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L’affido condiviso, una legge inapplicata*

La legge 54 dispone l’affido condiviso dei minori in caso di separazione dei genitori, come avviene da tempo in altri paesi. L’introduzione della norma ha modificato le decisioni dei magistrati? I risultati di uno studio condotto su circa 900mila sentenze dei 165 tribunali civili dal 2000 al 2010.
LA LEGGE 54 DEL 2006
La legge sull’affido condiviso dispone che “anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con i parenti di ciascun ramo genitoriale” (articolo 1). Rispetto alla prassi prevalente – minori affidati alle madri nella stragrande maggioranza dei casi; padri relegati a ruoli marginali nei processi educativi e di crescita dei figli – la legge rappresentava, alla sua entrata in vigore, una dichiarazione di straordinario contenuto innovativo.
Per realizzare l’obiettivo sancito dall’articolo 1, la legge contiene una lunga serie di disposizioni. Alcune sono a carattere maggiormente prescrittivo: qui la discrezionalità dei magistrati è limitata. È il caso, ad esempio, dell’assegnazione formale dell’affidamento condiviso, che il giudice è tenuto a effettuare in via prioritaria rispetto all’affidamento esclusivo.
Altre disposizioni stabiliscono dei principi, lasciando però ai giudici il potere di tradurli in sentenze. L’esempio principale riguarda i tempi e le modalità concrete delle presenza dei minori presso ciascun genitore. Un altro esempio è quello del mantenimento dei figli, per cui si contempla la possibilità del supporto diretto per capitoli di spesa, lasciando allo stesso tempo al giudice il potere di decidere la corresponsione di un assegno mensile, che non prevede obblighi di rendicontazione, di una parte a favore dell’altra. (1) Un altro esempio ancora è quello dell’attribuzione della casa coniugale, che nel vecchio regime seguiva abbastanza automaticamente l’affidamento dei minori alle madri, e che le nuove regole subordinano invece all’obiettivo della salvaguardia del rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori. (2)
LA LEGGE E LE SENTENZE
Un nostro lavoro recente ha verificato in che misura l’introduzione della legge ha modificato le sentenze dei magistrati. (3) Il lavoro utilizza i dati raccolti per ciascuna causa di separazione dalle Cancellerie dei tribunali, successivamente trasmessi all’Istat. La nostra base dati si compone di poco meno di 900mila sentenze, cioè la totalità di quelle emesse dai tribunali italiani dal 2000 al 2010.
Alcuni risultati dello studio sono riepilogati nella tavola 1. Nella prima colonna sono descritte alcune variabili che misurano aspetti su cui la legge intendeva promuovere un cambiamento. Nella seconda si riporta il tipo di cambiamento auspicato dalla norma. Nella terza viene indicato quello che emerge dalle decisioni dei giudici.
Dalla tavola si evince che l’assegnazione formale dell’affido condiviso ha trovato effettiva applicazione. Per gli altri aspetti, quelli per cui la legge lascia discrezionalità ai magistrati, è come se la legge non fosse mai stata approvata: la casa coniugale va alle madri, ancor più che prima della riforma; non vi è nessuna evidenza che i magistrati abbiamo accolto le disposizioni che rendevano possibile il mantenimento diretto per capitoli di spesa, a scapito dell’assegno.
Tavola 1. Alcuni effetti della legge 54 sulle sentenze di separazione
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Fonte: de Blasio e Vuri (2013)
Purtroppo, tra i dati raccolti dalle cancellerie non vi è l’indicazione di quello che i giudici decidono con riferimento al tempo che i minori possono trascorrere con ciascun genitore. Tuttavia, è difficile immaginare che qualcosa sia cambiato su questo punto, visto che le altre disposizioni della legge che innovavano rispetto al passato non sono state applicate e che le disposizioni non applicate erano comunque intese come strumentali al raggiungimento del rapporto equilibrato del minore con entrambi i genitori. (4)
I nostri risultati mettono in luce anche ulteriori aspetti. Per effetto dell’introduzione della riforma è aumentata la frazione di padri obbligati a versare l’assegno di mantenimento per il coniuge (con una piccola riduzione del suo importo). Si noti che la legge 54 non fornisce disposizioni circa l’assegno di mantenimento del coniuge.
Le decisioni dei magistrati sono state diverse, a seconda che il procedimento sia stato di natura consensuale oppure giudiziale. Nel secondo caso, in cui ancora maggiore è la discrezionalità dei magistrati, le sentenze sono risultate ancora più lontane dai principi della legge 54 (rispetto alle consensuali, nelle giudiziali è più elevata la probabilità che alla madre venga assegnato l’affidamento esclusivo e la casa coniugale; è più probabile che i padri siano tenuti alla corresponsione di un assegno sia per i minori sia per il coniuge; è più elevato l’ammontare degli assegni).
Stabilendo i costi e i benefici che derivano dalla separazione, le sentenze modificano gli incentivi dei genitori a separarsi. Per effetto dell’introduzione della legge 54 e del tipo di applicazione che la magistratura ne ha fornito, è aumentata la frazione di donne che decide di separarsi, avviando a tal fine un procedimento legale.
È infine aumentata la litigiosità (misurata attraverso la frazione di procedimenti non consensuali) ed è anche aumentata l’inefficienza degli uffici giudiziari (misurata col tempo che un magistrato impiega dal giorno in cui il procedimento viene avviato a quando la sentenza viene emessa).
In definitiva, il quadro che emerge è quello di sentenze molto lontane dai principi della legge.
A questa situazione è possibile che si accompagnino costi di tipo sociale anche ulteriori rispetto a quelli che si possono documentare con i nostri dati. Ad esempio, la maggiore discrezionalità lasciata ai giudici con riferimento ai tempi è molto probabile che abbia dato luogo a un maggiore ricorso da parte dei magistrati a consulenze di tipo psicologico, che avvengono spesso con modalità ed esiti discutibili. È altresì verosimile che all’incremento della litigiosità concorrano condotte professionali deontologicamente riprovevoli, che la legge 54 potrebbe aver incentivato nella misura in cui ha conferito maggiore discrezionalità ai giudici, rendendo meno prevedibili le sentenze.
La letteratura, non solo economica, ha mostrato che, nei paesi in cui la disciplina viene attuata, l’affido condiviso garantisce una lunga serie di benefici.
In primo luogo, i benefici sono per i minori, per i quali si riducono i costi emotivi relativi alla dissoluzione del loro nucleo familiare e che ottengono migliori risultati scolastici. (5) Ma se ne avvantaggiano anche i loro genitori e la società nel suo complesso: aumentano infatti gli indici di nuzialità e quelli di natalità e la partecipazione femminile al mercato del lavoro. (6) La non applicazione della legge in Italia comporta che questi benefici non si materializzeranno.
CAUSE E RIMEDI
Il nostro studio non consente di decifrare con certezza le cause della mancata applicazione della legge 54. O meglio, consente di scartare un’ipotesi: quella per cui la sua non applicazione riflette null’altro che la documentata inefficienza degli uffici giudiziari italiani. (7) I nostri risultati sono compatibili con l’esistenza di una discriminazione di genere (a sfavore dei padri) nelle decisioni che riguardano l’affidamento dei minori. (8) Non possiamo tuttavia provarla, perché i dati non riportano il genere del magistrato. L’aneddotica conduce a ritenere che il numero di magistrati-donna rappresenti la maggioranza di quelli che si occupano di separazioni e minori, e questo potrebbe essere un elemento a favore dell’esistenza di una discriminazione di genere.
Per quanto riguarda i rimedi, la nostra analisi mostra che la discrezionalità lasciata ai magistrati ha generato un danno. Potrebbe essere opportuna, allora, una riformulazione della legge che la limiti, stabilendo, ad esempio, linee guida per tempi di frequentazione e supporto finanziario dei minori. Laddove la ricerca successiva dovesse mostrare che effettivamente esiste una discriminazione di genere, l’ovvia ricetta consisterebbe nell’avere una composizione dei giudici più equilibrata per genere: in questo caso, potrebbe anche non essere necessario sacrificare la discrezionalità per ottenere sentenze in linea con la legge.
* Le idee e le opinioni contenute in questo articolo riflettono esclusivamente quelle degli autori e non sono in alcun modo riferibili alle Istituzioni a cui gli stessi appartengono.
(1) Si veda Maglietta (2006) L’affidamento condiviso dei figli, Franco Angeli, Milano. Il mantenimento diretto per capitoli di spesa ha notevoli vantaggi rispetto all’assegno mensile, che può comportare inefficienze e rendite parassitarie.
(2) Si veda Gaglione e Malfettani (2008) L’affido condiviso, Esselibri – Simone, Napoli.
(3) Guido de Blasio e Daniela Vuri, “Joint Custody in the Italian Courts”, IZA DP n. 7472, http://ftp.iza.org/dp7472.pdf.
(4) Nel nostro lavoro si mostra, in termini quantitativi e attraverso metodologie rigorose, quello che l’opinione pubblica italiana già immagina, anche se solo sulla base di evidenze aneddotiche. Si veda, ad esempio, http://italia.panorama.it/Separazioni-e-affido-padri-scippati oppure http://www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/affido-condiviso-purtroppo-teoria.aspx.
(5) Si veda, rispettivamente, Bauserman R. (2002) “Child Adjustment in Joint-Custody Versus Sole-Custody Arrangements: A Meta-Analytic Review”, Journal of Family Psychology, e Teng Wah L. (2009) “From Maternal Preference to Joint Custody: The Impact of Changes in Custody Law on Child Educational Attainment”, Mimeo, St. Francis Xavier University.
(6) Sui benefici per i genitori si veda ad esempio, Nunley J.M. and Seals A. (2011) “Child-Custody Reform, Marital Investment in Children, and the Labor Supply of Married Mothers”, Labour Economics, e Allen B., Nunley J.M., and Seals, A. (2011) “The Effect of Joint-Child-Custody Legislation on the Child-Support Receipt of Single Mothers”, Journal of Family and Economic Issues. Quanto ai vantaggi per la società in generale, i riferimenti sono: Brinig, M. F. and Buckley F.H. (1998), “Joint Custody: Bonding and Monitoring Theories”, Indiana Law Journal; Halla M. (2013) “The Effect of Joint Custody on Family Outcomes”, Journal of the European Economic Association; Halla M. and Höltz C. (2007) “Bargaining at Divorce: The Allocation of Custody”, IZA DP 7064; Böheim R., Francesconi M., and Halla M. (2012) “Does custody law affect family behavior in and out of marriage?”, IZA DP 7064.
(7) Si veda, ad esempio, World Bank (2012) “Doing Business. Smarter Regulations for Small and Medium Sized Enterprises”, Washington D.C.
(8) Tra i motivi che hanno determinato il ritardo della legislazione italiana rispetto a quella di altri paesi, Maglietta (op. cit., p. 21) richiama esplicitamente l’“arcaica e autolesionistica concezione della donna come parte debole che trova nel privilegio dell’affidamento ‘esclusivo’ dei figli una forma di tutela da tenere stretta”. Per l’Austria vi è evidenza che i giudici di genere femminile siano meno propensi all’affidamento condiviso (si veda, Halla M. and Höltz C., 2007, “Bargaining at Divorce: The Allocation of Custody”, IZA DP 7064.

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13 commenti

  1. Diego Alloni

    Lontano dal lavoro scientifico (comunque chiedendo perchè la Bocconi ed altre facoltà economiche studino le ovipare della Val Teresina e mai la microeconomia delle famiglie separate), ma vicino alla realtà dei miliardi di euro in assegni di mantenimento per (?!) i figli e delle decine di miliardi di trasferimenti (requisizioni?!) immobiliari che ogni anno vengono comminati ai papà separati (dai figli), è ipotizzabile che i tribunali siano i principali bracci del mercato che impone queste transazioni col ricatto dei figli. E’ di tali transazioni che vivono le rendite, non solo di avvocati e consulenti (vd. la denuncia della Cancellieri), ma anche dei venditori di servizi, che non solo vedono raddoppiate utenze e beni domestici, ma che obbligano i tribunali all’impossibile (a parità di redditi) “mantenimento del tenore di vita”, cioè il mantenimento dei flussi finanziari.
    Un appunto sulle (auspicabili) linee-guida: nel 2004 vennero elaborate e diffuse dai magistrati di famiglia e discutevano se e come assegnare la seconda casa alle signore, già ricompensate con la prima casa per aver chiesto la separazione.
    Il tutto nel “supremo interesse dei minori”, di cui è rimasto solo il “supremo interesse”, in quanto i bambini non li fa nascere più nessuno.

  2. AM

    Fra le cause di aumento significativo delle separazioni (spesso su richiesta della moglie) e della maggiore litigiosità vorrei ricordare la presenza di una massa di avvocati in cerca di lavoro, alcuni dei quali agiscono con grande spregiudicatezza adescando potenziali clienti e spingendo alla rottura matrimoni che si sarebbero potuti salvare. E anche dopo la rottura del matrimonio questi avvocati puntano per la separazione giudiziale e buttano benzina sul fuoco degli interessi e dei sentimenti dei coniugi per aumentare la litigiosità e di conseguenza i loro proventi.

    • G.C.

      Per rispondere ad AM: non sono convinto che siano gli avvocati la vera causa dell’aumento delle separazioni, considerato l’indice di litigiosità fra i coniugi, soprattutto da parte delle signore (e non è una constatazione di parte questa!) . Piuttosto, sono discutibili le loro tariffe per ottenere una separazione consensuale. Ricordo che tale separazione è frutto di un accordo fra coniugi, dove l’avvocato si limita soltanto a presentare la documentazione in Tribunale alla stregua di una qualsiasi agenzia di mediazione delle pratiche. Ricordo, inoltre, che non occorre la presenza di un legale per presentare la domanda di separazione, ma che, con un po’ di buona volontà, può essere stilata, con tutte le condizioni del caso, anche da entrambi i coniugi o da chicchessia che li aiuti. Per esperienza personale, a suffragare AM, posso confermare che nella mia separazione, in fase di accordo con mia moglie, nel momento in cui sorse qualche dubbio sulle statuizioni, l’avvocato cominciò a spingere dicendo che la causa non era più una consensuale ma stava diventando una giudiziale! E, per la cronaca, ho sborsato 1700 € (ne voleva 2000 il bandito) per un lavoro di mera trascrizione (fatta male trall’altro) delle condizioni! Questo da parte mia! Mia moglie ha pagato altrettanto! A saperlo l’avrei copiata da internet! Potrei portare tutta una serie di esperienze negative che hanno vissuto alcuni miei amici separati, ci sarebbe da scrivere un trattato. La verità è che se non si supera il concetto di matrimonio come inizio di un amore eterno e altre stronzate fondamentaliste cattoliche e vetero femministe dove la donna appare (per convenienza) come la vittima sacrificale di un sistema costruito sull’uomo, non si riuscirà a comprendere la vera natura del matrimonio che è quella di un contratto e basta (l’amore finisce ma le condizioni contrattuali restano). Ed è proprio questo alla fine quello che rimane quando si va’ davanti al giudice consensualmente o giudizialmente, solo allora ci accorgiamo di avere stipulato quel giorno sull’altare un contratto … molto spesso ahimè con clausole capestro per molti.

      • AM

        Visto che GC cita un caso personale, vorrei aggiungere che in una separazione che riguarda da vicino la mia famiglia una giovane moglie straniera è stata come plagiata e spinta alla rottura del matrimonio e alla separazione giudiziale, pur in presenza di una controparte assai conciliante e disponibile ad assumersi in toto il carico della prole, da un avvocato che si fingeva amica e che invece mirava a incassare compensi di migliaia di euro ai due coniugi. Denaro che è stato diviso con i periti e consulenti.

  3. mariannabonina

    Non credo che sia dovuto alle giudici donne nell’ambito del diritto minorile la prevalenza dell’affido esclusivo o condiviso con maggiore tempo da passare con la madre:le ricerche svolte altrove,come quella citata nella bibliografia,dovrebbero essere supportate dalla pratica dell’osservazione ,delle interviste,dei dati dei tribunali.Il matrimonio c’entra con la natalità per tradizione ,ma la natalità può esserci senza matrimonio e allo stesso modo ci possono essere questioni per l’affido se condiviso o meno .Gli avvocati spingono probabilmente spesso verso il conflitto,ma la decisione di separarsi o di divorziare dovrebbe prescindere dagli avvocati perché è una libertà che le persone possono esercitare e non vi è nulla di allarmante.I più bassi risultati scolastici dei figli di separati,divorziati ,magari anche di non sposati e di nuclei monogenitoriali per altri motivi,sono spesso dovuti al fatto che le performance scolastiche di figlie e figli di genitori non in coppia vengono valutate di meno,per “punire” la presunta libertà “in più” che quelle donne ,quegli uomini si sono “presi” non diventando ,o rimanendo nel caso di separazioni e divorzi,coppia per il solo fatto di essere genitori e della stessa figlia/figlio per giunta. E’ giusta l’ipotesi di provvedimento che chi da gli assegni di mantenimento all’ex coniuge per figlia/figlio li dia per capitoli di spesa ,come è giusto che in linea teorica un padre possa accudire anche figli molto piccoli e non solo da quando deve occuparsi dell’ “educazione”,ma resta il problema che l’affido condiviso significa mantenere rapporti con l’ex che molte donne non vogliono ,significa dovere comunicare residenza ,attività,abitudini a qualcuno che non si vuole più .E siccome agli uomini viene data dall’opinione comune più libertà di controllo ,la separazione o il divorzio non hanno molto senso se comunque bisogna mantenere dei rapporti “sociali” per la condivisione dei figli. D’altronde se una donna avesse l’affido con minori periodi,ore ,probabilmente sarebbe trattata peggio ,le sarebbero dati più ordini dall’ex,sarebbe criticata anche come madre molto più che un ex come padre,nonostante tutt’ora si favorisca da un punto di vista legale la donna.Ma se la donna fosse in una condizione di svantaggio ,come era quando il divorzio era stato approvato da poco, o quando non era previsto se non in altre forme e per volontà del marito,probabilmente rischierebbe di più di un uomo come madre. Quanto all’abitazione dipende dalle coppie:perché se è un uomo che viene considerato persino dagli studi (che forse incoraggiano la pratica ,in presenza di candidati sposati ad avvantaggiare l’assunzione di uomini perché sposate, e a non assumere donne se sposate )quello che di sicuro ha il lavoro ,probabilmente sarà quello che paga ad esempio un affitto,per cui la casa non credo che andrebbe alla donna neanche con figli mentre l’uomo continuerebbe a pagare l’affitto nella casa in cui non abiterebbe e di cui avrebbe però il contratto intestato solo a lui!

  4. papere

    trovo questa ricerca francamente discutibile: mettere sullo stesso piano separazioni giudiziali e consensuali già la dice lunga sul metodo.
    Tanto per essere precisi nel caso di una separazione consensuale il giudice non emette alcun provvedimento ma si limita ad omologare un verbale liberamente sottoscritto dai coniugi.
    E sempre per amor di verità le separazioni consensuali (frutto di accordo dei coniugi) sono a detta dell’ISTAT nel 2011, l’84,8% delle separazioni (http://search.istat.it/search?q=separazioni+consensuali&btnG=Cerca&output=xml_no_dtd&client=istat_fe&proxystylesheet=istat_fe&proxyreload=1&sort=date%253AD%253AL%253Ad1&oe=UTF-8&ie=UTF-8&ud=1&site=istat_it&submit.x=0&submit.y=0&ulang=it&entqrm=0&entsp=a__istat_policy&exclude_apps=1)

  5. giovanni

    Dissentirei dal punto in cui si afferma: “Si noti che la legge 54 non fornisce disposizioni circa l’assegno di mantenimento del coniuge.” In realtà all’art. 1 della legge 54 è espressamente previsto che il giudice “stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità [nel mantenimento dei figli da parte dei genitori]”. Tale previsione però è in chiaro subordine alla possibilità che i genitori provvedano direttamente al mantenimento dei figli “in misura proporzionale al proprio reddito”. L’istituto del contributo diretto non viene però quasi mai applicato dai giudici preferendo stabilire un assegno di mantenimento calcolato, grossolanamente e “per far prima”, da giudici e avvocati secondo la seguente formula: reddito marito – reddito moglie / 2. Se la cifra risultante è positiva, essa è la somma mensile di cui potrà godere la madre (nella quasi totalità dei casi assegnataria dei figli), senza avere l’obbligo di rendicontare alcunché nella gestione di tali risorse né al marito né al giudice. Se la cifra risultante è uguale a zero o negativa, si interverrà allora sulla riduzione dei tempi di permanenza dei figli presso il padre, in tal modo comunque imponendo la corresponsione di un assegno mensile in ragione dei presunti maggiori tempi di cura a carico della madre. Un ulteriore aspetto, che è da approfondire e denunciare, è che l’affido congiunto viene immediatamente disatteso quando nelle sentenze si stabilisce che i figli sono comunque “assegnati” ad un genitore (quasi sempre la madre). Tale “assegnazione” implica che I figli assumono la residenza anagrafica presso la madre, costituendo un nuovo nucleo familiare, valevole per le dichiarazioni Isee e le agevolazioni fiscali e contributive e la provvisione di servizi socio-sanitari (non solo a favore dei figli ma anche propri). Il padre invece si trova a “costituire” un nucleo familiare a sé, unipersonale, formalmente senza figli a carico (in quanto non residenti presso di lui), e con spese nuove per assegno familiare e per nuova abitazione (quest’ultima fra l’altro ampia abbastanza per ospitare e curare i propri figli nei giorni di affidamento). Fra tali ingiustizie (che sarebbero da denunciare ben più di quanto avviene oggi), la più scandalosa riguarda l’evidente compressione del diritto del bambino a mantenere, come prevedeva la legge 54 (ma anche la Dichiarazione Mondiale dei Diritti del Fanciullo del 1959), un rapporto equilibrato con i suoi genitori, e quindi paritario sia nel tempo formale di permanenza, sia nella ricezione sostanziale di cura, educazione e istruzione. E’ forse arrivato il momento che queste ingiustizie, ormai così tanto diffuse, siano da portare ad oggetto di ricorsi presso Tribunali Internazionali come la Corte di Giustizia Europea o
    la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo.

  6. G.C.

    Condivido appieno quanto affermato dal lettore AM sul contributo (negativo) degli avvocati in queste vicende, anche se poi spesso la litigiosità fra i coniugi è sufficiente a portare ad una causa giudiziale. Per quanto riguarda poi l’assegno, sia al coniuge che ai minori, è sufficiente a motivare le mogli a spingere per la separazione, Considerata anche la gran mole di lavoro nero (soprattutto femminile) esistente in Italia, è facile da un lato incassare un assegno e dall’altro lavorare senza risultare alle leggi e allo Stato. Non è un caso che poi siano più uomini a chiedere poi il divorzio. E non è neanche un caso che siano le mogli a volere l’affido dei minori che gli consente di avere un assegno quasi mai rendicontato. Direi che c’è una grande discriminazione nei confronti dei padri … ma di questo la Signora Boldrini e compagnia “sinistra” cantante si guarda bene dal parlarne, in nome di un femminismo ideologico e vendicativo nei confronti del genere maschile, che apparenta (per convenienza) gli uomini italiani ad alcuni maniaci picchiatori e assassini (persone in fondo malate) o fondamentalisti islamici stranieri e con i quali non hanno nulla a che vedere i tanti padri onesti che vivono in Italia e che sono vittime di una cultura pseudoprogressista e di un sistema giustizia medievale.
    Mi consenta però l’articolista di dissentire sul fatto che i giudici donna siano più indulgenti verso il proprio genere. Anzi direi che è proprio il contrario per quello che ho potuto constatare tramite l’esperienza di amici. Forse conoscono meglio i propri polli …

  7. T Smith

    La magistratura sta violando la legge sulla pelle dei bambini. Primo passo: far condannare l’Italia presso la Corte Europea per i Diritti Umani. Secondo passo: proteggere i figli ai senso dell’articolo 54 del codice penale

  8. EC

    Ho letto sia l’articolo che i vari commenti: per chi ci è passato, e tuttora ne è dentro dopo tre anni, non è così facile.
    Come genitore separato non mi è mai stata chiesta nessuna dichiarazione dei redditi né è stata chiesta all’altro genitore; sono passata attraverso una CTU psicologica a carico di tutto il nucleo familiare e un percorso di mediazione familiare di nove mesi imposto da un Tribunale…il risultato di tutto ciò?
    Ebbene ho l’assegnazione della casa (o meglio del 50% visto che la metà è intestata a me con relativi pagamenti e non per comunione dei beni), ma a fronte di questo mi devo confrontare con un altro genitore che ha gravi problemi psicologici certificati da un tecnico del Tribunale, e nessuna autorità si è presa la responsabilità di obbligarlo ad uno serio percorso di psicoterapia, a danno sia mio che dei minori. Ricevo un mantenimento che copre a stento il 30% dei costi vivi dei minori, e il Decreto definitivo emesso dal Tribunale non viene rispettato dato che il genitore non affidatario vuole frequentare i figli solo quando gli è comodo….ma anche tutto questo non dovrebbe finire sul tavolo della Corte Europea e proteggere i minori da comportamenti lesivi per il loro sviluppo futuro?

  9. Andrea Mazzeo

    La premessa (L’affido condiviso, una legge inapplicata) è clamorosamente falsa e ce lo dicono le statistiche ufficiali: nel 90,3% delle separazioni viene dato il condiviso (dati ISTAT 2011: http://www.istat.it/it/archivio/91133).

  10. Fabio Nestola

    concordo perfettamente con le conclusioni degli autori
    l’affido condiviso viene formalmente disposto nella quasi totalità dei casi, ma le misure applicative sono sovrapponibili al modello di affido esclusivo.
    Viene restaurata la figura del genitore prevalente, esattamente ciò che il Legislatore intendeva eliminare
    Uno studio approfondito, col dossier sulla modulistica ed altre strategie di deroga dal condiviso, è disponibile al link
    http://www.psychomedia.it/pm/grpind/separ/ABO_LOHA_NESTOLA.pdf

  11. Tiziana Pepe

    Concordo con quanto detto dal Sig. Fabio Nestola. Facile parlare di applicazione della legge sull’affido condiviso, come altrettanto facile far finta di non sapere che si tratta di un affido condiviso falso, dove viene introdotta la figura del genitore prevalente, che altri non è che il genitore affidatario dell’affido esclusivo!!!

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