Con i primi pagamenti, la “nuova social card” entra nel vivo, anche se preceduta da qualche polemica. Invece, la sperimentazione avviata in dodici città con più di 250mila abitanti si sta rivelando molto utile per la definizione del target e per la messa a punto delle procedure di controllo.
L’OGGETTO DELLA SPERIMENTAZIONE
La sperimentazione della “nuova social card” avviata nelle dodici città con più di 250mila abitanti costituisce una tappa importante di verifica della bontà dell’approccio che si è andato delineando nelle politiche di contrasto alla povertà nel corso del 2012 e 2013.
La misura di contrasto alla povertà oggetto della sperimentazione ha le seguenti caratteristiche:
1) è un programma di inclusione attiva, nel senso che affianca a un trasferimento monetario a favore dei nuclei familiari poveri (fino a 400 euro al mese per una famiglia di cinque persone) un piano personalizzato di interventi di accompagnamento che ne favorisca l’inclusione sociale e il reinserimento lavorativo;
2) è uno strumento pienamente inserito nella rete di interventi e servizi sociali territoriali, in quanto assegna ai comuni un ruolo fondamentale nel selezionare i beneficiari e progettare i piani personalizzati;
3) è una misura condizionale all’adesione della famiglia al progetto di attivazione;
4) prevede controlli puntuali, anche ex ante, di verifica dei requisiti sull’intera platea dei beneficiari;
5) è una sperimentazione nel senso rigoroso del termine, non solo per le tecniche controfattuali adoperate nella valutazione dell’efficacia del programma rispetto al mero trasferimento monetario, ma anche perché le dodici città sono un laboratorio utile a testare la validità del modello e delle procedure prima dell’estensione al resto del paese.
IL DISEGNO DELLA MISURA
Alla misura sperimentale, disegnata sotto il Governo Monti, è stata data attuazione con un decreto del 3 maggio 2013, dopo un percorso di condivisone con i comuni interessati.
La ristrettezza del budget a disposizione (50 milioni) ha reso necessario individuare criteri molto stringenti per l’accesso al beneficio, comunque limitando il numero di beneficiari all’ammontare di risorse disponibile per ciascuna città.
Si è scelto di focalizzare l’attenzione sulla povertà minorile, la cui incidenza è nel nostro paese non solo particolarmente elevata ma anche in crescita. Ci si rivolge quindi a famiglie in condizioni economiche di estremo disagio (Isee inferiore a 3mila euro e requisiti patrimoniali aggiuntivi molto stringenti) nelle quali siano presenti minori.
Per raggiungere interamente la platea così individuata sarebbero state necessarie risorse in misura almeno dieci volte superiore ai 50 milioni a disposizione. (1)
Ci si è concentrati quindi, ulteriormente su quei nuclei, che, pur essendo marginali rispetto al mercato del lavoro, mantengono un dimostrabile “attaccamento” allo stesso, i nuclei cioè i cui componenti adulti hanno perso il lavoro negli ultimi tre anni o hanno avuto un reddito da lavoro negli ultimi sei mesi inferiore a 4mila euro; e fra di essi su quelli a maggior rischio di esclusione sociale, a causa di ulteriori indicatori di disagio: rischio abitativo, numero dei figli, monogenitorialità, presenza di minori disabili.
È importante avere presente che queste scelte sono state guidate dalla preoccupazione molto forte e condivisibile dei comuni coinvolti di non creare aspettative nella propria popolazione che si dovessero poi rivelare non sostenibili. (2)
UN MEZZO FALLIMENTO?
Per l’insieme di requisiti stringenti, mancato take up, e controlli efficaci negli archivi amministrativi dell’Inps, dell’Agenzia delle entrate e degli stessi comuni, poche città riusciranno a esaurire il budget: Catania, Palermo e probabilmente Torino e Roma; si tratta delle città che, con modalità diverse, hanno fatto meno “selezione” all’ingresso e quindi raccolto un numero relativamente maggiore di domande. La maggior parte delle città si collocherà tra la metà e i due terzi delle risorse. (3) Più critica la situazione di Firenze e Venezia, che ne utilizzeranno tra un quarto e un terzo. In queste città bisognerà operare una nuova selezione per esaurire le risorse assegnate.
Si badi bene, però, che il numero di domande è stato in tutte le città ben superiore alle disponibilità. Per molte di esse i controlli ex ante hanno dimostrato l’insussistenza dei requisiti autocertificati dal richiedente.
Siamo quindi di fronte a un fallimento?
Assolutamente no. La sperimentazione, è infatti, per sua natura, una base di apprendimento per realizzare, in modo progressivo, una misura, questa sì universalistica, ed estesa a tutto il territorio nazionale. Sotto questo profilo si sta già rivelando molto utile. (4)
COSA ABBIAMO IMPARATO SINO AD ORA
Quanto ai requisiti, il criterio che si è rivelato più stringente è quello del “disagio lavorativo”. La misura non riguarda i nuclei familiari in povertà cronica (mai entrati nel mercato del lavoro regolare), ma si rivolge a quelli che, a causa della perdita del lavoro o della sua insufficienza, rischiano di scivolarvi. Complice l’impossibilità di adottare immediatamente il nuovo Isee, che permetterà di avere una fotografia più tempestiva della situazione economica della famiglia, questo insieme è risultato in alcune città più ristretto del previsto: le famiglie in fase di impoverimento spesso hanno ancora condizioni patrimoniali o Isee superiori alle soglie del decreto. Quest’analisi, molto utile, era servita a indirizzare il precedente vertice politico (e presumibilmente anche il nuovo) a ipotizzare una modifica del requisito lavorativo già a partire dalla prima estensione della sperimentazione della misura a tutti i comuni delle otto Regioni del sud Italia.
Resta il fatto che le esperienze dei vari comuni sono molto diverse e, se in un terzo delle città il budget viene esaurito, più che un problema di requisiti stringenti sembra esserci un problema di take-up, per cui non tutti i potenziali beneficiari sono venuti a conoscenza della misura, forse anche per una “timidezza” nazionale e locale nella diffusione dell’informazione, stanti i rischi di un eccessivo razionamento rispetto al bisogno potenziale.
Quanto alla disciplina dei controlli, ha richiesto la creazione di una complessa architettura di interazione tra il centro e la periferia. Si sono dovute affrontare e superare numerose difficoltà e si sono registrati ritardi e incomprensioni, ma si è messo a punto un sistema che potrà d’ora in poi operare molto più agevolmente. Il sistema ha comunque permesso di individuare un numero elevato di casi di non idoneità per assenza dei requisiti. In prevalenza si tratta dei requisiti che caratterizzano il “disagio lavorativo”, ma è frequente anche l’assenza dei requisiti economici. (5) Il controllo preventivo si è rivelato quindi molto efficace in termini di contrasto alle frodi ed essenziale per la sopravvivenza della misura. (6)
In un paese ad alta percentuale di economia sommersa come il nostro, in cui è nota la difficoltà a operare la prova dei mezzi, il sostanziale insuccesso di precedenti esperienze in materia è stato anche dovuto all’incapacità di controllare il reale possesso dei requisiti da parte dei beneficiari. Ciò ha creato, infatti, da un lato problemi di sostenibilità economica, dall’altro tensioni sociali nelle situazioni in cui il beneficio veniva riconosciuto a chi è più disponibile a dichiarare il falso che a chi si trova realmente in situazione di bisogno. La sperimentazione, lungi dall’essere un fallimento, ci aiuta a evitare il ripetersi di quell’insuccesso.
* Maria Cecilia Guerra è senatrice del Pd; già sottosegretario e vice-ministro con delega alle politiche sociali, rispettivamente, nei Governi Monti e Letta.
Raffaele Tangorra è direttore generale per l’inclusione e le politiche sociali, ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Le opinioni qui espresse sono del tutto personali e non coinvolgono in alcun modo l’amministrazione a cui l’autore appartiene.
(1) Queste stime sono state operate su dati del Sistema informativo Isee.
(2) Per questo stesso motivo, i comuni hanno chiesto di potere scegliere di prendere a riferimento, come potenziali beneficiari, ovviamente nel rispetto dei requisiti richiamati, la platea già in carico ai servizi (scelta poi effettivamente effettuata da Milano e Bologna), evitando la selezione mediante bando, che si temeva potesse attivare una domanda eccessiva e di poter aggiungere ulteriori criteri rispetto a quelli definiti in sede nazionale (scelta poi effettuata da più di metà di comuni).
(3) Per avere un quadro definitivo bisognerà attendere la chiusura delle istruttorie in corso per i cittadini non idonei che abbiano eventualmente presentato richiesta di riesame.
(4) È ancora presto per valutarne gli effetti nei termini di inclusione attiva prospettati.
(5) Il test non è superato quando l’Inps non trova nei suoi archivi versamenti a titolo contributivo negli ultimi tre anni o li trova con riferimento agli ultimi sei mesi relativamente a redditi superiori alla soglia specificata nel decreto. Inoltre, più del 10 per cento delle domande è venuta da cittadini che già percepivano trattamenti economici in misura superiore ai 600 euro mensili stabiliti dalla disciplina come requisito di eleggibilità.
(6) Peraltro non tutti i ritardi sono dovuti alla messa a punto del sistema dei controlli. Anche il Parlamento ci ha messo del suo, avendo inspiegabilmente non convertito la norma del decreto “mille proroghe” che consentiva la continuità nella gestione del servizio delle social card in capo a Poste italiane spa, nelle more del perfezionamento della gara – avviata a fine ottobre – per l’individuazione del nuovo gestore. Si è dovuto attendere circa un mese e mezzo per poter emettere le nuove carte, altrimenti disponibili a fine febbraio.
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