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SE LA SCUOLA NON HA TEMPO PER LE MAMME

Il tempo pieno è un servizio educativo importante e un punto fermo nell’organizzazione delle famiglie italiane, in particolare quando la mamma lavora. Esiste un legame stretto tra questa modalità d’orario nella scuola dell’infanzia e primaria e l’occupazione femminile. Le donne che escono dal mercato del lavoro per le difficoltà a conciliare vita lavorativa e familiare, difficilmente riescono poi a rientrare. Il tasso di occupazione delle madri italiane è già molto basso. Non abbiamo certo bisogno di politiche che disincentivino ulteriormente il lavoro femminile.

 

 

Il tempo pieno, nella scuola primaria rappresenta una realtà diffusa per molte famiglie italiane del Nord, in particolare nelle grandi città: secondo i dati del ministero della Pubblica istruzione, nell’anno scolastico 2006/07 nel Nord-Ovest il 45,5 per cento dei bambini delle scuole pubbliche primarie ha frequentato la scuola per quaranta ore settimanali, con punte superiori al 90 per cento per esempio a Milano, nel Sud e Isole solo il 6,8 per cento.
Il tempo pieno rappresenta un servizio educativo importante e un punto fermo nell’organizzazione del tempo delle famiglie italiane, in particolare quando la mamma lavora. Il legame tra tempo pieno nella scuola primaria e occupazione femminile è molto stretto. (1) Inoltre, il tempo pieno nella scuola primaria promuove l’uguaglianza nelle opportunità.

INCERTEZZE DA DECRETO

Quale sarà il futuro del tempo pieno in seguito al decreto legge Gelmini (n. 137 dell’1/9/2008) appena approvato in Senato?
In un clima di confusione politica, con l’opposizione che dichiara che il tempo pieno è a rischio e il governo preoccupato di garantire che sarà addirittura aumentato, cerchiamo di capire che cosa dice il decreto.
L’articolo 4 del decreto legge Gelmini prevede al primo comma l’introduzione nella scuola primaria del maestro unico al quale è assegnata una classe “funzionante con orario di 24 ore settimanali”. L’articolo procede chiarendo che “nei regolamenti si tiene comunque conto delle esigenze, correlate alla domanda delle famiglie, di una più ampia articolazione del tempo-scuola”. Due punti ci sembrano importanti: (i) l’attività didattica è fissata in 24 ore settimanali; (ii) si lascia aperta la possibilità di un prolungamento dell’orario scolastico identificato come “articolazione del tempo-scuola”. Si intende con questo il tempo pieno, oppure attività non didattiche svolte a scuola in aggiunta a quelle obbligatorie? A chi saranno affidate? Quali le risorse per finanziare l’orario, a questo punto, aggiuntivo? Le famiglie italiane meritano maggiore chiarezza in proposito.
La lettura del piano programmatico predisposto con riferimento all’articolo 64 “Disposizioni in materia di organizzazione scolastica” del decreto legge 25/6/2008 n. 112 convertito dalla legge 6/8/2008 n. 133 non aiuta a capire fino in fondo che cosa succederà all’orario nella scuola primaria. E in più aggiunge dubbi sui tempi della scuola dell’infanzia.
Il piano programmatico si propone di rivedere i piani di studio e l’orario scolastico all’insegna dell’“essenzialità”. Uno dei criteri e principi guida è “la sostenibilità per gli studenti del carico orario e della dimensione quantitativa dei piani di studio, opportunamente riducendo l’eccessiva espansione degli insegnamenti e gli assetti orari dilatati, che si traducono in un impegno dispersivo e poco produttivo (…)”. In altri termini, il piano sottolinea con una certa insistenza la necessità di riorganizzare gli orari scolastici: orario di 24 ore settimanali e maestro unico (che insegnerebbe anche l’inglese, previo corso di 150 ore) sono fortemente proposti come il modello didattico ed educativo di maggiore efficacia. Come interpretare allora le più recenti rassicurazioni verbali del governo circa il mantenimento dello stesso orario attuale, che potrebbe addirittura essere esteso dove non c’è? Forse è una risposta politica alle preoccupazioni di tante famiglie – e di tanti elettori ? Nel contesto dell’autonomia scolastica, il piano programmatico ammette opzioni organizzative alternative di 27 o 30 ore o 40 se aggiungiamo le ore mensa, ma la loro fattibilità resta vincolata alle risorse a disposizione delle scuole stesse, su cui a priori non c’è nessuna garanzia.
Se le garanzie fornite a parole si tradurranno in risorse effettive, bene. Per il momento però è evidente lo scollamento tra ciò che è scritto nel decreto e come il governo lo presenta. Circola per esempio l’idea che i docenti che risulterebbero in esubero in seguito all’attribuzione delle classi a un unico maestro saranno riallocati nell’orario aggiuntivo. Ma questo meccanismo non compare nei documenti ufficiali.
Ricordiamoci comunque che non è solo una questione di orario. Conta anche il contenuto. Il tempo pieno deve rappresentare un servizio educativo di qualità e non un “dopo-scuola”.

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USCITA SENZA RITORNO

Inoltre, è sorprendente notare che mentre sull’università e sulla scuola primaria il dibattito è acceso, i cambiamenti programmati per i tempi della scuola dell’infanzia (“l’orario obbligatorio delle attività educative (…) si svolge anche solamente nella fascia antimeridiana”) sono, per il momento, rimasti ai margini della discussione. Se gli orari scolastici hanno un legame con l’occupazione femminile, quelli relativi alla scuola dell’infanzia possono essere particolarmente importanti. Le difficoltà di conciliazione delle donne tra vita lavorativa e familiare nei primi anni di vita del bambino possono contribuire a uscite dal mercato del lavoro (lavoratrici scoraggiate) tipicamente non reversibili. Più tardi si è in condizioni di rientrare nel mercato del lavoro, più è difficile farlo.
In Italia non abbiamo certo bisogno di politiche che disincentivino il lavoro femminile delle madri. Come illustra il grafico per la coorte di età tra i 25 e i 49 anni, il tasso di occupazione delle madri italiane è inferiore al tasso di occupazione femminile di tutta la coorte. Il divario inoltre è più ampio all’aumentare del numero di figli. Il fenomeno si verifica anche negli altri paesi europei, ma una peculiarità tutta italiana è il fatto che il tasso di occupazione delle madri non si riavvicini a quello femminile dell’intera coorte, peraltro in Italia ai livelli più bassi tra i paesi europei, all’aumentare dell’età del bambino. Questo suggerisce che sia molto più difficile per le madri italiane rientrare al lavoro dopo la maternità. Perché? La struttura del mercato del lavoro, la cultura della società e delle imprese giocano un ruolo importante. Ma anche le istituzioni hanno la loro responsabilità, la carenza di servizi per la prima infanzia in primo luogo: in Italia la spesa per l’infanzia per la fascia di età tra 0 e 3 anni è pari solo allo 0,1 per cento del Pil, contro lo 0,5 per cento della Francia e lo 0,8 per cento della Svezia, con tassi di copertura pari al 6,3 per cento dei bambini, contro il 28 per cento della Francia e il 39,5 per cento della Svezia.
Il tempo pieno per tutti nella scuola pubblica materna e primaria è, in questo contesto, una delle poche misure istituzionali a favore delle mamme lavoratrici. Dovrebbe essere potenziato, in particolare al Sud, invece che ridotto, se non vogliamo contribuire alla riduzione dei tassi di occupazione femminile, in particolare delle madri, già così bassi.

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(1) Si veda in proposito il nostro articolo su Il Sole 24Ore del 29/10/2008.

Fonte dati: UNECE Statistical Division Database

 

Foto: Copyright © Nokia 2008.

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20 commenti

  1. rossana velotti

    Condivido pienamente quanto scritto dalle autrici nell’articolo, mi domando però, in qualità di madre lavoratrice a tempo pieno con una figlia di 4 anni, quale sia la scelta migliore per quest’ultima. Attualmente frequenta il II anno di scuola dell’infanzia fino alle 13: da quell’ora fino al mio rientro (alle ore 18 circa) se ne occupa una ragazza alla pari che la fa mangiare, riposare e giocare un pò. Siamo sicuri che trascorrere così tanto tempo a scuola sia positivo per bambini così piccoli? E poi gli edifici scolastici sono predisposti con angoli relax, spazi all’aperto, aule sufficientemente grandi e spaziose? Secondo me, nel dibattito sulla scuola bisognerebbe rimettere al centro gli interessi dei principali interessati che sono i discenti. Solo dopo aver definito un progetto pedagocico si potrà stabilire quali siano le risorse umane, materiali, finanziarie necessarie per attuarlo e come fare per reperirle.

  2. darmix

    Ho letto su tuttoscuola su quello che chiamano dossier verità liberamente scaricabile dal sito: Si è anche letto su autorevoli giornali che l’avvento del maestro unico al posto del modulo 3×2 costituisce un “colpo al tempo pieno”, ma in realtà ad essere colpito è appunto il modulo, che funziona con uno o due rientri pomeridiani, e non il “tempo pieno”, che funziona tutti i pomeriggi e prevede normalmente l’impiego di due maestri (e non tre) su un orario complessivo di 40 ore.

  3. patrizia

    Sono una dipendente a tempo pieno che non ha ancora avuto dei bambini e che spera ogni giorno aprendo i giornali che tutto quello che propone il governo non passi in parlamento. Oggi si tratta della riforma Gelmini appena approvata che non assicura il tempo pieno ai bambini, domani sarà il pacchetto di aiuti per le famiglie, dopodomani sarà il quoziente familiare. Nonostante tante belle parole sembra che sia una costante del governo non voler affontare seriamente il problema del lavoro femminile. Se oggi una donna come me decidesse di diventare mamma non potrà farlo con i 5.000 € che dovrà restituire allo stato (anche se con un tasso di interesse di favore ed hanno il coraggio di chiamarlo bonus…), non potrà farlo sapendo che fiscalmente si privilegieranno le famiglie dove è più conveniente che uno solo dei due genitori lavori, non potrà farlo sapendo che non ci saranno strutture disposte a ospitare il proprio bimbo tutto il giorno. Eppure ho studiato quanto mio marito, ho lavorato quanto mio marito ed ho pagato le tasse quanto lui e tutto questo ovviamente in barba al ministero delle pari opportunità.

  4. Gian Maria Bernareggi

    Un semplice calcolo proposto dal "Corriere della sera" (30 ottobre 08, ndr) di ieri mostra che riorganizzando l’impegno orario del numero attuale di maestri (diventati "unici") si potrebbe effettivamente aumentare l’impiego del tempo pieno nella nostra scuola elementare. Se poi il governo e la sua stampa "amica" non sanno comunicare con un minimo di concretezza su questo punto, autorizzando lo scetticismo delle autrici, sono fatti loro. Nessun dubbio, comunque, sulla necessità economica e sociale del tempo pieno. E’ dura però pensare (come hanno fatto spesso certi "esperti") che un ragazzino di 6/10 anni possa seguire con profitto delle attività didattiche vere e proprie per più di 4/5 ore al giorno. Non vedo cosa ci sia di negativo nell’idea di un "dopo-scuola", a patto che sia fatto bene e che "prima" ci sia una scuola seria. Chiamiamolo pure "parcheggio", ma ricordiamoci che i parcheggi possono offrire, se ben gestiti, dei servizi interessanti, e che comunque sono un’infrastruttura molto importante per la vita di una città.

  5. antonio p

    Forse rovescerei il problema: se la donna non è capace di fare la mamma, ma di essere un’ottima operaia o ingegnere non vedo perchè deve fare figli per prestarli o affittarli ad altri, anche vicemdri che non hanno altro interesse che prendere quasi quanto la donna guadagna andando a lavorare. Nessuno obbliga la donna a lavorare se ha un vero interesse per il proprio figlio. L’emancipazione-liberazione della donna si è dimostrata un’altra sconfitta dell’intelletualismo sociale delle sinistre rovina popoli.

  6. giovanna

    Ho trovato interessante il vostro articolo, tra l’altro non avevo anch’io considerato come il discorso del tempo scolastico (non quindi solo una questione d’orario) coinvolgesse pure la scuola dell’infanzia. Vorrei porre l’attenzione a questo punto sulle scuole secondarie di II grado, meglio conosciute come "superiori": ho letto che potranno avere un orario massimo di 30 ore nel caso dei licei, di 32 se licei musicali o artistici o istituti tecnici. Come credo sia noto alla maggioranza delle persone, gli istituti tecnici in particolare (anche gli IPSIA) sono organizzati su un orario di 34-36 ore. Infatti comprendono ore di laboratorio e di specializzazione, indispensabili per la formazione degli studenti. Alla domanda "4 ore in meno alla settimana sono davvero tante, cosa verrà tolto?" nessuno ha saputo rispondermi. Toglieremo ai nostri futuri tecnici la preparazione di base, oppure le materie e i laboratori che servirebbero loro per entrare con un minimo di esperienza e competenza nel mondo del lavoro? Ma non erano proprio le imprese a chiedere maggior preparazione dei diplomati e maggior contatto con il mondo del lavoro? Anche loro dovrebbero farsi sentire!

  7. loredana Metta

    Non avrei mai creduto di dover difendere la scuola del tempo pieno. Ero convinta, invece, da tempo, che abbisognasse di un avanzamento, di una robusta rivivificazione: innovazione didattico-educativa, risorse, classi in numero ridotto e strutture logistiche adeguate al soggiorno dei più piccoli. (É nota, ad esempio, la cronica carenza di palestre e la mancanza di spazi confortevoli per i momenti di gioco e relax). E invece… tocca difenderla, la scuola del tempo pieno, dalla prospettiva della barbarie del dopo-scuola! Commento quindi l’intervento di Casarico e Profeta, così lucido e chiarificatore, ricordando che l’esperienza del dopo-scuola, non solo è didatticamente sterile, ma è mortificante e disagevole per i bambini, che, costretti sempre negli stessi spazi inadeguati e affidati a personale non qualificato, rischiano di essere costretti a trascorrere i pomeriggi nel chiasso e nella dispersione, occupati da attività puramente intrattenitive che sciupano le delicate potenzialità di una tappa fondamentale della crescita.

  8. Lucia

    Ancora oggi, in questo Paese, si crede che l’occupazione femminile sia un "optional", un capriccio di ragazze e signore annoiate che vogliono ragranellare qualche spicciolo per comprarsi le scarpe alla moda o pagarsi l’estetista. Che il lavoro, oltre che realizzazione personale, sia una assolutà necessità per sopravvivere anche per le donne, non è ancora ben chiaro a molti, eccetto che alle stesse donne, che lavorino o siano disperatamente disoccupate. Per non parlare dello sprezzo totale in cui è tenuto il lavoro delle casalinghe, vero sfruttamento quotidiano di milioni di persone e primo ammortizzatore sociale nazionale, naturalmente gratis per tutti i governi; una vera manna, ma non bisogna farlo capire alle interessate. Il concetto che le tasse e i contributi pagati dalle lavoratrici valgano tanto quelli pagati dagli uomini non è ancora ben chiaro, nemmeno a livello istituzionale; e, del resto non risulta, ad ora, che il Ministero per le Pari Opportunità si sia minimamente pronunciato sulla questione. Chissà di cosa si occupa questo Ministero, a parte la prostituzione in strada!

  9. Katia Cintelli

    In questo clima di incertezza e di scoraggiamento questa riforma mina anche le poche certezze nella vita di una donna lavoratrice con figli piccoli. La difficoltà quotidiana delle famiglie, in particolare delle donne, di conciliare il carico lavorativo retribuito e non retribuito non è oggetto di nessuna riforma, anzi l’agenda politica continua a occuparsi di altro e la riduzione del tempo scuola è un altro tassello verso una recessione del nostro Paese. Non solo in economia ma nel grado di civiltà. L’Italia dovrebbe sganciarsi dall’Unione europea e avvicinarsi ai paesi Africani con i quali abbiamo sempre più affinità!!

  10. Tommaso, padre di 3 figli

    Al di là del fatto che per chiunque frequenta scuole elementari la differenza tra doposcuola (o tempo scuola) e tempo pieno è talmente chiara e ben evidente da lasciare seri dubbi sulla correttezza dialettica di chi propone/impone lo scambio, un fatto mi sembra da evidenziare. Alla sinistra è sempre stato criticato, con ragione, di voler recitar il ruolo del Salvatore e di sapere cosa è giusto per gli altri. Rendendola per questo motivo antipatica e illiberale. Adesso questo governo che vorrebbe dichiararsi liberale impone a tutti un modello di maestro unico, ( o prevalente e chi più ne ha più ne metta) senza minimamente sentire i cittadini/genitori. Togliete pure i moduli (ecchissenefrega) ma lasciate alle famiglie di decidere se preferiscono il maestro prevalente e tutte le masturbazioni mentali della Gelmini sul dopo/durante/post/scuola oppure il tempo pieno. Vedremo cosa nelle grandi città le famiglie scelgono. Dopo di chè con una adeguata programmazione il governo sarà in grado di distribuire maestri e orari sulla base delle scelte dei cittadini, liberi di scegliere. Liberi: tutto il resto è propaganda.

  11. Bruno Stucchi

    Il tempo pieno oggi e’ applicato da meno del 25% delle scuole dell’obbligo. E viene effettuato principalmente al Nord. Centro e Sud sono le regioni piu’ inadempienti.

  12. Bruno Stucchi

    Fin septembre 2007, alors qu’aucune organisation ne le demandait, le ministre de l’Education nationale annonce sa décision de supprimer les classes du samedi et de réduire la semaine à 24 heures pour les élèves ( quatre jours de 6 heures), les enseignants gardant un service prévu de 27 heures.
    E’ gia’ cosa fatta. Perche’ la democraticissima Francia se lo puo’ permettere e l’Italia no?

  13. DE SANTIS UMBERTO

    Vi ringrazio di aver spiegato organicamente quello che vado scrivendo da giorni sul mio blog in costante riferimento al vostro sito! la tragedia di questa ormai legge dello stato è che non sono state fatte proiezioni e valutazioni delle conseguenze, e la comunicazione del "regime pubblicitario" in cui viviamo, di conseguenza, non verteva sullo scritto del testo del decreto ma sulle chiacchere del governo.

  14. Giuseppe Caffo

    Quello della mamma lavoratrice un problema irrisolto dei nostri tempi.Il mondo del lavoro ha bisogno a tutti i livelli delle qualità e delle peculiarità delle donne,i bambini hanno bisogno delle cure e del tempo delle mamme.Belle ma difficili da applicare su larga scala le soluzioni tipo asili aziendali.Il punto allora è una volta ancora la qualità.Tempo pieno, dopo scuola sono soluzioni la cui validità è del tutto rapportata alla qualità dei contenuti e soprattutto degli operatori e delle strutture.E’ evidente che bisogna investire di più e meglio.Il rischio da evitare assolutamente è che la scuola sforni cittadini ben inquadrati pronti ad adattarsi passivamente a mansioni e ritmi lavorativi alienanti.

  15. Paola

    Una semplice osservazione: ma se cominciassimo a parlare di "genitori" anziché solo di "madri", quando si parla di famiglia e lavoro, non sarebbe un buon inizio per la risoluzione delle storture della nostra società, visto che sono innanzitutto di tipo culturale? Il commento di antonio p. mi sembra illuminante, in proposito. A parte il periodo di gravidanza e allattamento, che cosa obbliga un padre a lavorare se ha un vero interesse per il proprio figlio?

  16. Maria Luisa e i suoi tre figli

    Mamma lavoratrice, finora ero serena perché il tempo pieno alla scuola elementare mi garantiva una formazione di base di qualità per i miei figli e non solo un parcheggio fino alle 16.30. Mio figlio che frequenta la 5a elementare, al pomeriggio è seguito dalla sua maestra (di italiano/storia/geografia o di matematica/scienze) che programma spiegazioni ed esercitazioni sulla base di 20 ore di presenza settimanale da conciliare con inglese ed informatica. Ora vorrei per le due piccole una scuola elementare di qualità come quella frequentata dal fratello. Come farà un’insegnante sola a fornire una cultura di base simile a classi composte da un numero maggiore di bambini? Sono contraria a questa riforma che prevede solo misure di carattere finanziario e non si preoccupa del livello d’istruzione delle generazioni future.

  17. maurizio angelini

    La stragrande maggioranza dei bambini e bambine italiani frequenta – nonostante non siano obbligatori – almeno due anni di scuola d’infanzia. Il 75% delle scuole d’infanzia, sia quelle statali, sia quelle degli enti locali, sia quelle private (leggi cattoliche) fanno orari che normalmente arrivano oltre le ore 15: diciamo che fino alle 16 la permanenza scolastica è di quasi tutti i bambini. Questo è il livello di partenza, e così fanno quasi tutte le famigliie, anche quelle che non hanno entrambi i genitori al lavoro. Per i bambini è decisivo infatti giocare, imparare, cantare, lavorare, dormire assieme. Anche su questo dunque è palese che ha deciso Tremonti; la Gelmini esegue. Se le avessero ordinato di far volare i bambini lo avrebbe comunque fatto.

  18. ritucci giorgio

    Viviamo in paese difficile pieno di privilegi e pretese ingiustificate. In un paese in cui è difficile farsi un’opinione obbiettiva anche quando cerchi di informarti. Come contribuente della fascia medio-bassa di reddito vorrei contare di più come cittadino e pagare meno tasse magari da investire in cultura. Questo è il paese che deve pagare tutti gli anni 45-50 miliardi (miliardi non milioni) per un debito pubblico enorme. Questo è il paese in cui la pubblica amministrazione spreca tutti gli anni 80 miliardi (miliardi non milioni Notizia di Ricolfi-La Stampa). Questo è il paese in cui tutti gli anni si evade il fisco per 100 miliardi (miliardi non milioni). In Italia è del tutto normale che ci stia un Senato in cui si trovano (si fa per dire) 350 signori strapagati che non sanno cosa fare alla faccia naturalmente di quelle mamme che lavorano. Alla camera dei deputati ci sono 650 signori strapagati che si fanno chiamare ancora onorevoli. C’è anche un capo dello stato che ha una corte che costa più di quella d’Inghilterra. 8000 enti statali. Regioni a statuto speciale. 736 consiglieri regionali con 81.536 dipendenti e ben 6.296 dirigenti. Parlamentari eurpoei a 149.215. Allora?

  19. Federica

    Insegno da dieci anni per scelta in un tempo pieno. I miei due figli frequentano, per nostra scelta e non per necessità, scuole primarie a tempo pieno e ritengo di essere un utente soddisfatta del pubblico servizio offertomi. I bambini vivono in ambiente protetto esperienze socialmente strutturate e costruttive, parte di un gruppo di pari condotto da persone che sanno il fatto loro e che credono in quello che stanno vivendo con dei bambini. Sulla mia pelle vivo il "peso" dei momenti mensa e dei pomeriggi a scuola: certo, lavorare dalle 8:00 alle 13:00, sarebbe un’altra musica, ma vuoi mettere? Credo che tolto anche questo alla scuola primaria italiana non rimangano nientaltro che i sussidiari e i libri di lettura…peccato.

  20. maria

    POTETE TOGLIERMI UN DUBBIO?LA RETRIBUZIONE DI UN INSEGNANTE CHE LAVORA IN UNA PRIMARIA CON TEMPO PIENO E’ LO STESSO DI UN’ALTRA CHE LAVORA CON TEMPO NORMALE ANTIMERIDIANO O E’ MAGGIORE? INOLTRE QUANTE ORE DEVE FARE SE HA UN CONTRATTO DAL PROVVEDITORATO INTERO , CIOE’ 22+2? GRAZIE IN ANTICIPO

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