Matteo Renzi vuole riformare la burocrazia. Ma non basta ridurre gli stipendi degli alti dirigenti, per “cambiare l’Italia” occorre che la pubblica amministrazione traduca, e celermente, le riforme in atti concreti. Alcune semplici linee guida da seguire per ottenere risultati.
LA PA E L’IMPOTENZA DELLA POLITICA
Il nuovo presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha dichiarato che “la lotta alla burocrazia è la madre di tutte le battaglie”. Bella idea, ma cosa vuol dire esattamente? Su lavoce.info, Roberto Perotti ha messo il dito nella piaga di certe retribuzioni eccessive di cui beneficiano alti dirigenti pubblici e manager di Stato. Certo, una loro riduzione incontrerebbe l’immediato favore dell’opinione pubblica. Tuttavia, conseguire risparmi di spesa è un obiettivo minimo, e non adeguato all’ambizione di “cambiare l’Italia” che coltiva Renzi, il quale, per riuscire, dovrà ottenere che la pubblica amministrazione traduca, e celermente, le sue riforme in atti concreti.
Esiste una diffusa sensazione di impotenza della politica, che sente di non essere in grado di controllare la Pa. Di qui, atteggiamenti spesso denigratori (la campagna verso i “fannulloni”) o diffidenti, che di sicuro non creano un buon clima di lavoro.
Riformare la “burocrazia” significa ripensare i rapporti tra il vertice politico e la sua struttura. Una efficace riforma della Pa dovrebbe avere semplici linee guida: un tetto per gli stipendi; accorciamento della catena di comando; distinzione tra politica e amministrazione, e tra amministrazione e giurisdizione; professionalizzazione della dirigenza, scelta con i criteri costituzionali del concorso e dell’imparzialità; esclusività degli incarichi; mobilità.
In primo luogo, va rivista l’organizzazione della presidenza del Consiglio, che – invece di essere un’agile staff del premier – è una galassia di dipartimenti e ministri senza portafoglio, uffici di supporto, strutture di missione, comitati, commissioni e commissari straordinari, più la Scuola nazionale di amministrazione. Un kombinat che si occupa un po’ di tutto, dalle adozioni alla Tav, spesso duplicando le funzioni di altri ministeri. (1)
Il nuovo premier potrebbe facilmente dimostrare le sue capacità di riforma iniziando a far pulizia in casa propria.
Un altro settore d’intervento è certamente l’alta dirigenza. Qui il rinnovamento sarebbe semplicissimo: se i vertici dei ministeri non vengono riconfermati entro novanta giorni, decadono automaticamente per legge.
Va poi affrontata l’incancrenita commistione tra politica, alta amministrazione e magistratura.
Lungi dall’essere prigionieri dei loro capi di gabinetto, come vengono spesso dipinti, i ministri degli ultimi venti anni hanno fatto a gara per affidare a esponenti delle magistrature incarichi delicati, di gestione e di consulenza, e negli uffici legislativi. (2) In queste figure di magistrati-dirigenti-legislatori si è praticamente annullata la distinzione tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario, una causa non secondaria dell’eccesso di regolazione e del suo disordine.
Andrebbe anche posto un freno, con una clausola di esclusiva, al collezionismo di lucrosi incarichi da parte di alcuni manager di Stato (di nomina politica, si noti bene), giunto, come ha evidenziato il “caso Mastrapasqua”, a livelli incredibili. Insomma, ognuno faccia il suo mestiere – e faccia solo quello.
SPOILS SYSTEM ALL’ITALIANA
Quanto alla commistione tra politica e amministrazione, la politica degli incarichi dirigenziali dirà molto sulla capacità innovativa del governo Renzi.
Lo spoils system “all’italiana” – applicato finora – permette al politico di turno di affidare gli incarichi apicali senza alcun controllo e valutazione comparativa. Il fatto che la nomina dei dirigenti responsabili di importanti aziende dello Stato sia paragonata dalla stampa a una lotteria (il cosiddetto “totonomine”), che può beneficiare qualcuno piuttosto che qualcun altro senza ragioni apparenti, la dice lunga sull’opacità e arbitrarietà della procedura.
Occorre dunque rendere contendibili i più alti incarichi della Pa, secondo metodi trasparenti e meritocratici.
Come avverte il costituzionalista Michele Ainis: “i partiti (…) hanno divorato gli apparati burocratici, distruggendone l’imparzialità prescritta dall’articolo 97 della Carta, (…) pretendendo di scegliersi capi e sottocapi attraverso lo spoils system”, ma “il dirigente selezionato per meriti politici diventa giocoforza un politico lui stesso, acquista l’autorità per governare in luogo del governo, si sostituisce legittimamente al suo ministro”. (3)
L’articolo 97 della Costituzione prevede il metodo del concorso pubblico per l’accesso agli incarichi. Se ne è data finora una interpretazione riduttiva, come se dovesse valere solo per le posizioni entry level. Perché dovrebbe essere un metodo buono per selezionare un bidello o un vigile urbano e non un direttore generale? Immaginiamo un sistema in cui le posizioni apicali della Pa siano coperte con procedure concorsuali, magari affidate a società di cacciatori di teste, e aperte su un piano di parità anche a non dipendenti pubblici.
La legge Brunetta già prevedeva i concorsi per i direttori generali: che si aspetta ad attuarla? (4)
La mobilità può essere infine conseguita rimuovendo i ruoli di amministrazione che da tempo bloccano i dirigenti nello stesso ministero, e imponendo una rotazione dopo alcuni anni nello stesso incarico.
Insomma, sono tutti risultati che si possono ottenere manovrando la leva legislativa e persino a legislazione invariata: se il nuovo governo vuole, può. Senza alibi.
(1) Per esempio, c’è un dipartimento per le Politiche europee e pure una struttura di missione per la risoluzione delle procedure di infrazione Ue, quando al ministero degli Affari esteri è presente una direzione generale per l’Unione Europea.
(2) Alberto Alesina e Francesco Giavazzi “Purché si dica tutta la verità”, Il Corriere della Sera 21 febbraio 2014;
Angelo Panebianco, “Il velocista e il pachiderma”, Il Corriere della Sera 23 febbraio 2014
(3) Michele Ainis “La confusione e le inefficienze”, Il Corriere della Sera, 19 luglio 2013
(4) Dlgs 30-3-2001 n. 165, art 28-bis “Accesso alla qualifica di dirigente della prima fascia”, introdotto con art. 47, comma 1, Dlgs 27 ottobre 2009, n. 150.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
dc
A proposito di “adeguatezza all’ambizione di cambiare l’Italia che coltiva Renzi”, questo articolo non contiene una parola sull’adeguatezza del ministro che Renzi ha scelto per fare la madre di tutte le battaglie.
Dario Quintavalle
1) La Voce è una testata scientifica, non politica, 2) gli autori, quali dirigenti dello Stato, sono tenuti a collaborare lealmente con qualunque governo legittimo e ad astenersi da valutazioni inopportune; 3) comunque, un giudizio formulato prima che il Ministro si sia messa all’opera è un pre-giudizio. Che non è mai sintomo di onestà intellettuale…
ernesto moro
Il concetto che il taglio alle retribuzioni dirigenziali pubbliche abbia un effetto limitato sulla spesa pubblica è nettamente fuorviante, potrebbe nascondere una tesi difensiva di privilegi e potentati burocratici anacronistici e pericolosi per l’apparato amministrativo. La spesa pubblica c’entra molto poco, è ovvio. Ma la questione è che spesso quelle retribuzioni sono eccessive rispetto alla produttività, sopratutto rispetto a seri meccanismi di valutazione delle performance. La mobilità, sia territoriale sia nelle funzioni o negli enti, dovrebbe essere la regola per evitare attaccamenti alla funzione e la nascita di micropotentati burocratici. Su questo Matteo Renzi ha ragione e tanti dirigenti pubblici dovrebbero fare esperienza della dirigenza privata, per capire ed imparare cosa significa, anche in termini di responsabilità, l’attività manageriale.
Mauro
Il paragone è popolare ma improprio. C’è un’incolmabile differenza tra le due figure: il manager privato risponde solo al proprio datore di lavoro (il quale utilizza risorse private) e ha come priorità il raggiungimento degli obiettivi aziendali (mirati al profitto, di solito). Il dirigente pubblico risponde anch’egli, è vero, a un datore di lavoro, però pubblico, che dunque utilizza risorse pubbliche (dei cittadini) per perseguire obiettivi di interesse generale (si spera). In questa attività, piaccia o no, il dirigente pubblico è obbligato, prima ancora che a raggiungere gli obiettivi, a rispettare leggi e norme che il più delle volte finiscono per imbrigliare la sua azione anziché a favorirla. Se permettete, non è una differenza da poco.
Lorenzo
Punto di vista quantomeno stravagante.
“il dirigente pubblico è obbligato, prima ancora che a raggiungere gli obiettivi, a rispettare leggi e norme.”
Non sapevo che il dirigente privato ne fosse esentato.
giovanni fino
L’alternatività della dirigenza pubblica-privata esiste già ed è regolata dalla legge. E’ la stessa normativa che prevede incarichi esterni alla Pa in favore di dirigenti privati mediante appositi contingenti a titolo di pendant. Inutile dire che la parte più applicata della normativa è la seconda a discapito della prima.
Dario Quintavalle
Sulle esperienze, parlano i nostri curricula. Il retroscenismo è considerato – a torto – sintomo di arguzia intellettuale. Non abbiamo certo scritto un articolo col segreto intento di difendere privilegi che comunque non ci appartengono. Gli autori sono dirigenti di seconda fascia: quindi non Paperoni di Stato, al massimo Paperini…
Enrico
La lotta alla burocrazia passa anche per la semplificazione effettiva delle procedure, mantenendo solo quelle veramente necessarie ed eliminando quelle fini a se stesse.
Quindi: togliere innanzitutto le procedure assurde.
Luigi Di Porto
L’articolo mi ricorda come si lavorava nella grande azienda privata fino agli anni 80, focalizzati sulle procedure e sui problemi interni, come risultato le riorganizzazioni richiedevano tempi biblici e comunque non erano mai funzionali allo scopo.
Le aziende di successo hanno cambiato l’approccio mettendo “il cliente al centro di tutto”, allo stesso modo la politica dovrebbe mettere il “cittadino al centro di tutto” con poche semplici regole:
1-Nessun ente pubblico (o assimilato) è autorizzato a chiedere al cittadino informazioni di cui lo stesso ente o altro ente sia già in possesso.
2-Per ciascuna pratica il cittadino (inteso sia come privato che come azienda) si rivolgerà ad un unico ufficio che protocollerà la sua richiesta e, nel giro di 48 ore, gli assegnerà un responsabile (con nome e cognome) di tutto l’iter burocratico, che interagirà con altri enti coinvolti. Le risposte gli verranno date solo tramite il suo responsabile e si stabilirà un limite temporale oltre il quale l’iter non potrà andare, differenziato per ciascun tipo di pratica. In chiusura di ciascuna pratica il cittadino esprimerà una valutazione sulla sua gestione.
3-Tutta la dirigenza e la struttura sarà valutata (premi/penalizzazioni, promozioni e, perché no, rimozioni) sulla base dei risultati raggiunti: tempi di presa in carico, tempi di espletamento, correttezza delle risposte, numero e risultato dei ricorsi, grado di soddisfazione del cittadino.
In questo modo la burocrazia sarebbe forzata a riorientarsi sui risultati e non sui processi e si andrebbero a premiare i comportamenti più utili al raggiungimento degli obiettivi.
Luigi Oliveri
E’ già così. Il fatto è che troppe amministrazioni non applicano disposizioni normative ed organizzative che da almeno 20 anni dispongono esattamente queste cose.
Luigi Di Porto
Proprio ieri ho dovuto portare all’INPS un documento nel quale comunicavo cose che loro sanno benissimo. Cosa si può fare per costringere la PA ad applicare la legge?
Mario
Chiedere l’intervento del dirigente designato come titolare del poter sostitutivo in caso di inerzia, ai sensi dell’articolo 2, comma 9 bis della legge 241/90 (introdotto dall’art. 1, comma 1, legge n. 35 del 2012, poi così modificato dall’art. 13, comma 01, legge n. 134 del 2012)
Denunciare alla sezione regionale della Corte dei Conti il fatto dianzi segnalato, per evidente danno erariale cagionato.
Mario
Luigi Oliveri
Proprio così. E per l’eventuale ulteriore inerzia rivolgersi a quei Tar che Renzi sembra voler eliminare
Luigi Di Porto
Ho capito tutto, lasciamo perdere. Si fa prima a portare il documento.
Francesco Papa
Solo un piccolo contributo su un particolare aspetto, quello della intermediazione professionale. Fra cittadini ed aziende e burocrazia
Sono passato dall’alta burocrazia ad imprenditore, grazie al Sign. Mastrapasqua.
Avevo imparato ed ho avuto conferma, che un intero corpo di dirigenti e funzionari di tutte le pubbliche amministrazioni, e di tutti gli enti “privatizzati” con funzioni pubbliche, si occupa costantemente di complicare tutte le procedure, perché deve favorire l’intermediazione parassitaria di liberi professionisti, (evoluzione della disoccupazione intellettuale). Altri rendono “rari” e/o indisponibili i servizi pubblici, per favorire il servizio di privati (es: apparati pubblici che funzionano due ore al giorno, macchine usate solo di mattina eccc)
E poi devi sempre avere firme, asseverazioni, CAAF, commercialisti, ingegneri, avvocati, procuratori, geometri, ragionieri, medici, copie autenticate, notai, e pagarli. E poi certificati, certificati di certificatori, asseverazioni aggiuntive, moduli e firme europee, “timbri visibili”, e poi discrezionalità.
Avete mai provato a chiedere un rimborso IVA?
Avete calcolato che se si semplifica perderebbero lavoro centinaia di migliaia di intermediari e asseveratori? Fate un calcolo economico, una amministrazione funzionante che agevola le pratiche, e semplifica, produrrebbe il disboscamento di interi albi professionali.
Allora, il firmamento che ruota attorno alla burocrazia, e che spesso esprime dirigenti coinvolti, chi lo affronta? Pensate ai dirigenti di Enti pubblici, spesso di estrazione sindacale, che favoriscono i Patronati sindacali, che incassano più delle spese del personale degli Enti stessi.
Ci sarebbe molto altro, ma questo aspetto mi sembrava trascurato nell’analisi della situazione.
Mario
Poiché condivido integralmente la considerazione (rectius: la dimostrazione del «re nudo», postata dal Sig. Papa, invito gli Autori ad esprimere il loro parere nel merito.
Luca Marrapodi
Credo sia necessario non fermarsi alla cosiddetta “alta burocrazia ministeriale”. Occorre prestare attenzione e studiare opportune riforme anche per la burocrazia che potremmo definire “bassa”. Mi riferisco a quella degli Enti territoriali (Regioni ed Enti Locali), spesso inefficiente e incompetente che, grazie anche alla sterminata produzione legislativa, gode di notevole de-responsabilizzazione.
Luigi Oliveri
Mi sento di escludere del tutto la radicalità e sommarietà di questa valutazione. Teniamo, comunque, presente che, basta vedere i dati della Corte dei conti, negli enti locali, si arriva fino ad un 43% di dirigenti “esterni”, di nomina politica, moltissimi dei quali funzionari (talvolta senza nemmeno titolo) interni, beneficiati senza alcuna selezione di incarichi al di sopra delle loro possibilità. Per non parlare dei direttori generali scelti dall’esterno (e il nuovo segretario generale di Palazzo Chigi proviene da questa tipologia), nulla più, troppo spesso, che una longa manus della politica. Nonostante queste intromissioni della politica, che abbassano notevolmente efficienza, autonomia e capacità, il livello della dirigenza locale non è rispondente alla descrizione.
Luca Marrapodi
La mia non voleva essere assolutamente una affermazione radicale ma allo stesso tempo non la considererei sommaria. La mia personale esperienza di lavoro in un territorio del Mezzogiorno di Italia mi porta a fare tali considerazioni.
Mario
A mio giudizio occorre, innanzi tutto che i magistrati (di qualsiasi genere: civili, amministrativi e contabili) tornino tutti, nessuno escluso, a svolgere le funzioni di magistrato e null’altro. Occorre anche che non siano più nominati dai partiti (per il tramite del Ministro di turno) i dirigenti apicali, e che quelli già nominati, se non in possesso di requisiti specifici verificabili (non dagli attuali partiti che hanno logiche oclocratiche), siano avvicendati, ponendoli in mobilità.
Ma la vera «madre di tutte le battaglie» rispetto alla burocrazia consiste nel ricopiare quello che ha fatto grande la efficiente ed efficace burocrazia francese, ossia la ENA (Ecole nationale de administration), reperire il personale dirigente dalla SSPA (scuola superiore della pubblica amministrazione), equivalente negli insegnamenti ed apprendimenti (con severi controlli semestrali al fine di proseguire negli studi) all’ENA.
Mario
Dario Quintavalle
Entrambi gli autori di questo articolo provengono dalla Sspa. Tra l’altro, si è concluso da tempo il V corso di formazione dirigenziale della Sspa (ora Sna), e i 105 giovani che l’hanno superato, pienamente formati e selezionati, ancora non sono stati assunti. Più che lo spreco dei soldi usati per formarli, è grave lo spreco di energie. La prima riforma della Pa è immettervi sangue fresco.
ceskov
Sarebbe altrettanto opportuno valorizzare i dipendenti del comparto, quelli cioè che fanno materialmente il lavoro. Spesso non hanno indicazioni e direttive chiare dai propri dirigenti che percepiscono stipendi elevati ma svolgono la propria attività con impegno e passione. Questo esercito da troppo tempo non ha aumenti di retribuzione ma nemmeno gratificazioni professionali.
Dario Quintavalle
Senza fare partite dirigenti-dipendenti, mi sento di sottoscrivere – da dirigente che ha un ufficio con 100+ risorse umane – la necessità di rivalutare la gran massa dei dipendenti pubblici, oggetto da anni di una campagna denigratoria. Inoltre, per l’endemico blocco del turn over da troppo tempo non si reclutano giovani funzionari. Il declino della PA è anche demografico.
giovanni fino
Condivido molte delle osservazioni degli autori. MI sembra però doveroso rilevare che l’articolo citato nella nota 2 formula solo un generico riferimento ai capi di gabinetto e non si sofferma, come la citazione sembrerebbe indicare, sul fatto che tale incarico sia sovente affidato a magistrati, soggetti che per definizione sono esperti di ben altro che di gestione aziendale. Il problema sollevato dagli autori è però reale, al di là della citazione impropria. La commistione tra funzione giudicante e amministrazione attiva resta infatti un ircocervo sconosciuto ai paesi più avanzati ed un malvezzo tutto italiano, spesso aggravato anche (almeno in passato, oggi non saprei) dal cumulo retributivo tra le due funzioni. Per un’efficace riforma della dirigenza occorrerebbe una semplice norma che stabilisca l’incompatibilità della funzione giurisdizionale con qualsiasi funzione o incarico di amministrazione attiva, comportando la necessità per chi voglia “fare amministrazione” di dimettersi dalla magistratura. Diversamente, è pressoché inevitabile il rischio tutt’altro che potenziale di conflitto di interessi e comunque di intralcio ad una gestione efficiente delle risorse pubbliche, in favore di un legalismo che a volte sconfina nel puro e semplice bizantinismo.
Piero
Il Prof. Perotti ha fatto un egregio lavoro, speriamo che Renzi non lo butti nel cestino, basta attuarlo.
Per i manager di enti pubblici, basta una semplice regola, se produci perdite vai a casa, sarebbe ciò che succede nell’impresa privata, il manager di una impresa privata deve creare valore aggiunto per gli azionisti, quindi se lo stato vuole fare l’imprenditore non può gestire baracconi in perdita che dopo vengono finanziati con le tasse degli italiani, naturale che un esercizio in perdita può essere accettato, ma tutto sta in una logica di un eventuale piano industriale.
Per l’unicità dell’incarico, penso che non se ne debba nemmeno parlare.
Per quanto riguarda i compensi dei membri politici nominati nei consigli di amministrazione che non hanno deleghe, non si deve parlare di compenso, ma solo di gettone di presenza che deve essere fissato dalla legge, non è tollerabile casi come quello di Mastropasqua e coniuge, fanno allontanare gli italiani dalla vera politica.
Damiano
Selezione avversa http://it.wikipedia.org/wiki/Selezione_avversa
Come evitare che peggiori condizioni economiche attirino le peggiori professionalità e/o gli imbroglioni che “integrano” lo stipendio? Perché il Direttore generale del Debito pubblico guadagna 170mila euro e le sue controparti nelle banche più di 1milione? E si che pagarlo bene significa far risparmiare MILIARDI di euro alle nostre tasse!
Oltre la demagogia, la Responsabilità.
bellavita
Certo che licenziare qualche direttore generale farebbe lavorare meglio gli altri: è la buona regola di chi va a capo di un’azienda dall’esterno: mentre non insisterei sul concorso, il direttore generale deve essere il braccio del ministro, che però non è la dea Kali. Un’altra regoletta sarebbe di affidare la stesura dei regolamenti attuativi delle leggi a un solo direttore generale, che viene messo a disposizione se non rispetta i termini stabiliti nella legge (3 o 6 mesi). Si arrangi con Internet per i pareri degli altri direttori generali interessati al regolamento: è noto che per fissare una riunione con più di 10 partecipanti ci vogliono 15 giorni. Sempre che qualcuno non saboti: per il regolamento dell’autoproduzione dell’energia elettrica ci vollero 10 anni, mentre i figli dei dg sabotatori facevano carriera in ENEL, che quella legge non voleva.
josef sezzinger
Magari un’idea migliore è abolire la commistione tra burocrazia statale e locale e l’economia reale.
Come ?
Eliminando le mille e più autorizzazioni necessarie a compiere qualsiasi atto economico.
Le aziende ringrazierebbero e la corruzione sarebbe meno invasiva. Troppi controlli e controllori non aiutano la vita economica delle aziende.
I cosi detti Burocrati si occupino del buon funzionamento delle rispettive organizzazioni e si smetta di pensare che il centro debba essere ciò che determina il tutto.
Le strutture organizzative piramidali alla lunga hanno sempre prodotto disastri.
L’Italia ne è un chiaro esempio: la corruzione dilaga a tutti i livelli delle amministrazioni pubbliche perché gran parte di chi le presiede usa il proprio potere autorizzativo per vivere nell’agio e sfruttare la ricchezza prodotta dall’economia reale.
Chi decide non è l’attore dell’iniziativa economica ma il leonico amministratore o dirigente assetato di denari.
Ottima la proposta di concorsi per le posizioni apicali della Pubblica Amministrazione.
Altrettanto opportuna sarebbe la licenziabilità del Dirigente o la decadenza se non confermato entro 90 giorni.
Luigi Oliveri
Licenziabilità del dirigente già da tempo prevista. Articolo 21 d.lgs 165/2001:”Il mancato raggiungimento degli obiettivi accertato […] ovvero l’inosservanza delle direttive imputabili al dirigente comportano, previa contestazione e ferma restando l’eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l’impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale. In relazione alla gravità dei casi, l’amministrazione può inoltre, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, revocare l’incarico collocando il dirigente a disposizione dei ruoli di cui all’articolo 23 ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo”. La decadenza dagli incarichi per i dirigenti “apicali” a seguito della formazione dei nuovi governi è, a sua volta, prevista da sempre.
giulioPolemico
Si abbia un minimo di onestà intellettuale: sappiamo benissimo che la legge c’è, ma nessuno la applica (troppi interessi dei politici a tenere piazzati i loro uomini). Alla fine rimangono tutti sulle loro poltrone. Come i premi per il raggiungimento del risultato: sotto lo Stato li prendono tutti.
Luigi Oliveri
Abbia pazienza, senza scomodare l’onestà intellettuale. Se viene proposta un’idea che è già presente nella normativa, è necessario sottolineare, perché magari chi propone l’idea non lo sa, che la norma appunto la prevede già. Il sistema può fare solo due cose: fissare le norme e le regole; applicarle. Se le norme poi non vengono applicate, l’onestà intellettuale non c’entra nulla. Entra in gioco la serietà di chi presidia sistemi che già esistono e sui quali c’è poco da inventare, semmai molto da migliorare in termini di utilità.
giulioPolemico
Nel rispondere a josef sezzinger Lei ha citato la norma, con dovizia di particolari indubbiamente inconfutabili dal punto di vista teorico, e sostanzialmente ha risolto con un rassicurante “siamo già a posto perché la norma c’è già”. Invece, le cose stanno un po’ diversamente: la norma ci sarà pure, ma raramente viene applicata. Noi nella discussione non possiamo omettere questo piccolo ma non trascurabile particolare.
Luigi Oliveri
Mi pare che siamo fuori strada. Il primo commentatore ha manifestato un’idea, ritenendo, evidentemente, che fosse utile per sopperire ad una carenza del sistema. Il sistema, invece, non ha carenze, perchè prevede tutti gli strumenti. La loro applicazione è una questione connessa, ma distinta. Quindi, le cose non stanno diversamente, perchè per esserlo si dovrebbe dimostrare che la norma non esiste. E interventi che illustrano l’esistenza di norme non hanno uno scopo rassicurante, ma solo illustrativo.
Luigi Oliveri
La “lincenziabilità” è la possibilità di lcienziare. Che esiste. Essendo inconfutabile questo argomento, Lei ne apre un altro. La norma viene attuata? Questa è una responsabilità della politica.
josef sezzinger
Speriamo che queste norme vengano applicate e che producano i benefici effetti per cui sono state pensate.
Unnini
Ho letto tutti i commenti e sono confortato dal buon senso e dalla speranza che noi cittadini continuiamo ad esprimere, Anche nelle considerazioni più amare.
Mi chiedo però se la situazione sia realmente recuperabile.
Forse è un nodo gordiano e non possibile sciorglielo: dobbiamo reciderlo.
Allora affrontiamo prima il fallimento e poi la rivoluzione
Mario Rossi
Il sistema si è mangiato l’economia reale e ora, dopo che si sono moltiplicate le leggi e i regolamenti per creare sempre più confusione e burocrazia si vede chiaramente che chi ancora rimane in piedi lo fa perché ha spalle solide e fugge all’estero gli altri sono inglobati in un blob informe che non si sa quanto durerà ancora. La verità è molto semplice: Per rendere di fatto l’Italia ingovernabile e immutabile bastano 20 milioni di voti che sono quelli che portano i circa 5 milioni di dipendenti pubblici a cui viene riempita tutti i giorni la pancia per tirare a campare. Di questi 20 mil di voti 10 vanno al centro sinistra e 10 vanno al centrodestra che d’accordo e felici si fanno gli affari loro all’ombra di questo sistema in cui i litigi in parlamento e nei talk show sono un atto di teatro insignificante. Il tutto però funziona se qualcuno accetta di continuare a finanziare un debito pubblico che non aumenta per investimenti in grandi opere o in riforme epocali, ma viene fagocitato dal sistema stesso per rimanere in vita e consentire ad una classe imprenditoriale mafiosa di poter continuare a prosperare sotto il cappello di una classe politica di teste di legno. Ad un certo punto la Germania si è rotta le scatole e ci ha imposto di non fare più debito visto che ne abbiamo tanto e lo aumentiamo senza motivo e allora cominciano le contorsioni, gli anti euro e chi più ne ha più ne metta, ma una cosa è sicura: cari mafiosetti il mondo è molto più grande di voi e non lo spaventate di certo con coppola e lupara! un giorno molto vicino dovrete cedere anche voi!
Luca
Qualche idea per riformare la P.A.
1. Introdurre la possibilità del demansionamento temporaneo e successivamente permanente per i dirigenti pubblici in caso di insufficiente rendimento o mancato raggiungimento obiettivi.
2. Prevedere un unico contratto di lavoro per tutto il pubblico impiego e una contrattazione di secondo livello per singoli comparti, abolire la contrattazione a livello di ente o azienda.
3. Aumentare la parte variabile della retribuzione collegandola unicamente alla valutazione
meritocratica.
4. Introdurre la valutazione complessiva degli enti (una sorta di rating in base a parametri di
virtuosità organizzativa) da parte di agenzie esterne indipendenti alla quale collegare una parte degli incentivi per il personale.
5. Accorpare tutti gli uffici centrali di enti omogenei (esempio tutte le asl di una regione potrebbero avere un unico ufficio del personale, gare e contratti, controllo di gestione, avvocatura ecc..) le risorse umane cosi recuperate potrebbero essere
utilizzate per i servizi verso il pubblico.
6. Prevedere l’obbligo di avviso pubblico per la mobilità dei dipendenti che possano liberamente trasferirsi ad altro ente senza bisogno di nulla osta
dell’amministrazione di appartenenza.
7. Centralizzare il reclutamento del personale con concorsi e graduatorie uniche territoriali.
8. Prevedere l’obbligo per i dirigenti di trascorrere periodi di stage/formazione presso altri enti anche esteri.
9. Non tagliare in maniera lineare ma promuovere la meritocrazia e la carriera solo per i più
meritevoli.
10. Semplificare e accorpare le qualifiche professionali prevedendo tre soli livelli: dirigenti,
funzionari, impiegati.