratterizzato da un atteggiamento di difensiva. Il Governo si è ben guardato dall’immaginare strumenti di innovazione organizzativa e ha finito per toccare tasti e leve ormai abusati, per altro incorrendo in non poche contraddizioni con norme approvate solo pochi giorni fa e con altre previsioni ordinamentali.
Si pensi all’immancabile inasprimento delle regole di copertura del turn over del personale cessato. La possibilità di coprire il 100 per cento delle cessazioni nelle amministrazioni statali è rinviata al 2018, per il 2014 e 2015 si potrà sostituire solo il 50 per cento dei dipendenti cessati dal servizio.
Il blocco del turn over si è rivelato uno strumento essenziale per far scendere il numero dei dipendenti pubblici (e dunque la spesa) nel corso degli ultimi dieci anni, per circa 300mila unità, senza giungere ai licenziamenti di massa. Ma limitare le assunzioni impedirà di attuare il per altro criticabile disegno di stabilizzare i precari, per i quali gli spazi di ingresso nei ruoli si riducono drasticamente. Ulteriore conferma che il Governo agisce più per “segnali mediatici”, che non attraverso la sostanza.
Più “di sostanza” è la conferma del blocco della contrattazione collettiva fino al 31 dicembre 2014. Secondo l’Aran, la misura, cumulando gli anni di congelamento dei contratti (dal 2010 al 2014), ha determinato un mancato incremento delle spese dedicate al personale pubblico di circa 11 miliardi.
Anche su questo versante, tuttavia, non mancano le contraddizioni. Da un lato, non è certo possibile far passare una mancata maggiore spesa per un taglio. Si tratta più che altro di una misura di “manutenzione”, che corregge il tiro e le conseguenze della poco ponderata “privatizzazione” del lavoro pubblico pensata nel 1998, e che tra il 2001 e il 2011 con contratti collettivi poco accorti ha fatto crescere la spesa per il lavoro pubblico di 40 miliardi.
Dall’altro lato, il disegno di legge conferma il taglio dai fondi della contrattazione decentrata di somme proporzionate al costo del personale che nel frattempo cessa dal servizio. Evitare una crescita del costo del lavoro pubblico incompatibile con la situazione finaniaria è corretto. Ma, imboccata la strada della riduzione del numero dei dipendenti e del blocco dei fondi, poteva considerarsi coerente tenere congelato anche l’importo dei fondi decentrati, senza ridurli in proporzione al costo delle cessazioni. Da, un lato, infatti, i risparmi conseguiti sono poca cosa rispetto all’effetto del blocco della contrattazione nazionale collettiva. Dall’altro, il leggero aumento delle “fette” di torta per il personale in servizio potrebbe in parte compensare le conseguenze sui carichi di lavoro, che derivano proprio dal costante calo del numero dei dipendenti. Poco più di un segnale, che però potrebbe essere utile anche per evitare il muro contro muro che i sindacati sono tentati di attivare proprio sulle misure sul pubblico impiego.
LIQUIDAZIONE DILAZIONATA
Misura ormai abituale è anche la dilazione e il ritardo nei pagamenti delle liquidazioni ai dipendenti pubblici che cessano dal servizio. È evidente che per lo Stato si tratta di un modo per contenere i pagamenti, puntando sulla loro diluizione nel tempo. La cosa curiosa è che da anni una serie di norme, da ultimo tutta la disciplina anticorruzione e trasparenza, insistono per la velocizzazione dei tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi. Invece, per la restituzione di salario differito, denari che sono già dei lavoratori, nel caso di liquidazioni oltre i 50mila euro si passerà dai sei mesi di ritardo a una dilazione di dodici mesi, in due tranche. Non un bellissimo segnale dello stato di salute delle finanze e dell’organizzazione pubblica.
Sulla reale efficacia, poi, della volontà di porre un tetto alle retribuzioni dei vertici amministrativi e burocratici, parificato alla retribuzione del primo presidente della Corte di Cassazione, meglio non sbilanciarsi troppo. Il disegno di legge, infatti, rinvia a successivi decreti attuativi, che disciplineranno destinatari e modalità. Decisiva sembra la scelta di considerare il tetto onnicomprensivo di tutti gli incarichi che, anche cumulati, non potranno dunque superare la soglia dei 300mila euro circa previsti appunto per il primo presidente della Cassazione.

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27 commenti

  1. DDPP53

    Possiamo sperare che il personale messo in disponibilità, se non ricordo male si parla di 11.000 insegnanti, sarà finalmente impiegato?
    O cosa ne facciamo dei circa 40.000 militari in esubero: Riusciamo a mandarli a lavorare?

  2. Lettore53

    Non sono in grado di fornire una corretta informazione per i militari, ma per gli insegnanti la situazione è la seguente: i numeri ufficiali indicano circa 8000 esuberi totali su cattedre in organico di diritto;
    l’organico di diritto è un marchingegno inventato dai politici per assumere meno personale mentre il vero numero è quello (sempre maggiore) del c.d. organico di fatto;
    pertanto una larga parte degli esuberi viene impiegato nell’insegnamento in ore di organico di fatto e i cosiddetti spezzoni orario (altro metodo per non assumere personale).
    Nella sostanza gli insegnanti senza classe non dovrebbero essere più di 2000
    e vengono utilizzati comunque in attività che comporterebbero, necessariamente, l’assunzione di personale (p.e.: lo svolgimento delle ore di attività alternativa alla religione cattolica e la sostituzione di personale in malattia).
    Pertanto l’esubero di docenti non esiste realmente altrimenti per quale motivo, a differenza di altri settori della P.A., tutte le norme su pensionamenti anticipati recano regolarmente la dicitura “… non si applicano al personale della Scuola …”?

  3. Enrico

    Permettetemi un commento un po’ provocatorio: da lavoratore del privato, vedo il blocco degli stipendi come una quantificazione di quello che è a tutti gli effetti un benefit di cui si gode nel pubblico, cioè il non essere licenziabili “de facto”.
    Perdonatemi l’insolenza e la semplicità del commento, ma con i tempi che corrono molte persone accetterebbero di vedere il proprio stipendio congelato in cambio della certezza del posto di lavoro.

    • Luigi Oliveri

      Non c’è nulla di provocatorio, per quanto sulla non licenziabilità anche di fatto dei dipendenti pubblici sia opportuno non limitarsi alla superficie. Di sicuro, la contrattualizzazione del lavoro pubblico, a causa della poca capacità del datore pubblico di porsi con i sindacati come vera controparte, a causa della tentazione di trovare con loro accordi per consensi e, dunque, voti, ha scatenato un aumento del costo del lavoro pubblico in dieci anni troppo sostenuto. La legge di stabilità, tuttavia, pecca diciamo di “originalità” in merito ai rimedi da reperire, anche se va dato atto che fermare la tendenza alla crescita di una spesa non sostenibile è comunque misura minima, ma forse inevitabile.
      C’è da dire, comunque, che il rimedio proposto da molti del licenziamento in massa di cifre che vanno dai 500.000 ai 700.000 dipendenti soddisfa molto la demagogia e le tendenze di alcuni a distinguere tra italiani di serie a e italiani di serie B, ma si scontra con dati di fatto. Uno tra essi è che il numero dei dipendenti pubblici italiani non è affatto maggiore della media europea ed è inferiore a quello di Germania, Francia e Gran Bretagna. In secondo luogo, per un verso simile licenziamento di massa libera risorse alla spesa pubblica (il valore medio di uno stipendio pubblico è 34.000 euro lordi annui, dunque, licenziando 500.000 dipendenti la spesa si abbassa di 17 miliardi). Per altro verso, però, si incrementa la spesa previdenziale e pensionistica di almeno tre quarti del risparmio ottenuto, il restante quarto rischia di diventare una riduzione netta del Pil. Forse, i periodi di recessione non sono i più indicati per soluzioni eccessivamente drastiche.

    • Fabio

      I miei benefit da dipendente pubblico si chiamano Irpef, Imu, Tares, spese non deducibili che servono “de facto” a finanziare quei servizi che sono goduti da coloro che si godono i 180 miliardi di euro di tasse all’anno (fonte Banca d’Italia) non versate, meglio conosciute come evasione fiscale dei privati.

    • Riccardo

      E’ vero in parte, non ci sono stati licenziamenti in massa come in Grecia ma da oramai molti anni parecchi dipendenti statali sono stati tagliati. Esempio concreto la scuola, a partire dal 2008 fino al 2011/12 sono stati “non assunti”. in quanto supplenti annuali, qualcosa come 130.000 persone, senza contare il turn-over di tante pubbliche amministrazioni. Certamente meno indolore ma efficace comunque. Anche lo stipendio è stato toccato, l’articolo giustamente racconta che agli inizi degli anni 2000 si è avuta un’impennata del compenso, ma, per dovere di cronaca si dovrebbe anche dire che la base di partenza era molto più bassa di un dipendente privato, come lo è diventata ora. Non voglio fare una gara a chi sta peggio o a chi sta meglio, perchè ovviamente il dipendente pubblico non avrebbe competitori, ma se si considera la stragrande maggioranza del pubblico lo stipendio singolo non è poi così alto. Consideri che nella scuola, dove come avrà intuito lavoro, oltre allo stipendio non vi sono molto incentivi che possano essere distribuiti per migliorare il servizio o pagare che si “impegna” maggiormente, pertanto considerando che il blocco è iniziato nel 2009 e che fino al 2015 compreso è tutto bloccato e che nel caso della scuola l’anno non è solare ma scolastico appunto, il rischio è che si finisca al 2016. Non è un gran affare. Consideri che dopo 17 anni di lavoro nella scuola il mio stipendio, quello di un assistente amministrativo, è di 1250 euro mensili.

      • giulioPolemico

        Lo sa che ci sono giovani ingegneri ( “giovane”, quindi non è il mio caso… 🙂 🙂 ) con incarichi di una certa complessità e anche di una certa responsabilità, che dopo 7 anni di lavoro non arrivano a 1100 €.? E inoltre loro non hanno il posto fisso eterno, e le aziende li sbattono dove vogliono. Voi credete di stare male, ma in realtà siete quelli che stanno meglio. Una volta nelle aziende si veniva pagati meglio che nel privato, ma questo tanti anni fa. Adesso è il contrario, e inoltre senza garanzie.

        • Marcello

          Il fatto che nel privato le cose vadano così non è una giustificazione del fare la stessa cosa nel pubblico. Al contrario bisognerebbe prendere a modello il sistema statale per difendere anche il lavoro nel privato. La storia che occorre diminuire il costo del lavoro per essere competitivi va ridimensionata visto il peso percentuale del costo del lavoro sul prezzo finale del prodotto. L’Economia deve essere sviluppata per fare stare meglio il maggior numero di persone, non per accentrare le ricchezze nelle mani di un sempre minor numero di persone e in questo senso il lavoro pubblico funziona da ridistributore.

          • giulioPolemico

            Questa è la tipica scusa per mantenere i privilegi di quella parte. E almeno abbiano il senso del pudore a non fare le vittime: meno di 2 mesi fa ho dovuto andare al PRA di una media città del nord e ho scoperto che l’orario di apertura al pubblico è solo da lunedì a venerdì, quattro orette al mattino, e nulla di più. Ora, a parte il fatto che come contribuente non capisco perché si debbano mantenere statali (o parastatali) del PRA e dell’ACI, che sono uno il doppione dell’altro, ma come lavoratore nel privato, con molte meno tutele e con stipendio decisamente minore, cosa dovrei pensare della voglia di lavorare di eternamente inamovibili discretamente retribuiti che nello svolgere un servizio teoricamente pubblico lavorano venti ore a settimana?

    • Marcello

      Vorrei ricordare che anche nel privato i fannulloni e i raccomandati ci sono e non sono merce rara. Detto ciò mi sembra che la gente abbia lo stesso approccio a questo argomento dei polli di Renzo che mentre andavano a essere ammazzati e mangiati si beccavano tra loro invece che cercare di allearsi per difendersi. Le statistiche dicono che in questa crisi il 10% della popolazione più ricca si è ulteriormente arricchita e noi stiamo a litigare perchè “con i tempi che corrono molte persone accetterebbero di vedere il proprio stipendio congelato in cambio della certezza del posto di lavoro”. Io sarei per pretendere che le risorse fossero meglio distribuite tra le persone, siano questi lavoratori pubblici e privati. E’ proprio vero che nonostante il tempo passi, la gente non impara. “Dividi et impera” vale oggi come 2000 anni fa. Bei passi in avanti.
      Ps. Faccio notare che se si licenziano statali, i risparmi andranno a pagare gli interessi di chi ha i titoli di stato (poche sono persone normali, molte banche, assicurazioni e fondi di investimento) non a diminuire le tasse ai privati. Il risultato sarà una diminuzione del PIL e tasse sempre più alte per compensare inutilmente un rapporto debito/PIL aumentato perchè diminuisce il denominatore. Bel risultato!

      • Enrico

        Capisco la sua posizione, ma ritengo che il dividi-et-impera sia fatto creando e mantenendo un mondo del lavoro duale, con regole diverse (una delle quali appunto la regola della non licenziabilità nel pubblico).
        Sull’equa distribuzione: mi consenta una piccola previsione, che spero risulterà falsa, se continua così tra 1 o 2 anni ci sarà molto poco da redistribuire. Che ai dipendenti pubblici piaccia o meno, i loro soldi arrivano dalle tasse che pagano anche i privati, ma se i privati scompaiono: insomma dovrebbero essere i primi a preoccuparsi.

        • Marcello

          Anche i dipendenti pubblici pagano le tasse, al contrario ci sono molti lavoratori privati che non lo fanno determinando una parte importante dell’evasione fiscale stimata a 120 miliardi di euro /anno. Anche i dipendenti pubblici sostengono l’economia comprando merci così come i lavoratori privati. Se vogliamo parlare della loro efficienza facciamolo, ma su basi oggettive non su ragionamenti di pancia. Consideriamo quanto producono e consideriamo anche quanto i regolamenti e le leggi confuse e contorte rallentano il procedere di una pratica.

      • giulioPolemico

        Se si riducesse l’ipertrofia di dipendenti pubblici le finanze statali ne gioverebbero e il rapporto debito/PIL verrebbe migliorato (e non peggiorato), perché siccome la produttività dei dipendenti pubblici è molto debole, e il loro costo è invece elevato (ben più di quello dei dipendenti nel privato, che inoltre lavorano molto di più), il debito per mantenerli si ridurrebbe molto più di quanto il PIL si ridurrebbe in seguito ai licenziamenti (poi tra l’altro non capisco perché uno debba avere il posto a vita, per diritto divino, oltretutto se batte la fiacca). Quindi il debito/PIL verrebbe migliorato (e di molto), e non peggiorato. Comunque tanto non avverrà mai, perché nessun politico accetterebbe di perdere milioni di voti. Finché non finiremo come in Grecia, che è esattamente quello che ci meritiamo.

        • Luigi Oliveri

          Il Pil è, arrotondando, 1500 miliardi. Il debito, arrotondando, 2000 miliardi. Il rapporto debito Pil è 133% circa. Il costo del personale pubblico è, arrotondando, 160 miliardi. Licenziandoli tutti, come ormai si pensa possa essere possibile (salvo capire chi svolgerebbe funzioni di sicurezza, difesa, sanità, istruzione, tanto per limitarsi) vi sarebbe una minore spesa per stipendi di 160 miliardi, ed un incremento della spesa previdenziale di circa 3/5, circa 96 miliardi. La minore spesa sarebbe dunque di 160-96 miliardi, di 64 miliardi.
          Il Pil, dunque, lato spesa, si ridurrebbe a 1436 miliardi. Se non vi fosse in conseguenza di tale riduzione della spesa un aumento compensativo della produzione di ricchezza, il rapporto debito/pil diverrebbe il 139%.

          • Enrico

            Interessante.
            Quindi, se ho capito correttamente, ogni taglio di personale sarebbe inutile in quanto i benefici del risparmio sarebbero annullati dal conseguente aumento della spesa previdenziale.
            E’ corretto?

          • Luigi Oliveri

            Non è proprio così. Gli effetti del taglio sono da considerare in base all’effetto dei vasi comunicanti delle voci di spesa-

          • Enrico

            Grazie.

          • giulioPolemico

            Ma sempre partendo dal suo ragionamento (per assurdo “licenziamoli tutti”, ecc. ecc.) una PA che funzionasse sarebbe un *grande moltiplicatore* delle energie del Paese (che è quello che avviene nei Paesi efficienti). Quindi la minor spesa sarebbe molto più elevata dei 160 mld puramente dovuti agli stipendi non più da pagare. Poi nei casi di corruzione (appalti pubblici, ecc.) che tanto vanno a far lievitare i costi delle opere pubbliche (Tangentopoli docet), si deve pensare ai risparmi dovuti a un livello in meno di tangenti. E inoltre l’incremento della spesa previdenziale che Lei inserisce a limitare i risparmi sarebbe invece (nella nostra draconiana fantariforma) transitoriamente tendente a zero, perché se funzionasse come da sempre funziona nelle aziende, dopo pochi mesi di sussidio di disoccupazione lo Stato non spenderebbe più nulla. Ovviamente si tratta di ipotesi solo per dissertare, ma Lei vede bene che i benefici di una PA meno elefantiaca e che funzionasse non si limitano certo al minor numero di stipendi da pagare.

          • Luigi Oliveri

            Mi limito ad osservare che è opportuno ragionare per cifre e dati. Le astratte possibilità vanno sempre bene, ma non comportano effetti finanziari e contabili stimabili. Un solo esempio, astratto. Ponendo nella nostra fantasia draconiana che non vi siano più appalti pubblici e che essi fossero gestiti da privati, cosa fa escludere che vi possa essere corruzione, posto che il patto illecito corruttivo non discende dalla qualità di dipendente o amministratore pubblico (al netto della circostanza che, oggi, nella concretezza è un reato contro la PA) quanto dalla circostanza che chi intenda vincere, al di fuori di regole, una gara d’appalto cerchi di indurre chi la gestisce, pubblico o privato che sia, a fargliela aggiudicare? Non ci sono elementi di controprova.
            Poi, che vi sia necessità di maggiore efficienza e più saggia capacità di spesa è perfettamente vero.
            Tuttavia, ultima osservazione, non ci sono soluzioni semplici per problemi complessi.

  4. Luigi Oliveri

    Della “spending review” dello scorso anno manca ancora la definitiva individuazione del personale in esubero, sicchè non sono scattati ancora gli strumenti per l’accompagnamento verso la cessazione del rapporto di lavoro o il reimpiego. In particolare, la Funzione Pubblica non ha ancora attivato il monitoraggio delle amministrazioni con carenze di personale, alle quali potrebbe essere trasferito il personale eccedentario.

  5. Enrico

    Grazie della risposta e concordo: non bisogna fare una gara a chi sta meglio o peggio, “ogni pane ha la sua crosta”

  6. Enrico

    Grazie.
    concordo sul fatto che le proposte di licenziamento in massa sono solo demagogiche, ed è anche vero che i momenti di crisi non sono adatti a misure drastiche (e in momenti di non-crisi non vi è ragione di prendere misure drastiche per definizione, ma è questione di lungimiranza della classe dirigente).
    Purtroppo però, i momenti di crisi hanno l’abitudine di essere difficilmente controllabili. Le misure drastiche se non prese al momento e nel modo giusto, tendono a trasformarsi in misure draconiane (Grecia insegna).

  7. giulioPolemico

    Invece i dipendenti nel privato, quelli che non hanno i privilegi del posto assicurato vita natural durante, irpef, imu, tares non le hanno mai doute pagare…

  8. Il dipendente pubblico deve aumentare la produttività del suo lavoro, ossia deve lavorare di più, per fare lo stesso servizio pubblico nel privato si occupa un terzo di dipendenti.
    Per fare ciò occorre applicare lo stesso trattamento giuridico del privato, il lavoratore che sbaglia deve essere licenziato, con questa minaccia anche il dipendente pubblico si metterà a lavorare.
    Ciò naturalmente non è una critica per tutti, vi sono anche dipendenti pubblici che fanno oltre il loro lavoro anche quello degli altri fannulloni: si dovrebbe prevedere dei premi di produttività per coloro che sono più bravi e produttivi.

    • gianni

      E chi stabilisce se uno è più bravo di un’altro, e quali sono i parametri per stabilire questo. La simpatia o l’appartenenza ad uno schieramento politico piuttosto che ad un altro?

  9. Riccardo

    Noi potremmo continuare all’infinito a parlare di soluzioni, anche fattibili, per un’amministrazione veloce, efficace e priva di corruzione e teoricamente potremmo anche proporla, ma anche avendo un governo forte che si alienerebbe i sindacati non la farebbe mai, e lo sapete perchè? Perchè un settore pubblico che funzionasse come dovrebbe, ad esempio la sanità o la scuola, farebbe cadere automaticamente la necessità di un’offerta privata e pertanto, scuole paritarie (ovvero private), ospedali pubblici (San Raffaele, Santa Rita ecc…) non avrebbero più margini di manovra. Certo è che chi è dentro al pubblico che ci crediate o no, non sempre si diverte a sostenere il peso della disorganizzazione o dell’abbandono a cui si è costantemente esposti da parte dell stato (con la “s” minuscola)

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