Uscire dall’euro non sarebbe certo una passeggiata. La riconversione comporterebbe enormi problemi, con gravi ripercussioni sulla vita quotidiana di tutti noi. Soprattutto, però, determinerebbe un impoverimento significativo della popolazione italiana. Cosa ci insegna il confronto con il 1992.
ACCADE NEL 1992
Ragionare sulle conseguenze di un eventuale ritorno alla lira come se si trattasse semplicemente di una svalutazione è fuorviante. Ma proviamo comunque a immaginare che cosa potrebbe accadere se l’Italia facesse questa scelta, pur lasciando da parte, per il momento, le considerazioni relative a sostenibilità del debito e sopravvivenza dell’euro.
Nell’ultima grande crisi valutaria che ci ha visto protagonisti, quella del settembre 1992, il cambio lira/marco passò dal livello di 765,4 lire (venerdì 11 settembre 1992) a 983,7 lire (24 febbraio 1993), per poi stabilizzarsi nella fascia 900-1.000 lire nei mesi successivi. Nel giro di quattro mesi la nostra moneta si svalutò del 30 per cento. Il picco fu raggiunto nel marzo del 1995, con il marco a 1.274 lire: + 66 per cento rispetto al settembre 1992. E lo scenario del 1992 è da considerarsi ottimistico rispetto a quello che potrebbe accadere oggi: il panico e le reazioni a catena nel sistema finanziario italiano che deriverebbero da una uscita dall’euro potrebbero determinare una crisi economica e una svalutazione ben superiore a quelle sperimentate in passato, perché una cosa è uscire da un sistema di cambi fissi e un’altra è uscire da una unione monetaria. Tra l’altro, il sistema economico allora era “abituato” a frequenti crisi valutarie e a un’inflazione elevata. I risparmiatori erano, almeno in parte, preparati ad assorbire i colpi di una svalutazione e i produttori erano pronti a sfruttarla, prima che l’inflazione si rimangiasse il vantaggio competitivo.
Oggi, se la nuova lira si svalutasse anche “solo” del 30-50 per cento rispetto all’euro, il debito pubblico sarebbe insostenibile e bisognerebbe immediatamente ridenominarlo in lire. Lo stesso vale per i debiti privati. Nel momento in cui l’Italia dovesse decidere di ritornare alla lira, il Parlamento italiano dovrebbe ridenominare in lire tutti i contratti e gli strumenti finanziari: non solo titoli di Stato (Btp, Bot, e altro) ma anche buoni postali, conti correnti, obbligazioni private, polizze assicurative, mutui, e via elencando. Ovviamente, questo varrebbe solo per gli strumenti finanziari e i contratti sottoposti alla legge italiana. Se invece un’azienda avesse emesso un’obbligazione internazionale o contratto un debito in un paese estero, la valuta di denominazione non potrebbe cambiare e rimarrà in euro. E gli investitori dovrebbero verificare se quella azienda italiana sarà in grado di ripagare un debito ora in valuta estera.
MERCATI CHIUSI
In definitiva, chi avrà acquistato strumenti finanziari italiani perderà potere d’acquisto, se misurato in euro (e anche in lire se, come presumibile, la forte svalutazione genererà una fiammata inflazionistica). Chi invece avrà diversificato per tempo il proprio portafoglio, acquistando titoli in euro di emittenti esteri e di diritto estero (ad esempio Bund), manterrà inalterato il potere d’acquisto dei propri investimenti.
Ma le autorità italiane non potranno lasciare il tempo agli operatori privati di diversificare il portafoglio e causare così il collasso del sistema finanziario italiano per l’inevitabile fuga di capitali o l’altrettanto inevitabile aumento dello spread. Perciò, non appena la possibilità di abbandonare l’euro diventerà una ipotesi concreta, è plausibile ritenere che verrà decretata la chiusura dell’Italia ai movimenti di capitale e la sospensione delle contrattazioni in Borsa e questo stato di cose durerà per tutto il tempo necessario a completare la transizione dall’euro alla lira.
Anche le esperienze del passato confermano che tenere aperti i mercati è impossibile. Nel settembre del 1992, proprio per cercare di fermare i movimenti di capitale in uscita, i tassi interbancari toccarono il livello del 40 per cento nell’ultima disperata difesa del cambio. Ovviamente, oggi (come allora) il sistema finanziario italiani non è in grado di tollerare tassi così elevati, se non per pochissimi giorni.
Il ritorno alla lira, con il rialzo dell’inflazione e dei tassi d’interesse nominali favorirà chi ha un debito a tasso fisso e a lungo termine. Pensiamo invece a chi ha un debito a tasso variabile: in quale situazione verranno a trovarsi le famiglie che hanno contratto un mutuo indicizzato all’Euribor? Al confronto di quello che potrebbe succedere, il ricordo della vicenda dei mutui in Ecu impallidisce.
Rimane da verificare l’azione della Banca d’Italia a sostegno del mercato dei titoli di Stato e quella del legislatore per impedire che gli aggiustamenti di portafoglio possano determinare conseguenze sistemiche. La struttura del mercato finanziario italiano prima del 1992 era completamente diversa rispetto a oggi. Quando il rischio di default e di inflazione è concreto, infatti, prevalgono scadenze brevi (Bot), titoli indicizzati (Cct) e, se il legislatore lo consente, titoli in valuta forte. Quando l’Italia emise il suo primo Btp decennale nel marzo del 1991, la cedola era del 12,5 per cento. Questo significa che, anche senza considerare la reazione (di vendita) degli operatori esteri, la ricomposizione dei portafogli degli stessi investitori domestici rischierebbe di provocare un terremoto sulle scadenze medio-lunghe dei titoli di Stato.
Paradossalmente, se l’obiettivo è quello di abbattere il debito con la tassa d’inflazione, una struttura del debito come l’attuale è (quasi) perfetta: circa un terzo del nostro debito (663 miliardi) ha vita residua inferiore a un anno o è a tasso variabile, ma per due terzi è a tasso fisso con scadenza a lungo termine. Il problema è che il vantaggio per lo Stato-emittente si tradurrebbe in un impoverimento tale della popolazione da rendere difficilmente valutabili le conseguenze sulla vita sociale e democratica del paese.
In questo scenario, anche la struttura finanziaria probabilmente dovrebbe essere totalmente ripensata. Le perdite in conto capitale sugli investimenti delle banche e delle assicurazioni dovrebbero essere sterilizzate contabilmente, come peraltro già fatto nel 2012. Ma l’intervento sulle regole contabili potrebbe non essere sufficiente.
Per entrambe le categorie di operatori finanziari, la sopravvivenza dipenderebbe dal comportamento dei clienti e dalla capacità di chiudere il sistema finanziario domestico in compartimenti stagni. Se, ad esempio, le banche fossero costrette ad aumentare i tassi sui conti correnti per trattenere i clienti, le perdite da contabili diventerebbero reali. Lo stesso accadrebbe se le assicurazioni dovessero subire significativi deflussi dalle vecchie polizze con bassi rendimenti garantiti. Non si dovrebbero quindi bloccare solo i movimenti di capitale con l’estero, ma si dovrebbe anche limitare la circolazione dei capitali all’interno, facendo marcia indietro rispetto all’idea di mercati competitivi e reintroducendo elementi di frizione (ad esempio costi fissi elevati per lo spostamento dei rapporti bancari o la chiusura anticipata dei contratti assicurativi) e di blocco perché l’estremo tentativo di proteggere il potere d’acquisto dei propri risparmi consisterà nel prelevare i contanti dal conto corrente prima che avvenga la ridenominazione. Anche senza considerare i timori più che concreti di una imposta patrimoniale, si avrebbe una corsa agli sportelli che, se non contrastata, potrebbe determinare il crollo del sistema bancario nazionale. E allora, come è già successo a Cipro o in Argentina, fintanto che la situazione non si fosse stabilizzata, i prelievi di contante dal conto corrente e dal bancomat dovrebbero essere contingentati al minimo indispensabile. In un contesto come questo, riuscire a evitare il fallimento del sistema bancario e assicurativo sarebbe un miracolo. Più probabile assistere a una sua parziale nazionalizzazione, con il ritorno alla situazione di venticinque anni fa.
LA TRANSIZIONE
Per un’economia di trasformazione e votata al commercio internazionale come l’Italia, una situazione del genere non potrà durare a lungo. Purtroppo, però, anche sulla “durata” della fase di transizione non è possibile fornire una risposta certa e men che meno tranquillizzante. Il “corralito” in Argentina e il limite giornaliero ai prelievi di contante (300 euro) a Cipro sono durati circa un anno. Nel caso dell’abbandono dell’euro, anche solo il tempo necessario a stampare le nuove lire e riconvertire tutti i sistemi di pagamento introduce un ulteriore elemento di rischio di difficile ponderazione.
Una volta decisa l’uscita dall’euro e adottata la nuova valuta, si porrebbero i problemi “tecnici” legati alla transizione alla nuova lira. In linea teorica, tutta la moneta elettronica (carte di credito, bancomat) potrebbe essere immediatamente convertita nella nuova valuta, ma l’operazione andrebbe “fisicamente” preparata con le istituzioni che poi dovrebbero programmare e girare la famigerata “chiavetta”. La conversione dalle valute nazionali all’euro è avvenuta in tre anni, dal 1999 al 2002. Con le nuove tecnologie e con l’esperienza maturata, i tempi possono essere sicuramente accorciati. Ma di quanto? La “chiavetta” può essere girata in un weekend, ma la preparazione richiederebbe settimane, se non mesi.
Veniamo infine ai problemi della vita quotidiana, legati alle transazioni commerciali di minore entità. Forse, questo della produzione di nuovo circolante è l’aspetto più “folcloristico” di una operazione di conversione valutaria, ma non per questo meno rischioso e meno costoso per l’economia “reale”. Solo per avere un’idea dei numeri in gioco, quando ci fu il passaggio dalle valute nazionali all’euro, per i 300 milioni di cittadini dei paesi interessati furono stampati in tre anni quasi 15 miliardi di banconote e coniati 52 miliardi di monete. Dal 1° gennaio al 1° marzo 2002 furono ritirati dalla circolazione 6 miliardi di banconote e 30 miliardi di monete. Ma se si dovesse decidere di tornare alla lira, bisognerebbe sostituire immediatamente gli euro in circolazione. Mentre la Banca d’Italia inizierà a stampare le nuove banconote, si potrebbe ricorrere alla soluzione di “punzonare” o marcare gli euro cartacei per trasformarli in nuove lire, convertibili “uno a uno”. Per le monete metalliche la procedura sarebbe estremamente complessa e, quindi, si potrebbe assistere alla ripetizione del fenomeno dei mini-assegni già visto con l’inflazione degli anni Settanta. Uno scenario divertente per i collezionisti, ma da incubo per tutti gli utenti che ogni giorno si servono delle macchinette per pagare parcheggi, biglietti, pedaggi. In ogni caso, la riconversione forzosa all’uso degli assegni e della moneta elettronica, avrebbe un impatto maggiore sul piccolo commercio di prossimità, sui mercati rionali, sul terzo settore, dove la moneta fisica è ancora il mezzo di pagamento più diffuso. E poi ci sarebbe il problema dell’adeguamento dei listini. Insomma, i costi di aggiustamento alla nuova lira ricadrebbero maggiormente sui piccoli commercianti e sui loro clienti, spesso i consumatori meno abbienti.
Se questi sono i rischi, vale la pena pensare di uscire dall’euro? L’Europa è una comunità a cui noi apparteniamo e che possiamo contribuire a cambiare, ma dobbiamo rispettare le regole di convivenza. Come hanno capito i greci e i portoghesi, le vie semplici non esistono. E l’abbandono dell’euro, che sembra la più semplice di tutte, rappresenterebbe il ritorno a un mondo che i ricordi di gioventù per molti colorano di rosa, ma i dati mostrano essere incompatibile con i livelli di benessere che abbiamo raggiunto e a cui teniamo.
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Giorgio
“Oggi, se la nuova lira si svalutasse anche “solo” del 30-50 per cento rispetto all’euro”. No, ma cosa dice, faccia pure del 1.000 per cento!
Antonio Castelli
La svalutazione della lira (rispetto poniamo all’euro mantenuto dai paesi del nord) dovrebbe essere pari al differenziale di inflazione accumulato dall’Italia negli anni dell’euro, circa un 1% annuo per 15 anni, facciamo un 20% massimo 30% direi.
Una stima 30-50% non mi pare realistica.
Nell’articolo non si cita l’effetto benefico che l’ economia Italia ebbe a seguito di quella (tardiva svalutazione) un effetto che bisognerebbe considerare.
In ogni caso se l’uscita dall’euro è un sentiero accidentato e spinoso non è chiaro come la permanenza possa essere vista come una sicura passeggiata di salute.
L’eurozona è molto lonatana dall’essere un area valutaria ottimale l’inflazione nei paesi membri non accenna e non accennerà a convergere, siamo destinati a perdere competitività con i paesi del nord e a “svalutare” il costo del lavoro per racimolare la competitività soffocata dal cambio eccessivamente forte.
Come se non bastasse le politiche di austerity “suggerite” da Bruxelles impediscono la ben che minima ripresa aggrovigliando sempre di più la spirale recessiva in cui ci troviamo.
Avanti così
Maurizio Cocucci
“Nell’articolo non si cita l’effetto benefico che l’ economia Italia ebbe a seguito di quella (tardiva svalutazione) un effetto che bisognerebbe considerare”. Forse perché 650mila posti di lavoro persi dal 1993 al 1995 non sono propriamente un effetto benefico. Oppure la recessione del 1993. Sul fronte dei titoli del debito pubblico si pagò un interesse medio ponderato annuo del 14% nel 1992 e la durata media residua era di circa 3 anni, visto che i titoli pluriennali di lunga scadenza come i Btp verranno dopo. Nel 2013 il tasso di rendimento medio ponderato dei titoli emessi è stato del 2,08% (i Bot 12 mesi lo 0,99% contro il 13,69% del 1992) e la durata residua del debito attuale è di oltre 6 anni. Forse qualche importante effetto benefico c’è stato, però al momento mi sfugge.
Alessandro
Mi chiedo perché si continua a dare spazio a questa buffonata dell’uscita dall’euro. Prendiamo atto che c’è un piccolo pezzo di Italia che vuole continuare a vivere in un Paese cialtrone, che non rispetta gli impegni, incapace di cambiare, tenuto nel G7 solo perché fondamentale alleato europeo degli Stati Uniti (che in GB, Francia e Germania trovano alleati-avversari).
Fortunatamente un pezzo ampiamente maggioritario di Italia capisce che sarebbe da deficienti abbandonare il campo, cioè l’euro, dopo averne sostenuto tutti i costi e 5 anni di recessione indotta dalla necessità di risalire la fossa di debito, inefficienza e privilegi che ci siamo scavati da soli.
I tedeschi l’unica cosa che chiedono, fin dall’inizio della crisi, è di fare le riforme. Non è colpa loro se dal 2011 a oggi Monti è stato un imbroglio, Letta ha fatto poco e Renzi ovviamente pochissimo. Si vada avanti mese per mese a fare le riforme, per diventare il riferimento reale (non solo a chiacchiere) del Sud Europa, cosa che ci darebbe più potere contrattuale per allentare quei vincoli contabili in parte senza senso. La Francia non preoccupatevi che arriva sulle nostre posizioni entro breve, la loro economia si sta deteriorando da un pezzo.
accaldato
Possiamo anche rinunciare del tutto al sistema pensionistico pubblico, alla sanità pubblica, alla scuola pubblica e ai contratti di lavoro collettivi (cioè le riforme che ci chiedono i nostri creditori), ma rimarrebbe comunque un differenziale di inflazione e produttività con il nord Europa. Abbiamo un disequilibrio accumulato del 30% di produttività con la Germania che dovrebbe essere recuperato convincendo gli altri paesi a rallentare e lasciarsi raggiungere da noi.
giulioPolemico
Mi scusi, ma non dovremmo essere noi a svegliarci e a raggiungere gli altri, anziché sempre pretendere che siano gli altri a doverci aspettare? È come se in una classe si dicesse: studiate di meno perché c’è un somaro che non deve rimanere troppo staccato dagli altri. E soprattutto: se gli altri ci danno sempre la pappa pronta, quand’è che noi faremo qualcosa per migliorarci. Ovvero: quando facciamo le riforme?
leriformeperglialtri
Ovvero, quando facciamo le riforme che servono a rendere un po’ più ricco me a danno delle categorie che mi stanno sulle scatole? Su Giulio, la dica fino in fondo, ché lei è uno dei tanti convinti che i cialtroni che “dormono” che “non studiano” che “non s’impegnano” siano “altri” lontani e diversi da lei. Le riforme invocate sono sempre quelle, che ora Renzi vi darà (#giuliostaisereno): licenziamo un po’ di dipendenti pubblici, mandiamo in pensione un po’ più tardi, leviamo un po’ di welfare (non sia mai che un poveraccio, quindi lazzarone, possa curarsi come un abbiente!). L’unica riforma che non si potrà fare è quella che servirebbe: instillare l’etica nelle persone, quell’etica che fa sì che tutti compiano il loro dovere quotidiano senza danneggiare qualcun altro.
accaldato
Per raggiungere gli altri dovremmo riuscire a correre più forte di loro. Il somaro può riuscire a raggiungere il più bravo della classe studiando come lui, ma il somaro parte ad armi pari, non ha un differenziale di produttività cumulato ormai superiore al 30% rispetto al più bravo. Le riforme vere poi costano, sono un investimento e sono recessive nel breve termine. Mettere sul mercato 2 milioni di lavoratori, significa dover sostenere economicamente per molto tempo 2 milioni di famiglie e significa 2 milioni di famiglie che non possono pagare né irpef per il debito pubblico né contributi per la sua pensione. Ecco perché le riforme non si fanno in recessione.
pierpier
Siamo tutti d’accordo che uscire dall’euro è un rischio, sulle conseguenze con tutta la buona volontà non credo né alle visioni semplicistiche né a quelle catastrofiche, l’economia è talmente complicata e le variabili sono tante e interdipendenti che credo sia difficilissimo fare previsioni esatte, pertanto preferisco vedere quello che succede adesso, ovvero situazione di recessione sino ad oggi, prossimi alla deflazione, livelli di disoccupazione gravissimi, caduta della produzione industriale , rischio di completa marginalizzazione dell’ nostra economia, insomma non è una buona situazione, non è tutta colpa dell’euro ma una grande mano nell’affossarci ce la sta dando. In una situazione del genere occorrerebbe un piano di investimenti europeo, una atteggiamento più solidaristico e federale, cioè cose di cui non se ne vede l’ombra quindi mi chiedo qual’e l’alternativa reale e realistica all’uscita dall’euro, credete ancor in più europa?
Tommaso
Il problema è che nessuno saprà mai quali saranno gli effetti di un eventuale uscita dall’euro. Perché non è mai successo!
Piero
La stessa cosa che è successa con l’uscita dallo Sme.
Piero
Nel 1992 l’Italia con la svalutazione ha sistemato tutti i danni che aveva provocato la banda stretta dello SME, la stessa cosa avverrà oggi con la rottura dell’area valutaria.
Chi semina panico e paura resterà deluso, oggi stiamo vivendo la stessa atmosfera di allora, la difesa della lira ad oltranza sono state bruciate riserve, al momento che non era più possibile difendere la lira si svalutò, tutto ad un tratto coloro che dicevano che la svalutazione andava evitata perché l’Italia sarebbe divenuta come un paese africano, fece un plauso alla svalutazione come stimolo per l’export e per la crescita.
Succederà ciò anche in Italia oggi, quando la situazione diverrà non più sostenibile e a mio avviso ci siamo arrivati, vi sarà la rottura dell’area valutaria e si brinderà all’evento.
marcello esposito
difficile fare confronti tra epoche così diverse, ma io non ricordo “brindisi” quando l’Italia fu buttata fuori dallo SME. Il debito pubblico/PIL passò dal 98% del 1991 al 121,5% del 1995 e la disoccupazione dall’8,5% al 11,2%. Il mercato immobiliare, dopo aver raggiunto il massimo nel 1992, perse circa il 30% e recuperò i valori solo con l’inizio dell’euro. L’unico “brindisi” che ricordo fu quello che tutti noi facemmo qualche anno dopo quando l’Italia riuscì a conquistarsi la partecipazione all’euro.
Giordano P.
I dati sulla disoccupazione che indica lei sono quelli di Eurostat che pero’ confliggono con quelli forniti da altri istituti, ad esempio IMF:
http://elibrary-data.imf.org/FindDataReports.aspx?d=33060&e=161925
da dove si evince che il periodo 1991-95 fu sostanzialmente stabile per la disoccupazione e, oops, com’e`, com’e`, anche l’inflazione scendeva dopo la mega svalurazione del ’92!!! 🙂
Sul rapporto debito pubblico/PIL forse varrebbe anche la pena ricordare che nel 1981 (epoca del divorzio BI/Tesoro) non raggiungeva il 60%, quindi un 22% in 5 anni non e’ molto di più del precedente 40% in 10!
Maurizio Cocucci
Guardi che i dati statistici sono tutti rilevati da un unico ente che poi li elabora o li trasmette ad altri. Quello che cambia è il metodo con cui vengono elaborati, cioè la definizione che un ente statistico che elabora i dati ricevuti assegna ad una voce (occupazione, disoccupazione etc…). Quindi l’IMF riceve i dati, così come li richiede, dallo stesso ente che li ha trasmessi a Eurostat.
Venendo alla sua obiezione credo che abbia commesso un errore l’autore di quel grafico, le allego una figura che riporta i dati numerici relativi all’occupazione e quelli in percentuale del numero di disoccupati nel periodo 1991-2001 tratti dal sito IMF. Come vede non c’è molta differenza con quelli dell’Eurostat.
Piero
Basta vedere i giornali dell’epoca, lo stesso Vaciago ha difeso la lira fino all’ultimo, il giorno dopo la svalutazione, ha salutato la svalutazione della lira come un toccasana.
Il Brindisi per l’entrata dell’Italia nell’euro lo fece la Germania e Prodi, che si è garantito il ruolo nella commissione Ue.
michele
Dopo il 1992 l’Italia andò in recessione. Bene bene non stavamo.
sforaz
Ma cosa dici? non è assolutamente vero. Troll?
Giordano P.
“E gli investitori dovrebbero verificare se quella azienda italiana sarà in grado di ripagare un debito ora in valuta estera.”
A parte il fatto che il punto non è la valutazione degli investitori [esteri] che oramai hanno investito (a meno che lei abbia a cuore, come probabile che sia, l’interesse straniero rispetto a quello Italiano) bensì come l’azienda potrà sopperire agli oneri aggiuntivi di un debito in una valuta estera rivalutata.
Qui è ovvio che lo Stato dovrà mettere in atto politiche di finanziamento a basso costo, in questo facilitato dalla (ri)acquisita sovranità monetaria!
Ma poi a queste aziende non è successa la stessa cosa nel ’92?
I debiti in valuta estera, che per il sistema bancario cubavano pressapoco la stessa percentuale sul PIL, andavano ripagati con una lira svalutata, o no? Non ricordo una sequela di fallimenti, nel 92.
Giordano P.
“Pensiamo invece a chi ha un debito a tasso variabile: in quale situazione verranno a trovarsi le famiglie che hanno contratto un mutuo indicizzato all’Euribor?
Al confronto di quello che potrebbe succedere,
il ricordo della vicenda dei mutui in Ecu impallidisce.”
I debiti in ECU subirono un aggravio del 30% proprio perché tale fu la svalutazione della lira, mentre i tassi variabili seguirebbero l’Euribor che essendo una media dei tassi Europei probabilmente non sarebbe nemmeno toccato, ma anche se lo fosse non arriverebbe certamente ai livelli da poterlo confrontare con il disastro dei mutui in ECU!
marcello esposito
Questo è un punto molto interessante, La ridenominazione dei contratti in lire, a mio parere, porterebbe con sé anche la ridefinizione dei meccanismi di indicizzazione. Il legislatore ne aveva già tenuto conto quando si passò dalla lira all’euro. Quindi, il parametro di indicizzazione, Euribor o Irs o Refi-Rate in Euro, verrebbe ridefinito nell’equivalente in lire, come appunto già accaduto in senso inverso nel 1999. Tuttavia, il legislatore potrebbe voler adottare un atteggiamento più favorevole nei confronti dei mutuatari, come ha dimostrato con la portabilità e recentemente con il decreto Bersani del 2008 quando, proprio a fronte dell’impennata dell’Euribor che fece seguito alla crisi Lehman, fu offerta la possibilità dei mutui indicizzati al tasso di sconto della Bce. Ammesso e non concesso che la Bce e l’euro possano sopravvivere al ritorno alla lira, se il governo volesse proteggere i mutuatari, a farne le spese sarebbero le banche. Un motivo in più per pensare che il sistema bancario non potrà sopravvivere senza il supporto pubblico.
Giordano P.
In tutte le crisi, i contribuenti, in un modo o nell’altro, sono stati chiamati a pagare per errori/eccessi del sistema bancario/finanziario; forse è venuto il momento di smetterla con l’idea che possano esistere banche commerciali “private” visto che poi, alla brutta, chi paga è sempre il pubblico.
Si parla sempre di moral hazard per i politici, ma per i dirigenti/funzionari delle banche non esiste?
francesco
Sull’ultimo report dell’Abi a proposito di difficoltà a pagare i mutui risulta che il rapporto tra sofferenze e impieghi è al massimo storico dal 1998, mentre in termini assoluti siamo arrivati a 162 miliardi (record storico in assoluto). Strano, eppure l’euro c’è ancora e questo nonostante siamo in un periodo in cui i tassi di interesse sono ai minimi storici, forse il successo della Le Pen e degli anti-euro nonostante gli spot terroristici sull’ecatombe che potrebbe succedere uscendo dall’euro è tale in quanto nell’ecatombe una buona parte della popolazione c’è già e la “protezione” dell’euro è più dannosa che utile.
Giordano P.
“In un contesto come questo, riuscire a evitare il fallimento del sistema bancario e assicurativo sarebbe un miracolo. Più probabile assistere a una sua parziale nazionalizzazione, con il ritorno alla situazione di
venticinque anni fa.”
E questo è decisamente un punto a favore dell’uscita!
michele
Gli spread 25 anni fa erano altissimi, chiedere prestiti in banca era difficilissimo per aziende e privati.
Giordano P.
Ovviamente il punto a favore che intendevo era nella parziale nazionalizzazione del sistema bancario non nel fatto di avere di nuovo tassi d’interesse alti a meno che lei non intenda che questi sono correlati alla proprietà pubblica delle banche stesse! 🙂
Carolina Gnappetta Neri
Veramente è molto più difficile oggi chiedere prestiti in banca…
Giordano P.
“Rimane da verificare l’azione della Banca d’Italia a sostegno del mercato dei titoli di Stato e quella del legislatore per impedire che gli aggiustamenti di portafoglio possano determinare conseguenze
sistemiche.”
Ovvio: ri-nazionalizzazione della Banca d’Italia sotto il controllo del Tesoro; acquirente di ultima istanza per i titoli di stato, etc., etc… Certo spiacerà ai renters ma, d’altra parte, libererà enormi risorse da destinare a scopi più utili alla collettività!
Jacopo Piletti
Sì, come no? Tutte le banche centrali cercano di essere più indipendenti possibili, qualche domanda me la farei…
Giordano P.
La realtà è che il rapporto debito pubblico/PIL esplode dopo il divorzio del 1981 quando la spesa per interessi supera il 5% del PIL mentre il fabbisogno primario va calando per diventare stabilmente negativo dopo il ’92. In pratica si è trasferito reddito dai contribuenti alle Istituzioni finanziarie!
Maurizio Cocucci
Questo articolo ben sintetizza lo scenario di un ritorno ad una moneta nazionale anche se probabilmente non sarà sufficiente per convincere coloro che credono che con un semplice passaggio di valuta ci sia la soluzione ai problemi della nostra economia, problemi che non riguardano per nulla la moneta comune. In ogni caso rimane un coinvolgente dibattito accademico, ma solo e solamente accademico.
Non ci sarà nessuna uscita dall’euro, almeno unilaterale, e chi persegue questa soluzione avrà come unica possibilità di vederla realizzare quella di un accordo tra tutti i Paesi dell’Eurozona, accordo che preveda la dissoluzione completa dell’Eurozona o di buona parte, ma non certamente di una sola nazione. Anche nella remota ipotesi di una crisi politica in Italia che porti dopo elezioni al governo il partito più antieuro presente, questi, una volta insediatosi, prima di dare il via a questa scelta (scellerata) sicuramente avvierà delle consultazioni con i vari rappresentanti del mondo economico e finanziario. Dal governatore della banca d’Italia al presidente di Confindustria, dal presidente dell’ABI ai sindacati, senza dimenticare i ‘tecnici’ del Ministero del Tesoro, ovvero coloro che gestiscono operativamente il nostro debito pubblico. E non mi è difficile pensare che, anche se forte di tanti argomenti buoni per la campagna elettorale, dei tanti blog letti, delle opinioni spesso travisate di economisti anche prestigiosi circa i problemi dell’euro (che ci sono), una volta però che questi soggetti avranno descritto nei dettagli i rischi pressoché certi derivanti da una scelta del genere questo governo correrà il rischio di gettare il Paese al disastro.
Tutto quello che alla fine produrrà questo dibattito sarà quello di aver avvicinato molti cittadini ad alcune tematiche di (macro)economia. L’aperitivo in futuro lo pagheranno ancora in euro.
marcello esposito
Ne sono convinto anche io. L’euro può sopravvivere all’uscita di un paese molto piccolo ma non all’uscita dell’Italia. Anche l’ipotesi di un Euro-Sud e un Euro-Nord, che aveva avanzato Zingales nel mezzo della crisi, non reggerebbe all’impatto dei mercati. Già nel 1998 (se non ricordo male) la Spagna si rifiutò di accettare la proposta italiana di ritardare l’ingresso nell’euro, figuriamoci accettare la costituzione di una unione di deboli.
Roberto Brandoli
Ma mi scusi, in Europa esistono o no stati che non hanno adottato la moneta unica? Come fanno? sono un miracolo economico? L’euro è un’altra cosa è un metodo di governo.
Asterix
Qualche tempo fa La Voce.info acquisì notorietà perché contrastava in modo rigoroso le tesi pseudo economiche di Tremonti, che sosteneva che tutto andava bene, che l’Italia usciva dalla crisi meglio di altri Paesi, che addirittura il Governo Berlusconi, fresco vincitore delle elezioni con una solida maggioranza, aveva già previsto la crisi e saremmo subito usciti. Oggi è triste vedere un sito indipendente come LaVoce pubblicare 3/4 articoli contro gli euro scettici senza pubblicare almeno 1 articolo di replica per dare loro la possibilità di illustrare le loro idee. Nel Regno Unito (a proposito fuori dall’euro) sarebbe normale, ma capisco che certe politiche europee non si possono discutere.
michele
Le “loro” idee sono viziate di parzialità e scarsa oggettività, invece qui su lavoce si leggono i pro e i contro. Se i contro sono maggiori dei pro, non è colpa degli economisti.
accaldato
L’economia teoricamente dovrebbe essere una scienza, non dovrebbe quindi interessarsi delle opinioni della maggioranza, ma solo delle evidenze scientifiche a sostegno delle teorie.
In questi articoli c’è molto allarmismo non giustificato da evidenze e da esperienze storiche, ma poca teoria economica.
Poi io inviterei innanzitutto a guardare al curriculum e alle pubblicazioni scientifiche di chi scrive, al fine di poter meglio soppesare le idee proposte.
Jacopo Piletti
i no euro chi sarebbero? Salvini? Quello che crede nella Padania? Se è per questo dovremmo ascoltare anche lo scrittore del libro “Narnia”…
marco
Mi pare che le interrelazioni fra le economie europee siano così sviluppate e pesanti da rendere difficilissimo valutare gli effetti finali di una nostra eventuale uscita dall’euro. Per esempio i nostri prodotti di meccanica per l’automotive diventerebbero più allettanti per i fabbricanti di auto tedesche che al contempo vedrebbero contrarsi il mercato italiano, alla fine ne avremmo dei vantaggi o no? Ma questo è un esempio semplicissimo. Qualcuno è in grado di effettuare simulazioni credibili degli effetti di una uscita dall’euro, senza affermazioni fideistiche? Credo comunque che l’Italia ne riceverebbe una sferzata, meglio che affondare lentamente nella palude.
michele
No, ma è possibile aggiungere variabili negative che nessun leghista o grillino no-euro dice mai. Tipo, i probabili dazi che i paesi che comprano i nostri prodotti metterebbero per contrastare la furbata della svalutazione e il costo dell’energia che farebbe costare di più i prodotti nostrani. Non dimentichiamo che importiamo tutte le materie prime.
Luca
Ma di che dazi sta parlando. La UE non li permette.
accaldato
I dazi? Esistono forse dazi per i paesi come il Regno Unito o la Danimarca che sono fuori dall’euroclub? Esistono forse dazi per i paesi come l’Irlanda e il Lussemburgo che – pur essendo nell’Euroclub – sono paradisi fiscali per le imprese multinazionali? I costi dell’energia in Italia sono in costante diminuzione. Infatti, non producendo più nulla, non abbiamo più bisogno di energia. Non dimentico le materie prime, che le imprese trasformatrici devono acquistare (e oggi hanno difficoltà a farlo per la stretta creditizia attuata dalle banche). Ma non dimentico neanche il turismo, con gli alberghi italiani che all’improvviso diventeranno competitivi (saranno delle vere fabbriche di valuta).
p.s. voto pd da sempre.
Piero
Nella prima parte sono elencate solo le cose negative della svalutazione senza indicare quelle positive; poi, perché la minaccia di imposte patrimoniali? Cosa c’entra l’Ecu? Ieri vi fu una svalutazione della lira, quindi chi aveva un mutuo in valuta straniera si trovò un residuo capitale più alto, oggi al contrario il residuo capitale verrà trasformato nella nuova valuta direttamente. Non è la stessa cosa del ’92, per quanto concerne il tasso di interesse variabile, si dovrà vedere il contratto di mutuo, se agganciato all’Euribor, esso rimarrà agganciato all’Euribor, anche se la valuta è cambiata; il debito statale verrà convertito tutta con la nuova valuta e non è detto che il tasso sarà superiore dipende dalla banca centrale se sostiene o no il debito e dipenderà dalla politica di bilancio del paese; infine, la conversione non è difficile: siamo passati all’euro, passeremo nella nuova valuta che non dovrà essere necessariamente la lira ma potrà essere una valuta diversa come l’euro due, oppure si potrebbe valutare anche il dollaro, il vero problema è come è stata gestita la politica monetaria dalla Germania: si è voluta una politica monetaria che sostenesse una valuta forte, la stessa politica adottata dal marco. In Europa, con economie diverse tra loro, una politica di una moneta forte è stata suicida.
marcello esposito
ripeto alcune risposte ad altri commentatori, ma riassumo brevemente. Gli effetti positivi della svalutazione verrebbero azzerati dalla recessione mondiale che l’euro break-up causerebbe. La ridenominazione dei contratti in lire porterebbe con sé anche la ridefinizione dei meccanismi di indicizzazione. Il legislatore ne aveva già tenuto conto quando si passò dalla lira all’euro. Quindi, il parametro di indicizzazione, Euribor o Irs o Refi-Rate in Euro, verrebbe ridefinito nell’equivalente in lire, come appunto già accaduto in senso inverso nel 1999. L’imposta patrimoniale sarebbe necessaria per sostenere le finanze pubbliche e si inserirebbe ancora in un quadro di “gestibilità” della crisi delle finanze pubbliche che seguirebbe all’uscita dall’euro. Con tassi in crescita, senza accesso ai mercati internazionali, l’alternativa più probabile rimane comunque il default o l’iper-inflazione via monetizzazione. Tutto si può fare, bisogna solo essere consapevoli delle conseguenze e dei rischi. Ricordiamoci però che l’Italia del 2014 non è l’Italia del 1945. Siamo un paese “maturo”, abituato ad uno dei migliori sistemi di welfare del mondo, … La nostra aspettativa di vita, grazie anche al SSN, è tra le più elevate. Possiamo provare a gestire i nostri problemi strutturali con gradualità e con la protezione dell’euro. Oppure, possiamo decidere di percorrere una strada che nemmeno i greci o i ciprioti, in una situazione ben peggiore della nostra, hanno avuto il coraggio di percorrere.
Piero
L’euro-break, nel mondo non porterà mai recessione mondiale, anzi forse provocherà il contrario, l’euro, come valuta è stato un fallimento, non è stata capace di sostituire nemmeno le valute sostituite ( come ammontare totale).
L’imposta patrimoniale sarà necessaria se rimaniamo nell’euro, se usciamo vi sarà un po’ di inflazione, che sarà fondamentale per pagare il debito pubblico, solo con la moneta cattiva si può pagare l’ingente debito pubblico italiano, inflazione che farà giustizia sociale trasferendo risorse dalla classe della rendita alla classe dei lavoratori e imprese, naturale che dovranno esservi dei meccanismi fiscali per tutelare i deboli, ma già oggi vi sono stati oltre 300 suicidi per motivi economici in Italia.
Grecia e Cipro, non penso che sia un esempio sono sotto ricatto della Germania.
Guest
Ottimo. Ma non basta ancora: R&D; internazionalizzazione dei distretti di eccellenza; stampa 3D; robotica; pensioni di domani; Sud.
Giorgio
L’autore prende esempi da diversi momenti, confondendo cause ed effetti. Si parla di tassi d’interesse alle stelle, dimenticando che lo scopo di tali tassi fu quello, appunto, di *evitare* la svalutazione (ringraziamo sempre Ciampi per l’inutile difesa nel 1992 di un tasso di cambio sopravvalutato e insostenibile). Parla di inflazione, ma dopo la svalutazione del 1992 essa si è ridotta, non accresciuta. Relativamente ai rapporti di credito sottoposti a giurisdizione estera:
1) non è detto, specie se la giurisdizione fosse quella inglese, che sia certo che tali rapporti creditizi siano mantenuti in euro, specie se tale valuta nel frattempo implodesse (o l’autore crede seriamente che un’uscita dell’Italia non avrebbe ripercussioni su, per dire, Francia e Spagna?);
2) non siamo solo debitori, ma anche creditori: ciò che conta a livello sistemico è lo sbilancio netto. Non è affatto impossibile che lo Stato intervenga quindi con la leva fiscale, fissando un’imposta sui profitti straordinari su crediti derivanti da svalutazione del cambio pari anche al 100% degli stessi, da utilizzare per finanziare il simmetrico credito d’imposta derivante dalle perdite straordinarie su debiti derivanti sempre dalla svalutazione. In questo modo, l’impatto per i singoli operatori economici sarebbe limitato e si eviterebbero accaparramenti preventivi di attività estere;
3) la sempre minore diffusione del contante (fenomeno che piace tanto a lavoce.info) renderebbe il passaggio alla nuova lira molto meno traumatico di quanto dica l’autore e molto più semplice di quanto avvenuto con l’introduzione dell’euro. D’altronde, secondo questa strana teoria, nella storia non ci sarebbe mai dovuto essere un cambio di circolante in una nazione, altrimenti chissà che tragedia sarebbe successa.
Ettore
Le cose che lei ha scritto, Prof. Esposito, ineccepibili e realistiche, andrebbero spiegate ai leader populisti come Salvini, la Meloni e Grillo. Così, forse, la smetterebbero di inondare gli italiani con le loro illusioni e balle spaziali sull’euro-exit come soluzione ai mali attuali. Tra le proposte dei tre, la peggiore e potenzialmente catastrofica foriera di disastri inenarrabili, è quella di grillo che propone il referendum sull’euro, una vera pazzia (ma nessuno glielo dice,anzi la gente crede che quella proposta sia il massimo della democrazia, questo dà l’idea del paese in cui viviamo, poi dicono che è Renzi il populista!): immaginate cosa succederebbe sui mercati finanziari ed in Italia se vincesse il no, anzi non appena venisse anche solo annunciato la consultazione sull’euro! Le banche verrebbero prese d’assalto, il primo sarei io, dormirei di notte davanti alla banca per essere il primo ad entrare!
marcello esposito
ha perfettamente ragione. Anche se sono convinto che gli Italiani voterebbero a stragrande maggioranza per l’euro.
Asterix
Beato lei! Faccia arrivare la disoccupazione giovanile al 50%, quella ufficiale al 15% con incremento ulteriore dell’Iva, delle imposte locali immobiliari e delle ritenute sui conti correnti bancari per rispettare il famigerato 3% e vedrete quanti voteranno per l’euro ci sarà la corsa. Comunque per cercare di dare informazioni veritiere (opera difficile per chi lavora da anni per le banche colpevoli di questa crisi) segnalo che molti dei leader populisti chiedono di usare l’arma di uscire dall’euro per ridiscutere il Trattato dell’Unione, che è esattamente quello che hanno provato di fare i vari Monti, Letta e Renzi quando sono andati a Bruxelles. Nessuna rivoluzione, ma semplice pragmatismo.
Alessandro
Sto leggendo con interesse gli argomenti di chi vede favorevolmente o comunque non teme una uscita dall’euro. Sono una minoranza e questo credo rispecchi la realtà del Paese, ma comunque se leggo spiegazioni convincenti posso cambiare idea, ci mancherebbe. Sul punto, non riesco a capire come si possa immaginare che il sistema Italia, per come lo conosciamo, potrebbe “gestire” una svolta epocale che farebbe infuriare tutti, in qualsiasi campo e a qualsiasi livello. Veramente mezzo secolo della nostra storia non ha insegnato nulla? L’Italia si è data un sistema decisionale che non decide, una burocrazia elefantiaca e inefficace, una popolazione meno preparata degli standard dei Paesi avanzati. Fa male dirlo, ma per risolvere i problemi bisogna partire da un’analisi realistica. Il metodo italiano di gestire i problemi è lasciarli incancrenire, poi rincorrere l’emergenza, e risolvere facendo debito. Le conseguenze dell’uscita dall’euro spiegate nell’articolo ci arriverebbero semplicemente addosso, una dopo l’altra, e l’Italia farebbe un gran botto, anche piuttosto rapidamente direi. Al contrario, in questi anni il perenne dialogo-attrito con Paesi meglio gestiti ci sta obbligando a migliorare (mentre gli altri peggiorano, anche il Regno Unito fuori dall’euro ha fatto una valanga di debito pubblico), questo sforzo crea un dividendo di credibilità che va incassato ottenendo ad esempio l’esclusione della spesa per investimenti dal vincolo del 3%. Solo una delle cose che si possono ottenere dimostrando che siamo un Paese serio.
Luca Tempesta
1) La crisi europea è legata ai debiti ed agli sprechi dei paesi periferici
Falso ideologico. Nell’epoca euro i conti pubblici dei periferici hanno avuto andamenti migliori rispetto a quelli Tedeschi (in Germania e Francia il Debito pubblico è salito, mentre nei periferici in genere è sceso). Gli squilibri sono stati nel settore privato e nei debiti esteri. I periferici hanno senza dubbio problemi (che vanno affrontati) ma la crisi ha evidentemente cause diverse.
2) Il ritorno alle valute nazionali è un salto nel buio
Falso. Le valute nazionali sono la norma da secoli, mentre le Valute Sovrannazionali (o l’aggancio a Valute estere, adottandole o fissando cambi fissi) è l’eccezione, ed ha sempre portato alla disgregazione del sistema, per la creazione di squilibri non governabili.
3) Col ritorno alla valuta nazionale vi sarebbe una svalutazione paurosa, del 40, 50 o 60%
Falso storico. Quando vi sono state svalutazioni (conseguenza di rottura di sistemi a cambi fissi), l’entità delle svalutazioni è generalmente pari, a parte oscillazioni iniziali, al differenziale di inflazione accumulato nel periodo a cambi fissi con la nazione più forte cui si e’ adottato il cambio. Non lo dico io, lo dice la storia economica mondiale.
4) Col ritorno alla valuta nazionale vi sarebbe un’inflazione galoppante, un litro di latte o di benzina costerebbe 5.000 Lire
Falso storico. Quando vi sono state svalutazioni (conseguenza di rottura di sistemi a cambi fissi), l’inflazione è sempre stata pari ad una frazione dell’entità della svalutazione. L’abbiamo spiegato con dati in svariati articoli, ma repetita juvant. Anche qui lo dice la storia.
5) Col ritorno alla valuta nazionale i tassi sarebbero galoppanti.
Falso storico. Quando vi sono state svalutazioni (conseguenza di rottura di sistemi a cambi fissi), i tassi salgono prima delle svalutazione (proprio perchè anticipano l’evento). Dopo la svalutazione immancabilmente, storicamente scendono.
6) Col ritorno alla valuta nazionale l’economia reale sarebbe meno competitiva.
Falsissimo. È vero il contrario e qui tutti gli indicatori dell’economia reale lo confermano. Ne allego uno per tutti: la produzione industriale della Germania e dell’Italia. Si vede chiaramente che l’Italia ha fatto decisamente meglio in coincidenza della svalutazione, mentre la Germania ha fatto meglio in regime di cambi semi-fissi (anni 80 fino al 1991) e con l’Euro (specie dopo il 2000). La cosa è riscontrabile su tutti gli indicatori e va estesa a tutti i paesi dell’euro. Vale comunque sempre, in ogni esperienza storica a cambi fissi.
7) Perché attacchi l’efficiente e lavoratrice Germania e difendi gli inefficienti ed immorali paesi periferici? la Germania sta all’Europa come la Lombardia sta all’Italia.
FALSO macro-economico. Il paragone non regge per niente, perchè la Lombardia dà al resto d’Italia trasferimenti pari al 12% del suo PIL, la Germania un misero 0,3%. Questo numero da solo dice tutto.
Un’unione valutaria funziona se ci sono delle precondizioni: A) forti trasferimenti interni in sussidiarietà B) un mercato del lavoro ed un sistema legislativo e fiscale comuni C) Un centro politico unitari.
In Italia vi sono tutti e 3 questi fattori (sia pure con enormi storture), in Europa no.
8) Se usciamo dall’euro, le altre nazioni europee ci fanno a fettine e mettono barriere.
Falso. Anche qui c’è un evidente mancanza di logica e conoscenza della storia. L’affermazione sopra è insostenibile per 2 ragioni:
a) Se l’Italia esce dall’euro, è evidente che ne uscirebbero almeno metà delle nazioni (nel caso minore) o tutte (più realisticamente). Per esempio la sola uscita dell’Italia dall’euro costerebbe alla Francia, restando questa ancorata alla Germania ed alla valuta unica, il passare da un Deficit Commerciale abnorme, ad uno immenso, con banali conseguenze. Se escono tutti o quasi, non vedo perché tutti debbano prendersela con l’Italia.
b) Storicamente, nelle varie crisi dove una valuta si è sganciata da altre, non si è mai verificato l’ingabbiamento commerciale del paese stesso, semplicemente perché impossibile da fare e perché sarebbe sconveniente nel medio periodo a chi lo attua. Avverrà parimenti in Europa
9) Se usciamo dall’euro, perdiamo i trasferimenti dall’unione europea.
L’Italia inspiegabilmente regala quasi lo 0,4% del suo PIL (più della Germania), circa 6 miliardi all’anno di euro, al resto d’europa. Durante le crisi degli stati ha generano decine di miliardi di nuovo debito pubblico a favore di altri. Se usciamo dall’euro da questo punto di vista non potremo che guadagnarci.
10) Col ritorno alla valuta nazionale saremo tutti più poveri ed i conti pubblici peggiorerebbero.
Falso. È vero unicamente se uno percepisce redditi in Italia e li spende all’estero. Ma per la quasi totalità dei residenti italiani accadrebbe il contrario. Tutte le simulazioni numeriche fatte all’estero dicono il contrario. Oggi siamo nell’euro e stiamo conoscendo una depressione economica impressionante e mai l’economia italiana è andata peggio. Qui la nostra simulazione del PIL nominale restando ed uscendo dall’euro, sia del PIL nominale che del Debito.
11) Col ritorno alla valuta nazionale l’italia vedrebbe esplodere immediatamente il debito perché i debito sono in euro.
Falso. Lo Stato onorerebbe il debito in valuta locale, non in euro (Lex Monetae). L’onere del debito non aumenterebbe; i creditori esteri hanno già incorporato la svalutazione nello spread, ed anzi il tasso diminuirebbe. Inoltre come visto aumenterebbe il PIL nominale, comprimendo il debito stesso.
12) Col ritorno alla valuta nazionale la banca centrale europea non finanzierebbe più il nostro sistema bancario, si bloccherebbe qualunque pagamento e esportazione e crollerebbe tutto
Chiariamo il punto di vista secondo logica:
a) Se a svalutazione avvenuta i paesi creditori bloccassero il nostro sistema bancario spingendo l’Italia al Default (ammesso che riescano nell’intento), altro non farebbero che spingere l’Italia a non ripagare i debiti verso essi stessi. Se facessero così sarebbero degli auto-lesionisti. Tra l’altro l’Italia ha un saldo primario attivo e non avrebbe in caso di default necessita’ di finanziarsi all’estero.
b) Se torna la Valuta Nazionale, torna anche la Banca Centrale Nazionale, e quindi qualcosa che quasi certamente svanirebbe (la BCE), non si sa bene quali minacce potrebbe compiere.
c) Le minacce da che mondo e mondo si fanno per “evitare” un evento. Ad evento successo, la minaccia è un non senso.
d) Normalmente i Default avvengono quando si esaurisce la cassa. L’Italia ha una cassa pari al 21% del PIL (oltre 300 miliardi di Euro) in Oro, Valute, Riserve, etc.
Direi che non c’è molto altro da aggiungere.
13) L’euro e’ una cosa buona perché ci da’ il “fattore dimensionale per competere” mentre con la valuta nazionale saremo dei nanetti.
Confuso. L’euro in se non vuol dire niente di niente. Certamente, c’e’ chi ha l’ambizione di vedere l’euro prendere il posto del dollaro come valuta di riserva e scambio mondiale, ed essere così in grado di imporre condizioni al resto del mondo, ma per fare ciò oltre all’Unione Politica, Fiscale, Valutaria e dei mercati del Lavoro, bisognerebbe pure investire massicciamente in armamenti. Oggi tra l’altro l’euro pesa nelle riserve delle banche centrali meno di quanto pesavano 15 anni fa le varie valute nazionali.
Vicino casa abbiamo la Svizzera ed in giro per il mondo tanti esempi di piccole nazioni che competono benissimo col resto del mondo. Quanto all’egemonia Mondiale, direi che l’Europa per una serie di ragioni (anche demografiche) può tranquillamente scordarsela.
L’Europa, Euro o non Euro, puo’ tranquillamente continuare ad essere un area di libero scambio, e se vi fosse maggior coordinamento (e non certo la valuta unica) potrebbe andare in giro per il mondo cogliendo determinate opportunita’ che effettivamente il fattore scala può facilitare.
CONCLUSIONI:
Il ritorno alla Valuta Nazionale, non risolve i problemi dell’Italia (di cui ho parlato tante volte e fatto proposte operative specifiche). Ma è altrettanto certo a mio avviso che una permanenza nell’euro non può che spingere l’Italia verso un impoverimento complessivo nazionale, che non ha niente di taumaturgico. Per cui non c’è alcuna ragione razionale per non tornare alla Valuta Nazionale, preparandosi a tale evento (che personalmente ritengo inevitabile, come insegna la storia).
Il dibattito sull’euro in Italia è assolutamente avvilente, perché come detto in calce, basato su pregiudizi morali e non su analisi, ricerche, dati e studio della storia.
Maurizio Cocucci
A parte alcuni punti discutibili che ha scritto, credo che abbia sbagliato articolo visto che molte questioni non sono nemmeno accennate (v. punti 1, 4, 6, 8, 9 e 12). Gli argomenti discutibili riguardano il punto 6 perchè fa riferimento al solo vantaggio iniziale dovuto all’effetto prezzo sul mercato estero, ma non le conseguenze su quello interno dove i prezzi rimangono uguali e semmai risentono dell’aumento dovuto ai generi importati. Il beneficio comunque è di breve durata perchè subito dopo si fanno sentire le conseguenze della svalutazione, dall’aumento del costo dell’energia a quello delle materie prime, dall’incremento dei tassi di interesse a quello dei salari allorquando i lavoratori chiedono un adeguamento al livello di inflazione maggiore.
Al punto 11 l’autore ha citato correttamente le conseguenze sulle obbligazioni private (non sul debito pubblico) il cui debito dovrebbe sapere che non può essere convertito in altra valuta rispetto a quella pattuita. A questo si aggiungano i prestiti interbancari (estero su Italia) che avrebbero lo stesso problema: ti ho prestato euro, mi devi restituire euro! Per fare un esempio, la voce “passività nell’ambito dell’eurosistema” del bilancio della Banca d’Italia, che nel 2012 ammontava a ben 253,8 miliardi di euro. Questa passività non può essere convertita in altra valuta. La si può ripagare certo, ma con un maggiore onere proporzionalmente alla svalutazione.
Per quanto riguarda il punto 9 certo che i conti pubblici peggiorerebbero (e di molto!) visto che il motivo di tornare ad una valuta propria è quello di poter conseguire un maggiore deficit come conseguenza di una maggiore spesa e di una desiderata riduzione della pressione fiscale. Altrimenti a che serve lasciare l’euro per rimanere con i limiti di Maastricht? Se aggiungiamo l’onere derivante dalla svalutazione (aumento dei rendimenti dei titoli pubblici) è facile prevedere che la banca centrale sarà costretta ad emettere molta base monetaria, ben oltre il tasso annuo di incremento che c’era negli anni ’70 (con inflazione a due cifre) e con la differenza che l’economia oggi non registra gli stessi livelli di incremento di allora quindi la conseguenza sarebbe quella di una forte spinta inflattiva, non derivante direttamente dalla svalutazione ma dal successivo aumento di moneta emessa. Questo Banca d’Italia e Confindustria lo sanno, ecco perchè nessuno è a favore di questa soluzione.
Jacopo Piletti
mi sembra però che l’articolo del docente qua sopra spieghi come sia una cretinata l’uscita da questa moneta.
Luca Tempesta
Cretinata non è di certo signor Piletti!
Mi dica lei se ha visto benefici tangibili con questo Euro! La Grecia ha seguito tutte le ricette, sta bene? No. Irlanda entrò nell’Eurozona che neanche ce l’aveva un debito e ora? Il Portogallo ha sempre avuto Barroso come scudiero e protettore è servito?
Le dico una cosa, si confonde l’abbandono dell’Euro come la distruzione dell’Europa, dannazione, sono due cose diverse! Io sono un europeista convinto ma chiedo solo la restituzione delle chiavi di casa!
La verità è nei conti: 10 stati della Ue sono in rovina 5 stati hanno un debito pubblico insostenibile (dati eurostat)
mercoledì 23 aprile 2014
BRUXELLES – L’eurozona chiude il 2013 mostrando un debito pubblico in aumento. E’ quanto emerge dalla prima rilevazione in merito di Eurostat. Nell’area della moneta unica il debito è salito al livello record del 92,6% del Pil, dal 90,7% di fine 2012. Nell’Ue a 28 Paesi il debito è passato in un anno dall’85,2% del Pil all’87,1%.
Nel complesso dei Paesi membri Ue, dieci Stati su ventotto hanno registrato nel 2013 un livello di deficit superiore al 3% del Pil.
Si tratta di:
Slovenia (14,7%),
Grecia (12,7%),
Irlanda (7,2%),
Spagna (7,1%),
Regno Unito (5,8%),
Cipro (5,4%),
Croazia (4,9%)
Portogallo (4,9%)
Francia (4,3%)
Polonia (4,3%).
Hanno mostrato invece un debito oltre il 100% del Pil:
Grecia (175,1%),
Italia (132,6%),
Portogallo (129%)
l’Irlanda (123,7%),
Cipro (111,7%)
Belgio (101,5%).
Questi sono i dati ufficiali dell’Istituto di Statistica dell’Unione Europea. E dimostrano al di là di ogni dubbio che l’euro ha causato un disastro inimmaginabile. Disastro dal quale è impossibile uscire senza cancellare l’euro stesso almeno negli Stati in cui il debito pubblico è superiore al 100% del Pil.
Non c’è alcuna possibilità di ridurlo mantenendo l’euro. Nessuna delle nazioni coinvolte possiede risorse tali da poter essere vendute per ridurre il debito pubblico al di sotto del 100% fino al 60% del PIl che è il limite massimo posto dai trattati dell’Unione Europea.
Né si può più imputare questa situazione terrificante alla crisi scatenata dagli Stati Uniti nel 2008. Sono passati più di 5 anni e l’America è in forte crescita, così come lo sono gli Stati europei che non hanno a che fare con l’euro, come l’Inghilterra, e che hanno rigettato le politiche economiche della UE, come l’Ungheria.
La verità è nei conti. Basta guardarli e smetterla di illudersi che miglioreranno, perché non fanno altro che peggiorare da anni. L’Eurozona è fallita. Questa, è la verità. E per uscire dal fallimento serve una strada nuova. Non si tratta di distruggere l’Europa, ma di ridare sovranità monetaria agli Stati che per colpa dell’euro sono in rovina. Tutto qui.
Alessandro
Caro Luca Tempesta, forse è proprio perché abbiamo vissuto tutti in Italia, e la storia l’abbiamo vista coi nostri occhi e sperimentata sulla nostra pelle, che non abbiamo neanche un briciolino di fiducia nella capacità del nostro Paese di resistere dopo essersi preso la responsabilità di far saltare la seconda valuta mondiale e la principale area economica. E’ abbastanza chiaro a tutti, credo almeno in questo sito, che l’Unione Europea, con l’attuale livello di malcontento, non ha la minima possibilità di sopravvivere a un infarto come la fine dell’euro.
marcello esposito
Rispondere ad osservazioni così articolate richiederebbe un altro articolo. Cercherò di rispondere nel modo più sintetico possibile:
1) la crisi europea ha origini molteplici. Distinguere gli sprechi pubblici da quelli privati è difficile, perchè gli uni alimentano gli altri. La crisi finanziaria nasce negli USA ma mette in luce le debolezze strutturali di alcuni paesi europei. Volendo estremizzare: In Italia il settore pubblico, in Spagna il settore privato, in Irlanda il sistema bancario, … Debolezze che erano state nascoste nei primi anni dell’euro quando il combinato disposto della crescita economica e del ribasso dei tassi aveva determinato una congiuntura favorevole,quasi unica.
2) in realtà, i sistemi valutari sono la regola (gold standard, bretton woods, sme, area del dollaro in asia, …), ma è vero che prima o poi i rapporti di cambio devono essere riaggiustati. L’euro invece è una novità assoluta e per questo è stato creato bruciandosi i ponti alle spalle. Si può discutere quanto si vuole su questa scelta “estrema”, ma è cosa fatta.Tornare alla valuta nazionale ad esempio equivale ad uscire dall’Unione Europea. Se anche per il Regno Unito una scelta del genere è considerata “epocale”, possiamo immaginare per un paese che chiede aiuto anche per pattugliare le coste o per far tornare in patria due marò …
3) il caso argentino mostra come sia possibile: partendo da un cambio 1:1 peso-dollaro che aveva resistito per anni, si è arrivati a 1,95 in un mese, 3 in 3 mesi, 2,85 in 6 mesi. Quando saltò Bretton Woods nel ’72, la lira era a circa 170 contro marco, nel 1980 era a 466.
4) dipenderà da come decideremo di risolvere il problema del debito pubblico. Visto che molti invocano l’uscita dall’euro per poter riprendere il controllo del “torchio” e monetizzare il debito …
5) vista la credibilità dell’Italia e la storia della lira, lei pensa che potremo avere tassi tedeschi o giapponesi?
6) in un primo momento saremo più competitivi, su questo non c’è dubbio. Ma, alla lunga, l’inflazione si mangia la competitività che la svalutazione ha creato. La competizione si può fare sulla qualità o sul prezzo. Le svalutazioni di 20 o 30 anni fa funzionavano perchè il mondo era ristretto all’occidente e noi facevamo i prezzi più bassi. Con la globalizzazione, sono entrati sul mercato paesi che fanno un prezzo enormemente più basso di noi e noi possiamo svalutare quanto vogliamo ma non arriveremo mai a quei livelli. La qualità, la ricerca, il sistema paese miglioreranno se staremo fuori dall’Unione? In un contesto di impoverimento è poi probabile che emergano classi dirigenti populiste, come in Sud America, e non mi sembra che il nostro track-record lasci immaginare una soluzione diversa.
7) d’accordo, l’Europa deve avviarsi verso l’unione politica. Però, non bisogna mettere il carro davanti ai buoi, se no l’Europa salta veramente. Sono convinto che se i trasferimenti al Sud avessero seguito una logica più condizionale e meritocratica, se ci fossero state le gabbie salariali, se ci fosse stata una maggiore responsabilizzazione delle classi dirigenti meridionali…. forse il Sud oggi starebbe meglio. Quindi, d’accordo su una maggiore integrazione del mercato del lavoro, ma guai ad imporre salari tedeschi alle imprese greche. D’accordo sui trasferimenti, ma guai ad immaginarli senza condizionalità. Se noi italiani, a distanza di neanche 2 anni dal quasi-default, stiamo già spendendo il tesoretto che ha creato il governo Monti, figuriamoci cosa faremmo se sapessimo che c’è il contribuente tedesco pronto a venire in soccorso.
8) se usciamo dall’euro, usciamo dall’Unione Europea e quindi dal mercato unico. Se salta l’euro, è impossibile capire cosa ne sarà dell’Unione.
9) d’accordo. Perdere i trasferimenti dall’Europa sarà il minore dei problemi.
10) Per definizione, quando un paese svaluta, diventa più povero rispetto agli altri. Compreremo quindi meno auto tedesche, meno medicinali svizzeri, meno petrolio arabo. All’interno del paese che svaluta, si salva in genere chi ha maggior potere contrattuale o ha la capacità di proteggere il proprio capitale all’estero. Quindi, i più ricchi e la casta si salvano. Il resto si impoverisce.
11) e 12) ampiamente illustrati nell’articolo.
13) questo è un terreno più difficile. La mia opinione è che la Svizzera o l’Inghilterra o la Norvegia abbiano delle specificità difficilmente replicabili da altri paesi europei. Se noi Europei vogliamo difendere il nostro stile di vita e il nostro welfare state, penso che non ci siano alternative a rimanere uniti.
Luca Tempesta
Non ci stiamo capendo. E’ incredibile, stiamo filosofeggiando su qualcosa che non esiste. La moneta unica non può funzionare. Altri dati?
tassi di disoccupazione:
6.7% Usa
3.6% Giappone
5.6% Russia
5.8% Australia
4.1% Cina
6.9% Canada
5.1% Brasile
6.4% Argentina
10.1% Turchia
12% EUROZONA
Perché di Europa bisogna parlare
Top performing European economies, 2014:
+3.2% Poland
+2.9% UK
+2.7% Iceland
+2.5% Sweden
+2.1% Norway & Hungary
Cosa hanno in comune? Non hanno l’euro.
Lei sa bene che dal 2008 ad oggi l’Inghilterra ha svalutato del 20% circa e lo shock ce lo ha avuto in casa visto che Londra è un’industria finanziaria, nonostante tutto ad oggi si trovano con un boom economico che non vedevano da 70 anni.
7 e ripeto 7 premi Nobel hanno dichiarato che la moneta unica è pazzia, a vario titolo non Luca Tempesta lo sconosciuto.
Se ci sono economisti che non conoscono i mercati valutari questo è il risultato. Uno scandalo.
Glielo ha detto in faccia perfino Frits Bolkestein, uno degli artefici del Mercato Unico: “L’Unione monetaria è un esperimento fallito” non so chi altro si deve pronunciare a riguardo?
La mancata comprensione del sistema monetario ha reso più difficile l’intervento delle banche centrali.
Ma purtroppo, l’ignoranza non è beata! Ha reso più difficile per le banche centrali agire in modo efficace. Fortunatamente la Banca d’Inghilterra si sta preoccupando di fornire la formazione necessaria. Nel suo ultimo Bollettino trimestrale, il suo staff spiega il sistema monetario. Riporto qui sette punti fondamentali su come effettivamente funziona, al contrario di quel che la gente pensa.
In primo luogo, le banche non sono solo intermediari finanziari. L’atto del risparmio non aumenta i depositi nelle banche. Se il tuo datore di lavoro ti paga, il deposito semplicemente si sposta dal suo conto al tuo. Questo non influisce sulla quantità totale di moneta; invece la moneta aggiuntiva è un prodotto dei prestiti. Ciò che rende speciali le banche è che i loro debiti sono soldi – un titolo di debito (IOU) universalmente accettato. Nel Regno Unito, il 97 per cento dell’aggregato monetario più ampio è costituito dai depositi bancari per lo più creati dal credito bancario. Le banche effettivamente “stampano” soldi. Ma quando i clienti rimborsano i crediti, vengono distrutti.
In secondo luogo, il “moltiplicatore monetario” che collega i prestiti alle riserve bancarie è un mito. Nel passato, quando le banconote potevano essere liberamente convertite in oro, questo rapporto poteva anche esistere. Dei severi coefficienti di riserva potevano ancora ristabilirlo. Ma non è così che funziona oggi il sistema bancario. In un sistema monetario fiat, la banca centrale crea riserve a volontà. Quindi fornirà alle banche le riserve di cui hanno bisogno (ad un certo prezzo) per estinguere le loro obbligazioni di pagamento.
In terzo luogo, sono i rischi e i benefici attesi che determinano la quantità dei prestiti concessi dalle banche, e così la quantità di moneta che esse creano. Le banche devono considerare quanto hanno da offrire per attrarre depositi e quanto potrebbe essere redditizio o rischioso qualsiasi eventuale prestito supplementare. Lo stato dell’economia – in sé fortemente influenzato dalle loro azioni collettive – guiderà queste decisioni. Anche le decisioni degli operatori non-bancari influenzano direttamente le banche. Se i primi rifiutano di contrarre prestiti e decidono di rimborsare quelli che hanno, il credito e così il denaro si ridurrà.
Quarto, la banca centrale influenzerà le decisioni delle banche adeguando il prezzo che fa pagare (il tasso di interesse) sulle riserve supplementari. Ecco come funziona la politica monetaria in tempi normali. Dal momento che la banca centrale è il fornitore monopolista delle riserve bancarie e poiché le banche necessitano di depositi presso la banca centrale per aggiustare i loro reciproci pagamenti, la banca centrale può in questo modo determinare il tasso di interesse a breve termine dell’economia. Nessuna banca sana di mente presterebbe a un tasso inferiore a quello che deve pagare alla banca centrale, che è la banca delle banche.
Quinto, le autorità possono anche influenzare le decisioni di prestito delle banche attraverso la regolamentazione – requisiti di capitale, requisiti di liquidità, regole di finanziamento e così via. La giustificazione di questa regolamentazione è che il credito bancario ha delle ricadute o “esternalità”. Così, se molte banche finanziano coi prestiti la stessa attività – acquisto di immobili, per esempio – faranno salire la domanda, i prezzi e le attività, giustificando così ancora maggiori prestiti. Un ciclo di questo tipo potrebbe portare – anzi spesso ha portato – ad un crollo del mercato, una crisi finanziaria e una profonda recessione. La giustificazione di una regolamentazione sistemica è che serve, o almeno dovrebbe servire, ad attenuare questi rischi.
Sesto, le banche non prestano le loro riserve, non hanno bisogno di farlo. Non lo fanno perché tutti gli operatori non-bancari non possono tenere un conto presso la banca centrale. E non ne hanno bisogno perché possono creare prestiti per conto proprio. Inoltre, le banche non possono ridurre le loro riserve aggregate. La banca centrale può farlo con la vendita di asset. Il pubblico può farlo convertendo i depositi in cash, l’unica forma di moneta di banca centrale che il pubblico può detenere.
Infine, il quantitative easing – l’acquisto di asset da parte della banca centrale – amplierà l’offerta di moneta. Lo fa sostituendo, per esempio, i titoli di Stato detenuti dal pubblico con depositi bancari, e in questo processo espande le riserve delle banche presso la banca centrale. Questo aumenterà l’aggregato monetario più ampio, a parità di condizioni. Ma dal momento che non vi è alcun moltiplicatore della moneta, l’impatto sull’offerta di moneta può essere – e in effetti recentemente lo è stato – modesto. L’impatto principale del QE è sui prezzi relativi degli asset. In particolare, questa politica aumenta i prezzi delle attività finanziarie e ne riduce il rendimento. La giustificazione per questo è che a livello di tassi zero la normale politica monetaria non è più efficace. Così la banca centrale cerca di abbassare i rendimenti su una più ampia gamma di asset.
Questo non è solo un discorso accademico. Comprendere il sistema monetario è essenziale. Uno dei motivi è che eliminerebbe gli ingiustificati timori di iperinflazione. Questa potrebbe verificarsi se la banca centrale creasse troppa moneta. Ma negli ultimi anni la crescita della moneta detenuta dal pubblico è stata troppo lenta, non troppo veloce. In assenza di un moltiplicatore monetario, non vi è alcuna ragione perché le cose cambino.
Una ragione ancora più forte è che subappaltare la funzione di creazione della moneta ad imprese private in cerca di profitto non è il solo sistema monetario possibile. E può anche non essere il migliore. Infatti, esiste la possibilità di lasciare che sia lo stato direttamente a creare moneta.
Piero
Se si esce dall’euro, non c’entra niente l’Unione Europea, l’uscita sarà una cosa concordata tra tutti.
Se dal 1972 il marco stava a 170, arrivo a 466 nel 1980, ricordo a tutti che vi fu una svalutazione sul marco di quasi il 300%, l’Italia arrivo ad essere la quinta potenza del mondo.
Tutti sono d’accordo all’unione politica, poi vi potrà essere l’unione monetaria, non vi può essere una moneta senza uno stato o una federazioni di stati, per sostenere un’area valutaria occorre l’integrazione fiscale.
Amegighi
C’è un punto in queste discussioni sull’Euro che nessuno dei suoi detrattori pone al centro. Che tipo di economia pensate di costruire, dopo l’euro?
Pensate di continuare con un’economia fatta di PMI, per lo più poco competitive per il basso livello tecnologico dei prodotti che possono quindi essere fabbricati in un qualsiasi paese emergente a costo del lavoro inferiore?
E come pensate di aumentare il livello tecnologico e la produttività di queste aziende se la gran parte delle risorse per fare questo le dovrete pagare molto di più, visto che noi non le produciamo?
Mentre nel mondo avanzato si cerca di mantenere elevato il proprio livello di competitività investendo molto in Ricerca e Sviluppo (USA quasi 4% del PIL, Cina 5%, Germania 3%, Francia 2.5%, Giappone 4%), da noi si vuole invece “sostenere” l’economia svalutando ? Cioè si vorrebbe arrivare come nel tessile, dove le famose magliette di una marca trevigiana sono fabbricate non più in Italia, ma nel Bangladesh ? Capisco i vantaggi del proprietario, ma il resto della gente cosa fa ? Vanga la terra alla ricerca di radici come gli Yanomami ?
C’è qualcuno di voi che si rende anche minimamente conto di cosa voglia dire “investire in Ricerca e Sviluppo” ? Di quanto tempo ci voglia per mettere in piedi un laboratorio di ricerca, creare un gruppo di ricercatori e mettere in moto un volano che dovrebbe dare dei prodotti ? Eppure tanti conoscono la Ferrari e ne elogiano le macchine e i piloti. Ma non sanno cosa ci sia dietro; o forse si, ma non ne parlano.
La Svizzera investe il 3% in R&D, caro signore, noi solo l’1%, ed è al terzo posto come indice di innovazione (rapporto EU, in rete). Il nome ETH e EPF le dicono niente ? Per intendersi, oltre alla funzione e alle patologie del sistema nervoso, lì dentro stanno studiando un modello matematico di corteccia cerebrale. Forse, conoscendo il nome di qualche industria farmaceutica svizzera, capisce il motivo, magari abbinandolo al fatto che in occidente invecchiamo tutti e diventiamo più o meno poco brillanti cerebralmente.
In Norvegia, mi risulta abbiano la possibilità di contare su uno dei giacimenti petroliferi più ampi del mondo. A Lei no ? Tanto è vero che la sua industria è basata su questo (rapporto EU e World Bank, in rete).
La Germania viene criticata, ma intanto ha “ingoiato”, negli anni 90 inizio 2000 e digerito una nazione di 25 milioni di persone, arretrata nelle industrie, servizi, strade eccetera: la DDR. Chi ci è stato prima e dopo si rende realmente conto di cosa hanno fatto.
Credo che noi dovremmo pensarci prima di parlare di trasferimenti. Quanto alla partecipazione al budget della EU, forse le converrebbe prima leggere come viene calcolato (anche questo in rete con tanto di tabelle). Magari la Finlandia potrebbe dire lo stesso a noi, di quello che noi diciamo alla Germania. Per non parlare della Spagna.
Ma, forse, è più interessante capire quali industrie/imprese esistano in Lombardia, equiparabili per livello qualitativo e tecnologico alla Bayer, alla Siemens alla BASF o alla Volkswagen.
Insomma, a me sembra che si caschi di nuovo nei soliti discorsi finanziari al di fuori della realtà.
Ma è quest’ultima, che ha valore, nel determinare i primi. E i nostri numeri sono carenti proprio nella realtà e non solo per i lacci e lacciuoli di euro e tasse. C’è molto di più e questo alberga nella testa di chi vuole fare impresa e non capisce che non si tratta più di aprire un capannone con 3 operai. Adesso il “capannone” è un piccolo laboratorio con 3 laureati specializzati. Sono idee avanzate ed è, soprattutto scambio continuo con il mondo, e non un richiudersi a difendere l’orticello. Perché alla fine, se continuiamo così, lo coltiveremo con la vanga, il nostro orticello.
PS: la Bayer non produce solo medicinali.
Guest
Solo per scrivere: bravo!
Condivido al 100%.
MI preoccuperei molto di piu’ di: R&D; aggregazione dei distretti di eccellenza; radere al suolo la burocrazia; abbattere la pressione fiscale; del sistema pensionistico (: CHI/COME paga/re le pensioni di domani?)
Stampa 3D: il de profundis per il manifatturiero ancora rimasto in piedi.
Robotica/automazione: de profundis – anche – per i tassinari.
Rimarranno ancora a blablablare, nonostante i 4.3. MILIONI di iscritti all’AIRE.
otto
robotica/automazione de profundis?http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2014-04-14/il-panorama-italiano-101506.shtml?uuid=ABXRunAB
francesco
Lei ha ragione ma vanno considerati due aspetti che non ha citato: in Italia il sistema dei distretti ha svolto e in parte riesce ancora a svolgere quelle funzioni di integrazione tra aziende medio-piccole che facendo sistema non solo sono cresciute conquistando grandi fette di mercato, ma hanno anche investito in ricerca e sviluppo pur essendo Pmi. Secondo, per investire in ricerca (distretti o meno) occorrono risorse e se oggi le imprese riescono a malapena a pagare lo stipendio agli operai come pensa possano trovare le risorse necessarie? Con le banche che al posto di finanziarie chiedono il rientro dagli affidamenti? Il rilancio dell’economia (e se non c’è altra via l’uscita dall’euro) è punto fondamentale per parlare di qualsiasi altra cosa.
Confucius
Tutto il ragionamento (ed i relativi commenti), pur interessante, è puramente accademico. Dall’andamento dello spread si capisce che il “Mercato” ha deciso che l’Italia è un paese risanato, finanziariamente sicuro e seriamente incamminato verso un roseo futuro e quindi non c’è nessuna necessità di uscire dall’Euro. Anche noi, fortunatamente, siamo “too big to fail”. Rimaniamo in attesa di una revisione in positivo dei rating della trimurti (già oggi abbiamo avuto il primo passettino).
pierpier
Il dibattito è molto interessante con interventi anche molto ben documentati che dimostrano che se ci sono due economisti ci saranno almeno tre opinioni, non entro nel dibattito economico, vorrei sottolineare che partire dall’euro e non dalle istituzioni, forse rischio calcolato, è ed era comunque un errore evidente, qualsiasi tentativo di ridiscutere questo impianto e le ancor più erronee politiche economiche in atto si è infranto contro il muro tedesco , minacciare l’uscita dall’euro potrebbe essere l’ultima risorsa, sinceramente di questa Europa dei ragionieri di corte vedute e senza slanci verso qualcos’altro non so che farmene, ciò non significa che assolvo la stupidità e ignoranza dei nostri politici, ma neanche vorrei fare hara-hiri per Merkel e compagni, potete disquisire di economia quanto volete ma non può essere solo una questione di mezzi è un problema di fini.
Piero
Una soluzione alternativa all’uscita dell’euro sarebbe la sua difesa, facendo cambiare la politica monetaria a Draghi, il governo dovrebbe ricorrere alla corte di giustizia europea e chiedere i danni che la Bce ha fatto all’Italia (ex art 215 trattato), in fin dei conti il trattato è un contratto: chi non adempie al contratto paga i danni all’altra parte, ora non è difficile provare che la Bce, istituzione nata in base al contratto europeo abbia provocato i danni all’Italia, basta vedere i morti per motivi economici che stanno dilagando, devo valutare se una simile azione possa essere fatta anche dai cittadini.
Marco la Colla
La gente comune non riesce a seguire argomentazioni così tecniche e complesse. Parliamogli di situazioni comprensibili e pratiche: l’aumento immediato dei costi delle materie prime quali petrolio e metano comporterebbe aumenti del 30/40% di benzina, e bollette di luce e gas.
Chi ha mutui a tassi variabili vedrebbe lievitare il loro costo di simili percentuali e tutto ciò, insieme ad un’inflazione a due cifre, produrrebbe un impoverimento generale del paese che pochi oggi riescono ad immaginare. Purtroppo la irresponsabilità di alcuni leader politici fa balenare scenari assurdi ed improbabili, usando argomenti che fanno colpo sui più sprovveduti che purtroppo sono la maggioranza degli elettori. Facciamogli capire con esempi pratici cosa succederebbe il giorno dopo l’abolizione dell’Euro e molti si ricrederebbero sulla convenienza di tale operazione.
francesco
A parte che svalutazione e inflazione sono cose diverse e anche se correlate non in modo direttamente proporzionale come lei vuol far credere, ma a proposito dei mutui a tasso variabile dall’ultimo bollettino dell’Abi risulta che in un periodo in cui i tassi sono al minimo storico (l’Euribor è poco sopra lo 0,3%) le banche hanno fatto registrare il record storico di sofferenze e il peggior rapporto sofferenze/impieghi dal 1998! Pensi cosa succederà quando appena appena i tassi torneranno a livelli normali: una strage vera e propria. E tutto questo con l’euro. Se non cambiamo radicalmente l’Europa (euro o non euro) non c’è alternativa alla catastrofe economica e alla morte e alla povertà che ne seguirà. E se vuoi il mio parere è meno utopistico cambiare l’Europa tornando alle monete nazionali rispetto alle altre alternative.
sanfons
Ma per chi non ha lavoro e non ha capitali come potrebbe diventare più povero?
Inoltre la situazione attuale con l’euro è la cosa migliore per gli italiani che non sono statali o per gli artigiani, piccoli imprenditori?
Uno che possiede zero o che ha perso il lavoro o che non viene pagato per lavori fatti allo stato ha grossi vantaggi con l’euro?
Fabrizio
Ecco, l’articolo di cui sopra, è un buon motivo per non fidarsi di nessuno. Nel 1992, l’italia era già fallita, ma allora non c’era un economista che avesse avuto il coraggio di confermarlo. Siamo entrati nella moneta unica nel 2001, e in meno di sette anni tale operazione ha ridotto il valore dei risparmi degli italiani del 100%. L’anno successivo, ovvero il 2008, è arrivata la crisi con le annesse svalutazioni. Se la casa brucia e nessuno ha il coraggio di decidere nulla, è normale che l’incendio rada al suolo tutto. Concludendo, nessun economista, nemmeno l’estensore di questo articolo, riesce a capire che l’economia reale è tutta un’altra storia, e che i numeri statistici non contano più nulla.
Alessandro
Prof, mi dispiace ma il suo curriculum è fin troppo bancario per poter ritenere il suo giudizio super partes! E’ come chiedere all’oste se il vino è buono. Come potevamo attenderci un suo personalissimo punto di vista non in linea con quello di Intesa, Sella, Unipol Sai, etc.?
Maurizio Cocucci
Secondo lei è più autorevole quello di un economista che si candida alle elezioni europee? Dal mio punto di vista l’autorevolezza la danno i contenuti espressi, non i curriculum vitae.
Asterix
Quindi un lobbista del tabacco che mi parla di ridurre le norme contro il fumo negli edifici o uno delle armi che mi parla della necessità di creare nuove armi tu lo valuti per i contenuti?
Maurizio Cocucci
Esatto. Nel caso del tabacco credo che l’unico argomento che una azienda del settore possa avanzare sia quella della libertà di scelta di ogni cittadino mentre dall’altra c’è il diritto sempre di ogni cittadino di non subire danni alla propria salute in nome del precedente diritto. Alla base di questo fu varata la legge in Italia che vietò il fumo nei locali pubblici (tra i primi in Europa).
Nel caso delle armi una azienda produttrice insisterà sul tema della autodifesa (personale o dell’intera nazione) questo contrapposto ad un pensiero che, in particolare per quanto riguarda i cittadini, la limitazione al possesso delle armi può solo avere effetti positivi sulla sicurezza ed è il pensiero largamente condiviso in Europa mentre negli Stati Uniti la propensione opposta ha il sopravvento anche tra la popolazione.
Qui il tema è lo scenario che si prefigurerebbe a seguito di una uscita dall’euro, argomento che può essere tranquillamente contestato con adeguate argomentazioni che sino ad ora io non ho mai rilevato. Come vede è tutta una questione di contenuti, non di curriculum vitae.
Alessandro
Quindi secondo lei i contenuti non sono orientati dai conflitti di interesse? Secondo lei è più propenso ad uscire dall’area euro uno che ha tre appartamenti da 400.000 euro l’uno oppure uno che ha 1.200.000 euro in contanti? Sicuramente entrambi avranno la capacità di dimostrare che la propria posizione è quella giusta!
Maurizio Cocucci
Quindi lei quando desidera acquistare un buon vino si rivolge per un consiglio privo di conflitti di interessi al macellaio? Oppure al farmacista per una buona racchetta da tennis? Mi sembra che si stia facendo un discorso del tutto irrazionale. Gli autori, non solo qui ma ovunque, esprimono la loro opinione e tra coloro c’è chi reputa che sia un vantaggio per l’Italia uscire dall’euro e chi invece ritiene il contrario. Sta a chi legge o ascolta valutare quali contenuti espressi siano più convincenti a prescindere dal curriculum, così come io stesso replico ai commenti senza chiedere a lei o altri il vostro di curriculum.
Alessandro Mascaro
Ritenere un giudizio super partes? Ma valutare semplicemente ciò che dice?
Alessandro
La risposta di Asterix è completa!
Simone Rupoli
L’euro non ha le basi economiche e politiche per reggere e prima o poi si disgregherà. Quando? Non è possibile saperlo. Capisco le posizioni di chi sostiene la moneta unica ma è presente una debolezza di fondo: non offrono alcuna seria alternativa e sono più utopistiche e “sognatrici” di quelle che propongono la uscita dall’Euro : immaginarsi un sistema di trasferimenti intra-europei dell’ordine del 12-15% del pil ed una rinuncia alla sovranità da parte degli stati nazionali è cosa più utopistica di immaginare come risolvere il problema di ristampare valuta nazionale e ridenominare i contratti e i mutui.
Massimo Matteoli
Vedo nei commenti che molti criticano l’articolo, che mi sembra invece realistico e convincente.
Questo non vuol dire che vada tutto bene, anzi, ma dobbiamo avere chiaro che non esistono scorciatoie, né tanto meno soluzioni miracoliste.
Al contrario serve una mobilitazione corale dell’opinione pubblica europea che chieda non solo un Europa più solidale, ma anche più federale, con maggiori poteri e più democrazia nelle istituzioni europee.
Perché se dalla crisi non si esce tutti insieme, tutti ne saremo travolti.
Purtroppo in troppi in Europa si aggrappano, invece, ai nuovi profeti di sventura.
Non sono un economista, ma con tutta sincerità penso che serva più uno psicologo, e di quelli bravi, per spiegare come così tante persone siano così smaniosi di prendere tutti i loro risparmi e bruciarli per correre dietro a demagoghi che per una manciata di voti non esitano a mettere a rischio le loro nazioni.
Poliziano Suillo
Mi sembra che questi rischi rispetto alla catastrofe economica di questi anni di euro ( altissima disoccupazione, crollo del Pil, aumento a livelli mai visti del debito pubblico, diminuzione degli stipendi, chiusura del tessuto produttivo nazionale, perdita della possibilità di adottare poltiche keynesiane, perdita della sovranità monetaria eccetera eccetera eccetera… ) siano una passeggiata tra rose e fiori. Oltre tutto il futuro che ci prospetta l’euro secondo le ottimistiche previsioni della troika è un aggravamento di tutti i disastri sopra elencati e la rinuncia definitiva al welfare ed allo stato sociale. Mi auguro per le mie figlie che avremo il coraggio di affrontare qualche fastidio per riacquistare un futuro e la libertà di politiche economiche nazionali scelte dagli elettori italiani e non dal signor Draghi.
Gianni Alioti
Rimanere nell’euro, ma riportando il valore di questa moneta al suo valore reale rispetto al dollaro e alle altre monete. Non ho trovato ancora un economista in grado di spiegarmi come si può continuare a parlare – razionalmente – di crisi dell’euro, di declino dell’Eurozona, mentre l’euro continua ad apprezzarsi rispetto alle valute delle economie in crescita!
Ryoga007
Il problema dell’Euro sono le distorsioni interne, non il deprezzamento rispetto alle altre monete. Per quanto riguarda eventuali svalutazioni, su che basi? In questo momento la zona Euro ha un surplus delle partite correnti, piuttosto dovrebbe apprezzarsi!
Luca Tempesta
Se i 7 premi nobel non bastassero ecco un altro “Sconosciuto” che dice la sua.
Il futuro chief economist della Bank of England avverte: “È tempo di ripensare tutto”
Andrew Haldane, ben noto tra i lettori come uno dei banchieri centrali più franchi e credibili di tutto il mondo, a giugno diventerà Chief Economist della Bank of England. Questo è ciò che rende le sue osservazioni – in ogni caso fattualmente oneste – estremamente scomode per i modellisti DSGE (Dynamic Stochastic General Equilibrium) dello status quo keynesiano, vivi e vegeti in ogni banca centrale del mondo. Per riassumere il suo pensiero in questa lettera – i modelli sono inutili ed è il momento di ripensare tutto.
Da Andrew Haldane:
Alla luce della crisi finanziaria, queste fondamenta [macro e micro modelli economici] non sembrano più così solide. La concorrenza sfrenata, nel settore finanziario e altrove, ha dimostrato di non aver servito bene la società più ampia. Si è scoperto che l’avidità, portata agli eccessi, è un male. La Mano Invisibile, se spinta troppo lontano, potrebbe rivelarsi malevola e ostile, contribuendo alla più grande perdita di reddito e di produzione a livello mondiale dagli anni ’30. Il perseguimento del proprio interesse, da parte delle singole imprese e dei singoli individui all’interno di queste imprese, ha reso la società più povera .
La crisi ha anche messo a nudo l’inadeguatezza latente dei modelli economici con equilibri stazionari unici e aspettative razionali. Questi modelli hanno fallito nello spiegare il genere di eventi macro-economici estremi, quali crisi, recessioni e depressioni, che sono di massimo interesse per la società. Le aspettative degli agenti, quando le cose si mettono male, hanno dimostrato di essere tutt’altro che razionali, e di essere guidate invece dalla paura della mandria o dell’ignoto.
L’economia in crisi si è comportata più come melma che cola lungo le pareti di un magazzino che come il pendolo di Newton, con un movimento più organico che armonico.
…Siamo una specie altrettanto cooperativa quanto competitiva. Questa non è certo una conclusione sorprendente per sociologi e antropologi. Ma per gli economisti è una rivoluzione copernicana.
Alla luce di tutto ciò, è tempo di ripensare alcuni degli elementi di base dell’economia.
Maurizio Cocucci
La posizione dei 7 premi Nobel è molto forzata. Recentemente il prof.Stiglitz ha chiarito la sua affermando che non si augura per nulla la dissoluzione dell’euro. Su youtube sul canale Rai può trovare una intervista realizzata dal giornalista Corradino Mineo al prof.Krugman, il quale ben chiaramente ha illustrato le carenze che a suo modo di vedere ha l’euro (che ci sono) ma non auspicava affatto un ritorno alla situazione di prima perché fortemente dannosa per tutti i Paesi, dalla Germania alla Grecia. Insomma una cosa è prendere atto che occorre mettere mano al sistema, altro è tornare ciascuno diviso e pensare di affrontare da soli un mercato globale che è completamente cambiato rispetto a 20 anni fa. Negli anni ’70 e ’80 la maggior parte dei prodotti venivano realizzati internamente, poi con il crollo della barriera ideologica si sono aperte delle vere e proprie praterie di conquista da parte delle grandi e medie aziende di tutti i Paesi, italiane comprese. Pensare che tornando ad una propria valuta molte produzioni possano tornare qui a produrre è completamente utopistico.
Rudy
premetto che non sono favorevole ad uscire dall’euro. Ma lo scenario rappresentato, condivisibile in parte, non è proprio come descritto nell’articolo si danno per scontate certi comportamenti considerando il fatto che la conversione avviene improvvisamente o
meglio mal gestita da chi è deputato a gestirla e quindi le conseguenze rappresentate trovano fondamento nella sua disamina, ma sono viziate
ab origine.
Poi nel 92 c’è stata la svalutazione della lira…si
ricordino i famosi mutui in Ecu dove le banche hanno agito senza regole fatte da chi governava a tutela dei contraenti. Le banche mantennero da una parte le passività in euro, grazie alla svalutazione, e
quest’ultima venne applicata solo allo “stipendio”(ai soldi del correntista) quindi che intende dire che avverrà la stessa cosa?
C’è chi deve stabilire le regole si comporterà come nel 92?
Che in caso di passaggio alla lira l’eventuale svalutazione del passaggio non potrà essere nuovamente garantita?
Non basta convertire 1 a 1 e il rapporto con
l’euro sarebbe come ora avviene col dollaro..? noi a differenza della Grecia che importa tutto ( e loro a mio avviso non possono uscire dall’euro tanto che anche tsipras l’ha capito) noi importiamo principalmente energia e il problema si risolverebbe con una pari riduzione delle accise con un
potere d’acquisto invariato.
Certo questo comporterebbe un forte rilancio delle produzioni interne e l’aumento degli acquisti sui mercati interni…più occupazione ecc..
Pertanto smantellare le nostre industrie produttive facilita la dipendenza dall’Euro.
Questa è la riflessione da fare l’effetto del cambio andrebbe gestito meglio o riviste alcune regole dei cambi e di rapporti non come è stato fatto nel 92 la storia ci ha insegnato questo.
Maurizio Cocucci
Io se fossi in lei farei una visita al sito dell’Istat per verificare i dati dettagliati relativi alle importazioni, così verificherei che le materie prime non rappresentano la maggior voce di spesa. Poi tanto per fare una prova pratica la prossima volta che entra in un centro commerciale provi a visitare reparto per reparto a controllare la provenienza dei prodotti e vedrà che molti sono fatti all’estero, importati da qualcuno che a seguito di un aumento dei prezzi dovuti al cambio (nel caso si tornasse alla lira) subirebbe un calo e licenzierebbe personale. Idem l’azienda che avrebbe a che fare con il solo mercato interno e non esporta pressoché nulla. Tra l’altro molti prodotti che sembrano made in Italy perché venduti da aziende formalmente italiane, ma prodotti all’estero, sono a tutti gli effetti beni di importazione. Ad esempio i prodotti di abbigliamento ma anche automobili. Uno pensa che aumentando la vendita di questi si creerà lavoro in Italia invece questo si realizzerà all’estero. Questo per dire che i presunti benefici di una svalutazione si dovranno calcolare considerando il saldo finale, non solo i temporanei benefici sul fonte delle esportazioni.
stefano cianchetta
E’ importante tener presente che l’euro potrebbe essere smantellato anche per iniziativa franco-tedesca. L’Italia dovrebbe dotarsi comunque di un piano per gestire la transizione. Paolo Savona (ex ministro del governo Ciampi) per esempio ha pubblicamente sottolineato questo punto (necessità di un piano B operativo e ben dettagliato).
Maurizio Cocucci
Su iniziativa tedesca non credo proprio. Francese alquanto inverosimile, la Francia avrebbe molto da perdere, più di noi visto che ha conti pubblici peggiori (tranne il rapporto debito/Pil) e deve ringraziare l’appartenenza all’eurozona se paga rendimenti migliori dei nostri sui titoli del debito.
stefano cianchetta
Ribadisco, se e quando si verificherà sarà su iniziativa franco-tedesca. O lei crede alle fesserie di Grillo col referendum? Uno scenario di rottura ormai non lo esclude neppure Zingales: http://uneuropadiversa.it/leuro-potrebbe-scomparire-entro-due-anni/
stefano cianchetta
Ho trovato questa sua affermazione molto interessante “La ridenominazione dei contratti in lire porterebbe con sé anche la ridefinizione dei meccanismi di indicizzazione”. Potrebbe svilupparla? Per esempio come variarono i tassi interbancari italiani dopo la svalutazione del 1992? Che scenari immagina per i tassi interbancari in Italia dopo un euro break deciso altrove (per esempio promosso dalla Francia)?
Maurizio Cocucci
In questo articolo de Il Sole 24 Ore del 2012 http://tinyurl.com/m6b87cx è espressa la posizione di Confindustria e la spiegazione del perché una uscita dall’euro non conviene. A sinistra dell’articolo vi è il link ad un documento redatto dal Centro Studi di Confindustria in cui sono spiegate in maniera sintetica le ragioni della posizione contraria.
Alessandro Marangon
Mi incuriosisce il suo post: se usciamo dall’euro perdiamo i risparmi. Di chi? Delle banche? Credo che negli ultimi 10 anni abbiamo “bruciato” i risparmi della generazione uscita dalla guerra e oggi una gran parte di Italiani sia imprese o privati non abbia più nulla o quasi (forse è perché non si sono rinnovati?). Ora se uno davanti ha la Troika e però non si vuol fare una patrimoniale (visto che a dir suo i soldi ci sono) e poi prendersi la briga di riformare questa classe dirigente clientelare. Ai miei figli vorrei lasciare una cosa importante: una speranza, quella di poter decidere del loro futuro sia da poveri che da ricchi. Questo attuale “sistema” non lo prevede più: siamo numeri usa e getta, possiamo morire di fame o suicidati, è lo stesso. Non ci rispettano in nulla, nelle scelte dei referendum, non ci lasciano una preferenza nelle elezioni ma soprattutto non ci informano di niente; giorno dopo giorno ci impongono e ci imporranno sempre più tasse perché l’Europa ce lo chiede. Se per lei il modello svizzero è demagogia, se per riformare la classe dirigente italiana e il suo sistema clientelare dobbiamo uscire dall’euro e rovesciare tutto (brutale ma vero) io voto la demagogia. Avremo le ginocchia sbucciate o le gambe rotte? Certo. Ma si potrà ricostruire su basi più oneste e più solide.
trecchi
Gli italiani all’estero sono già derisi per il secondo clown della politica italiana come hanno scritto i giornali tedeschi e saranno ancora più sbeffeggiati se i parlamentari grillini dovessero essere numerosi al punto da far gridare alla vittoria il pluriomicida. Si sono dimessi ministri per non aver pagato le colf e noi avremo il proprietario del partito dei 5 stelle che è un pluripregiudicato. Appena i suoi dipendenti prenderanno la parola cominceranno a ridere tutti e se chiederanno di cambiare una virgola dei trattati si butteranno per terra dalle risate. Spero solo che chi compra i nostri titoli del debito non cominci a venderli perché allora sì che cominceranno a saltare le pensioni, le casse integrazioni, gli impieghi statali etc. Altro che ginocchia sbucciate o futuro dei giovani, non ci sarà futuro per nessuno, a parte per il comico e Berlusconi: a loro non può fregare di meno nelle loro ville, nelle loro piscine, nei loro parchi. Al massimo il pluriomicida invece di 30 euro ti chiederà 50, lui non è scemo ma conta su di te.
Alessandro Marangon
Beh il confronto è impari… il capo politico M5S non è quello che decide..e in europa il modello svizzero lo odiano per questo.. distrugge i piani di chi deve capitalizzare l’utile e scaricare il debito alle fasce basse…trovo strano che uno della tua levatura presti il verso a queste fantasie esterofile..e tenti di rinnegare l’amara realtà dei fatti..mi aspettavo confronti schietti di cultura ..non di incontrare tifosi..su questo sito
Asterix
Molte delle riflessioni dell’articolo partono dall’idea che sia l’Italia o la Grecia ad uscire, ma cosa accadrebbe se ad uscire fosse la Germania o la Francia? Il discorso non è ipotetico perché diversi giornali esteri davano la notizia che in ambienti bancari in Germania, in Svizzera, negli Usa si preparano dossier per tale scenario. Perché non ci prepariamo? Non vedo altre soluzioni se non vogliamo perdere l’industria nazionale. Noi non siamo gli inglesi che sono già da anni un paese post industriale basato sui servizi (finanziari). Non possiamo competere con l’industria tedesca (gli investimenti in R&D danno risultati fra anni e noi non ce l’abbiamo). E’ inutile fare paragoni con la Grecia o il Portogallo che non hanno una struttura industriale come la nostra. I Greci poi non hanno accettato un benamato nulla, basta vedere gli scontri in piazza, gli astenuti o i voti all’opposizione. Disegnare l’euro come una prigione da cui non si può uscire non mi sembra utile perché ancora nessuno dei sostenitori dell’euro ha dimostrato i vantaggi ottenuti dall’ingresso? Il nostro livello di benessere è crollato dopo l’entrata (o meglio pochi hanno migliorato, e molti hanno peggiorato). Per fortuna ancora abbiamo le elezioni europee per dire la nostra (il parlamento europeo non è nominato dai governi nazionali per ridurre i costi).
Enrico
Ho la sensazione che l’Europa sia l’unico organo di controllo sulla classe dirigente di questo Paese (controllo vero, sui dati e non sulle promesse), perché dovremmo rinunciarvi? Solo per farci sembrare che stiamo meglio distruggendo le prospettive delle generazioni future? Perché è questo quello che hanno fatto con il debito pubblico.
Asterix
Quindi perché non eliminare il diritto di voto degli europei e lasciarlo in mano agli “illuminati” dirigenti europei migliori dei nostri governanti ? In Economia la spesa pubblica è uno degli strumenti normali per sostenere l’economia. Il problema è come sono stati investiti i soldi presi a debito in Italia: non per spese produttive di ricchezza, ma per le pensioni baby, per le assunzioni di massa nelle imprese pubbliche, per sostenere le solite 4 imprese miste pubblico privato. Non abbiamo avuto per anni un progetto industriale e pensi che oggi te lo può dare l’europa?
nextville
Per gli italiani essere commissariati davvero sarebbe molto meglio.
Orazio
Ricordiamoci sempre che l’Ue è un’unione economica, non politica. La colpa del nostro status non lo dobbiamo agli europei, ma a noi stessi.
Enrico
“Non per spese produttive di ricchezza, ma per le pensioni baby, per le assunzioni di massa nelle imprese pubbliche”. Ha perfettamente ragione e non ho visto levarsi gli scudi al grido di “Fermi, cosi rovinerete i nostri figli!”, anzi: c’erano le file. Chi è causa del proprio male pianga se stesso, ma le nuove generazioni non ne possono nulla, almeno proviamo a dimostrargli che chi sbaglia paga.
Antonio Prova
Ok. E quando la lira svaluta, aumenta l’esportazione e le azienda straniere investono in Italia dando lavoro perché il costo della mano d’opera e più basso (e questa volta italiana non cinese; con tutti il rispetto per la Cina): vedi aziende che delocalizzano nei paesi dell’Est dove il costo della mano d’opera è più basso, etc. Insomma non credo che quest’articolo sia imparziale: non tiene conte neanche del fiore degli economisti che vedono nella moderna teoria monetaria che fa della sovranità monetaria di una nazione il suo principio fondamentale. Ricordo all’autore che anche nella costituzione americana è sancito il diritto inalienabile che la moneta deve appartenere al popolo, e Kennedy, come diversi Presidenti, è morto per aver cercato di difendere questo diritto che è stato strappato con l’inganno dai banchieri internazionali: avere il controllo della moneta. In un mondo che si muove solo con i soldi è come avere il controllo dell’aria che respiriamo. La moneta deve essere del popolo sovrano. La realtà è che la moneta unica è il sogno di una oligarchia mondiale per dominare il mondo.
Orazio
La svalutazione monetaria porterebbe un aumento di lavoro, forse, ma è qualcosa di verosimilmente utopico, poiché il lavoro aumenterebbe di una percentuale insignificante. Non ci si può paragonare affatto ai prezzi di costo della manodopera cinese. Gli stipendi cinesi sono aumentati del 10-15% e nonostante tutto, la rivalutazione riporta da un salario medio di 140 € mensili a soli 160-170€, e già è tantissimo, parlando in termini di salario medio. Nella svalutazione monetaria italiana, nessuno avrebbe uno stipendio così basso. Innanzitutto, si tradurrebbe in altri costi aggiuntivi per lo stato in misura di welfare, e soprattutto perché non ci sarebbero nemmeno questi risparmiatori pronti ad investire in un paese in cui il potere contrattuale estero si riduce e i tassi d’interesse non solleticano nemmeno le fantasie. L’aumento delle esportazioni non sta solo nelle svalutazioni. Le vie della crescita sono parecchie, nonostante l’euro sembra solo un’ombra nera. Bisogna imparare a saper sfruttare la situazione in cui ci si trova, piuttosto che vivere nei ricordi del passato.
Antonio Prova
“Ci sono più’ misteri in cielo ed in terra di quante la tua filosofia ne possa immaginare Orazio” Amleto – W.Shakespeare- Tu fai discorsi teorici ma nella pratica i paesi europei non aderenti all’euro sono in crescita: l’ultimo è l’Ungheria di Orban. E ti assicuro che Orban per questo viene chiamato dittatore: perché non vuole aderire all’euro; è venerato dal popolo ungherese e le ultime elezioni dove ha vinto con un largo consenso lo confermano. La moneta dev’essere proprietà dello Stato.
Roberto
Nella ridda di pro e contro, mi pare – da profano – di assistere ad una sorta di gioco di scommesse sui cavalli, ammantate di aggrovigliate considerazioni economiche-storiche-politiche, da entrambe le parti. Ovviamente, ad ogni argomento si oppone un contro-argomento. Bello. La cosa “divertente” è che nessuno degli scommettitori rischia niente, nessuno dice “mi gioco la testa se le conseguenze di ciò che propongo saranno catastrofiche”. Dico “mi gioco la testa” in senso reale, visto che evidentemente le idee in quella testa erano fasulle, ma anche semplicemente metaforico (“mi chiudo in convento e non parlo più”). Non hanno avuto la testa tagliata coloro che finora hanno gestito la politica economica e monetaria sia dell’Europa che dell’Italia, nonostante gli insuccessi drammatici, di sicuro non la avranno tagliata coloro che propongono alternative “radicali”, qualora generassero catastrofi: la colpa sarà sempre di “altri”, o magari del fato. Una cosa è certa, come insegna la Storia: chi è ricco e furbo comunque ne uscirà liscio, fresco e pettinato, chi non lo è finirà comunque affossato. Ma il bello è che proprio a quest’ultimo chiedono di “schierarsi” alle prossime elezioni, senza neanche offrirgli in ostaggio i figli, ma anche solo la suocera o il cane. Francamente, vorrei essere su Marte. Credo che il “cittadino qualunque” dovrebbe sentirsi angosciato, e comunque “usato”.
francesco
Interessante articolo sui problemi da affrontare in un eventuale (forse inevitabile) ritorno alla moneta nazionale. Sul merito della scelta secondo me il rischio è che il ritorno alle valute nazionali diventi a breve-medio periodo una scelta obbligata in quanto non sembra ci siano le condizioni socio-politiche per raggiungere gli obiettivi utopisticamente sponsorizzati e sognati dai pro-euro (attuale maggioranza in Europa), ovvero arrivare a quegli Stati Uniti d’Europa che permetterebbero di attenuare gli squilibri che si sono formati nell’eurozona. Tanto per far capire quanto siamo lontani basta pensare che non siamo riusciti neanche a fare delle regole comuni serie sulla vigilanza bancaria! Quindo la cosa importante più che discutere di euro sì o euro no sarebbe implementare un piano di euro-exit pronto all’uso in caso di evenienza per evitare che i problemi citati nell’articolo ci travolgano tutti insieme. Per esempio perché non iniziamo in accordo con gli altri paesi europei a stampare sulle banconote una bella bandiera nazionale? Se l’euro tiene fra 10 anni le mettiamo in circolazione e la bandiera sarà solo decorativa, se l’euro salta abbiamo già la nostra nuova moneta cartacea da distribuire alle banche pronta all’uso.
Maurizio Cocucci
La dissoluzione dell’euro è pura utopia e a nessun Paese converrà. Ora vi sono le elezioni europee e il miraggio di un possibile boom economico derivante dal ritorno alle valute nazionali viene invocato da più parti ingannando però i cittadini con argomentazioni ad effetto, ma che sarebbe sufficiente valutarle con attenzione per comprendere che sono solo propaganda elettorale.
“Se vinceremo le elezioni europee annulleremo il Fiscal Compact” oppure “Se vinceremo chiederemo l’uscita dall’euro”. Bene, le elezioni prossime riguardano il Parlamento Europeo il quale non ha alcuna competenza su entrambe le questioni in quanto esse sono dei trattati internazionali e non delle leggi parlamentari. Insomma, se anche dovessero vincere e ottenere la maggioranza assoluta gli euroscettici non solo non potrebbero dare seguito anche ad una sola delle promesse citate ma non potrebbero nemmeno discuterne visto che non hanno giurisdizione in materia. È il Consiglio Europeo (cioè i capi di Stato o di governo) che può modificare o cancellare un trattato oltre che concordarlo.
L’ipotesi di risollevare l’economia nazionale attraverso un incremento delle esportazioni, derivante da una neo valuta nazionale che perderebbe da subito valore rispetto alle altre dando così maggiore competitività ai nostri prodotti, è priva di consistenza. Intanto perché l’effetto sarebbe di breve durata (nel caso del 1992 durò 2 anni, poi dal 1995 la crescita delle esportazioni riprese il suo tasso medio di lungo periodo) e quindi le imprese conoscendo questo fattore non sarebbero incentivate ad investire per aumentare la produzione, ma si limiterebbero ad assumere personale precario attraverso i contratti interinali, si affiderebbero agli straordinari e preferirebbero ricorrere all’aumento dei listini piuttosto che investire somme ingenti a fronte di un ritorno temporaneo, temporaneo perché sanno bene che l’aumento dei costi sarebbe quasi immediato, così come quello dei tassi di interesse e quindi del costo del denaro per eventuali investimenti.
Nel 1992 si persero 650mila posti di lavoro nel triennio successivo e questo nonostante l’aumento delle esportazioni.
Pensare che svalutando una moneta si possano attrarre investimenti o che qualche azienda italiana rientri in Italia perché il costo del lavoro risulta a quel punto più conveniente è poco credibile. In Italia la media generale del costo orario del lavoro è, dai dati Eurostat, di 28,1 euro, quello della Polonia di 7,6, della Romania 4,6, della Slovenia 14,6 euro. Se davvero si vuole affrontare la questione occorre comprendere che le soluzioni vanno cercate altrove, non nella moneta ma sulla politica industriale e quella energetica che il Paese intende intraprendere. Serve investire in ricerca e puntare su prodotti innovativi e dall’alto contenuto di valore aggiunto.
La Germania questo ha fatto, i prodotti ‘poveri’ li ha tutti trasferiti altrove e si è concentrata su quelli tecnologici, puntando inoltre sulla qualità, non sul prezzo. In Cina la Volkswagen vende 2,4 milioni di autoveicoli, Audi 478.000, BMW 374.000, Fiat 43.000 (dati 2013 – fonte CeSIF). Non credo che sia la conseguenza di una moneta.
Antonio Castelli
Non capisco perché quando si parla di Italia ci si ostina cocciutamente a parlare solo ed esclusivamente della Fiat e a fare il paragone con la Volkswagen, come se la stragrande maggioranza dell’impresa italiana non fosse in realtà composta da piccole e medie imprese. Piccole e medie imprese le cui vendite languono intra-Italia per il crollo del mercato interno e languono extra-Italia perché vendono a un prezzo insostenibile a causa di una moneta non corrispondente alla nostra economia reale. Che un unione monetaria tra paesi così diversi e così rigida non funzioni e non possa funzionare è qualcosa che è sempre stato noto ed è ormai palese a tutti. Nessun economista ormai si sogna di dire che l’eurozona possa continuare a “funzionare” a lungo così come è adesso. Neanche i redattori di questo blog che sono tutt’altro che euro-scettici.
Assodato quindi che il sistema è insostenibile il dibattito dovrebbe spostarsi sul come sopravvivere al sistema. L’Unione monetaria europea ad oggi di fatto non è un unione ma è un sistema competitivo in cui chi non riesce a tenere il passo del più forte è destinato a soccombere e a sperimentare disoccupazione e deflazione. Il centro della discussione è sempre spostato sulla competitività dell’Italia, ma non eravamo in un’Unione? Perché dobbiamo “competere” con i tedeschi, non sarebbe corretto trovare un equilibrio di crescita armonica per tutti, non era scritto questo nei trattati? Vengo al punto sulla svalutazione. Concordo che la competitività di un paese non possa basarsi su svalutazioni competitive ma associare questa idea a quella dell’ euroexit è un’idea figlia di una prospettiva distorta. L’eurozona è una creazione liberista votata a limitare il più possibile il controllo sui flussi di capitali e a disciplinare i lavoratori. Nonostante ciò il più importante dei mercati quello valutario è bloccato su dei fondamentali troppo rigidi per alcuni e molto laschi per altri. Se i tedeschi sono così bravi a vendere Volkswagen in Cina come lei ricorda (ricordiamo però anche che la Germania è in deficit verso la Cina globalmente e che il grosso dei suoi profitti li fa grazie all’export intra-Ue).
IO
“Perché una cosa è uscire da un sistema di cambi fissi e un’altra è uscire da una unione monetaria.” No è la stessa cosa. L’Unione Monetaria è un sistema a cambi fissi.
“Prima che l’inflazione si rimangiasse il vantaggio competitivo.” Ma quando? Dopo la svalutazione del ’92 l’inflazione ha continuato a scendere. Il vantaggio competitivo è stato tolto dopo che nel 1997 abbiamo rivalutato il cambio per entrare nello Sme-2.
“Pensiamo invece a chi ha un debito a tasso variabile: in quale situazione verranno a trovarsi le famiglie che hanno contratto un mutuo indicizzato all’Euribor? Al confronto di quello che potrebbe succedere, il ricordo della vicenda dei mutui in Ecu impallidisce.” Il tasso di interesse verrà stabilito dalla Banca d’Italia e dal Tesoro. L’Euribor non è necessariamente detto che aumenti.
Tra l’altro se la terza economia dell’Unione se ne esce in maniera unilaterale non è che l’Euro rimane al suo posto: come minimo implode o cessa di esistere e quindi lo stesso indice Euribor non potrà che risentirne.
“Il problema è che il vantaggio per lo Stato-emittente si tradurrebbe in un impoverimento tale della popolazione da rendere difficilmente valutabili le conseguenze sulla vita sociale e democratica del paese.” Impoverimento peggiore di quello in corso attualmente?
“Non si dovrebbero quindi bloccare solo i movimenti di capitale con l’estero, ma si dovrebbe anche limitare la circolazione dei capitali all’interno, facendo marcia indietro rispetto all’idea di mercati competitivi e reintroducendo elementi di frizione (ad esempio costi fissi elevati per lo spostamento dei rapporti bancari o la chiusura anticipata dei contratti assicurativi) e di blocco perché l’estremo tentativo di proteggere il potere d’acquisto dei propri risparmi consisterà nel prelevare i contanti dal conto corrente prima che avvenga la ridenominazione.” Nessuno darà pubblico l’avviso prima della conversione. Si chiudono gli sportelli e si bloccano le transazioni per pochi giorni come hanno fatto a Cipro e poco prima della riapertura si dà l’annuncio.
La “chiavetta” può essere girata in un weekend, ma la preparazione richiederebbe settimane, se non mesi”. E chi le dice che non l’abbiano già preparata? Lo ha detto lo stesso economista Paolo Savona qualche anno fa all’Infedele: “Alla Banca d’Italia hanno già un piano per l’uscita dall’Euro. Sarebbe strano se non ce l’avessero. Ovviamente non ce lo diranno fino a quando l’uscita effettivamente ci sarà”.
L’Europa è una comunità a cui noi apparteniamo e che possiamo contribuire a cambiare, ma dobbiamo rispettare le regole di convivenza.” Le regole in Europa non le rispetta praticamente nessuno (Germania inclusa) mentre noi come dei servi dobbiamo andare a Bruxelles e Berlino a chiedere col cappello in mano delle deroghe che potremmo adottare da soli senza chiedere niente a nessuno (come del resto fanno gli altri).
Come hanno capito i greci e i portoghesi, le vie semplici non esistono”. Veramente ai greci è stato impedito di esprimersi in merito. Appena il loro Primo Ministro propose di indire un referendum sugli “aiuti” della Troika venne deposto e sostituito con un funzionario della Bce. In Portogallo la Corte Costituzionale (che a differenza della nostra fa il suo dovere) ha bocciato le riforme di austerity imposte dall’UE perchè incostituzionali. Come vede le cose vanno in maniera un po’ diversa da come lei le racconta.
“E l’abbandono dell’euro, che sembra la più semplice di tutte, rappresenterebbe il ritorno a un mondo che i ricordi di gioventù per molti colorano di rosa, ma i dati mostrano essere incompatibile con i livelli di benessere che abbiamo raggiunto e a cui teniamo”. Veramente il benessere lo abbiamo raggiunto con la Lira e con l’euro lo stiamo perdendo, tanto che i costi dell’uscita si stanno rivelando inferiori ai costi da sostenere rimanendoci dentro.