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Culle vuote: i dati che ne spiegano le cause

La popolazione italiana continua a diminuire. Tra le ragioni del fenomeno, ci sono le difficoltà delle giovani donne sul mercato del lavoro e la mancanza di adeguati servizi per l’infanzia. Fa bene dunque il governo a pensare a una soluzione complessiva.


I numeri della denatalità

La popolazione residente in Italia continua a diminuire – meno 116 mila persone su base annua a gennaio – con un progressivo ampliamento del saldo negativo tra nascite e decessi. Nel 2019 sono nati 67 bambini ogni 100 persone decedute. Solo dieci anni fa, il rapporto era quasi alla pari, 97 a 100. Segnala l’Istat che se il saldo migratorio non fosse ancora positivo, anche se in misura decrescente, il ricambio della popolazione apparirebbe compromesso.

La bassa e ancora declinante natalità è innanzitutto la conseguenza del forte assottigliamento delle coorti in età potenzialmente fertile, contro un innalzamento delle speranze di vita che ingrossa le file delle coorti più vecchie. A questo vincolo puramente demografico si deve aggiungere, tuttavia, il perdurare di un tasso di fecondità che, con 1, 26 figli per donna, si avvicina al livello finora più basso, toccato nel 1995 (1,2).

Le difficoltà delle donne

La piccola ripresa della fecondità che aveva segnato gli anni a cavallo del nuovo millennio, infatti, è stata fermata dalla crisi iniziata nel 2008, che ha colpito particolarmente le generazioni più giovani, in difficoltà nel formare una famiglia, stante quelle che incontrano a entrare nel mercato del lavoro e ad assicurarsi redditi decenti e ragionevolmente sicuri.

Difficoltà che accomunano uomini e donne, ma che per queste ultime presentano il rischio aggiuntivo degli effetti di una possibile maternità, quali il mancato rinnovo di un contratto di lavoro a termine per le lavoratrici dipendenti, o l’essere considerata lavoratrice “a rischio” da un potenziale datore di lavoro perché madre, o ancora di perdere clienti se lavoratrice autonoma. La diffusione di rapporti di lavoro temporanei e precari, particolarmente concentrati tra i giovani in generale e le giovani donne in particolare, ha inoltre ampliato, anche tra le lavoratrici nella economia cosiddetta formale, il numero di quelle che non hanno accesso all’indennità di maternità, o che vi hanno diritto solo in misura irrisoria.

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A questi rischi e difficoltà si aggiunge quella della conciliazione tra maternità e lavoro per il mercato, stante una organizzazione del lavoro non sempre amichevole nei confronti di chi ha la responsabilità di bambini piccoli e la scarsità, oltre che il costo, dei servizi per la prima infanzia. Pur tenendo conto dei nidi convenzionati, di quelli privati e delle sezioni primavera nelle scuole per l’infanzia, il livello di copertura arriva al 25 per cento, con grandi differenze tra regioni e tra Centro-Nord e Mezzogiorno. Secondo i dati dell’Ispettorato del lavoro, oltre il 70 per cento di chi lascia volontariamente il lavoro lo fa a causa della difficoltà a conciliarlo con la maternità. I numeri aiutano anche a capire come mai oggi le donne tra i 35 e i 39 anni facciano più spesso figli di quelle tra i 25 e i 29 anni e le ultra-quarantenni ne facciano come le 20-24enni. Man mano che le donne, e ancor più i loro compagni, si stabilizzano nel mercato del lavoro e migliorano il proprio reddito possono affrontare con maggiore serenità i rischi, e i costi, di un figlio o di un figlio in più.

I dati aiutano anche a capire perché, contrariamente a qualche decennio fa, il tasso di fecondità sia un po’ più alto al Nord (1,36) rispetto al Centro (1,25) e al Mezzogiorno (1,26). In parte contribuisce sicuramente la più forte presenza di stranieri nelle regioni settentrionali, dato che la fecondità tra le straniere, ancorché in calo, è più alta (1,89) che tra le autoctone (1,22). Contribuisce tuttavia anche un contesto economico più favorevole, con tassi di occupazione femminile più elevati e un’offerta di servizi comparativamente più generosa.

Necessità di un “family act”

Di fronte a questa situazione, si deve guardare con favore non tanto alla rituale proclamazione della centralità della famiglia da parte del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, quanto alla promessa della ministra Elena Bonetti di definire in tempi brevi un family act (al di là dell’inutile inglesismo) comprensivo, entro cui collocare in modo coordinato la riorganizzazione del sistema frammentato dei sostegni economici legati alla presenza di figli, il rafforzamento del sistema dei congedi di maternità e genitoriali (sperabilmente anche alla luce delle condizioni di lavoro e contrattuali non standard di molte lavoratrici e lavoratori), l’ampliamento dell’offerta di servizi socio-educativi di qualità e accessibili.

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Giacciono in parlamento diverse proposte di legge che affrontano l’uno o l’altro di questi temi. Sarà opportuno che i vari proponenti e la ministra cooperino per arrivare a un disegno complessivo comune, anche ascoltando le riflessioni e proposte che provengono da soggetti della società civile che su questi temi lavorano da anni e che a loro volta stanno facendo lo sforzo di coordinarsi e cooperare – si veda ad esempio l’Alleanza per l’infanzia – invece di competere per qualche diritto di primogenitura.

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Il Punto

21 commenti

  1. Emanuele Ranci Ortigosa

    Ancora una volta il tuo articolo è insieme sintetico e completo nell’individuare i dati significativi e i diversi fattori incidenti sul fenomeno. Una competenza scientifica e comunicativa che si conferma su un tema a te caro e notissimo,
    Emanuele Ranci

  2. Catullo

    Nessun intervento a favore delle famiglie è stato fatto negli ultimi anni, se il tema è così sentito forse sarebbe il caso che governi di ogni colore pensino a qualche serio intervento. Casi di ripresa della maternità in altre nazioni sono a ricordarci che alcune ricette funzionano Francia, Nuova Zelanda, paesi del Nord Europa ed ultimamente Russia. Dubito però che in Italia qualcuno sia seriamente preoccupato di questo problema.

  3. Francesco

    errore.
    La popolazione italiana cala perche’ non esiste mercato del lavoro in italia cosa che fa scappare decine di migliaia di persone preparata ogni anno.
    A differenza di quanto avvenuto in Argentina, USA, Australia e paesi europei dopo la guerra l’immigrazione non va a riempire vuoti (geografici o di forza lavoro) ma attrae badanti, gente senza alcuna preparazione lavorativa che non integra, ma sostituisce la parte istruita.
    Rimane curioso la distonia tra numero popolazione accettabile per un territorio (quindi i proclami contro la sovrappopolazione, causa prima dei problemi ambientali) e l’anelito a ripopolare aree che in passato hanno dimostrato di non poter sostenere eccessi di popolazione.
    Sembra che il modello adeguato per alcuni sia il modello Cairo, Calcutta o Hong Kong.

    Non e’ il tasso di natalita’ il problema ma l’anelito a creare una societa’ di vecchi

  4. Monica

    La principale sfida, lo dico da madre di tre figli e lavoratrice full time, è di pensare oltre al congedo e oltre al nido, perché i figli crescono, dopo i tre anni non sono autonomi, l’organizzazione familiare diventa difficile, specie se non si ha la famiglia vicino. Sono previsti pochi giorni di permesso non retribuito fino a 8 anni (come se da 8 anni in su il bambino possa star a casa da solo). Le scuole finiscono ad orari che non sono conciliabili con gli orari di lavoro, su cui si innestano tutte le attività per il benessere dei bambini come lo sport – utili anche per prevenire i costi sociali dell’obesità – che sono tutti costi economici e organizzativi ribaltati sulle famiglie. Solo i posti nido e l’ingresso delle donne nel lavoro non spiegano il fenomeno. Bisognerebbe iniziare a pensare che i figli non sono solo un investimento dei genitori, ma della collettività, visto che pagheranno le pensioni anche di chi decide legittimamente che non ne vuole. Un dato fondamentale e importante è anche la situazione economica di una famiglia al crescere del numero dei suoi componenti, come rilevano le ultime statistiche, oltre ai dati sulla povertà infantile, che sono segnali da leggere per comprendere meglio.

    • Sino a quando non vi sarà una riforma sulla legge dei divorzi, affidamento dei figli, assegnazione della casa, assegni di mantenimento e pene severe per chi accusa falsamente i padri, gli uomini non si sposeranno più e non vorranno più fare figli. Questo è il vero motivo del calo demografico.
      Si parla sempre di donne ma degli uomini non se ne parla mai. Come se i figli li facessero solo le donne, senza il contributo degli uomini.
      Mettetevelo in testa. Tutto il resto sono chiacchere!!!

  5. Fabio Rosi

    So che di questi tempi NON è politicamente corretto segnalarlo, ma personalmente a me piace andare contro-corrente, sopratutto per amore della verità.
    Ebbene NON sono per nulla contento dei dati statistici evidenziati dalla Prof.essa Saraceno, ma per onor del vero bisognerebbe anche includere nei dati citati anche il numero di bambini abortiti, che, pur non arrivando alla parità sicuramente contribuirebbero a limitare questi numeri così preoccupanti.
    Così continuando, potrebbe anche capitare in futuro che verranno poste restrizioni all’applicazione della legge 194 proprio per evitare la rapidissima decrescita che si sta verificando in Italia !
    E chi pensa che gli immigrati risolvano la cosa, NON ha capito nulla…

    • Henri Schmit

      Non capisco. L’aborto è un diritto. Punto. Inoltre è sempre un trauma per la donna, e non solo. L’alto numero di medici obiettori di coscienza è una vergogna per la categoria e per il paese. Spetta allo Stato garantire i diritti. Quindi – per assurdo – l’unica politica pubblica accettabile per limitare gli aborti è proprio quella che propone la professoressa: sostenere la maternità in tutte le sue forme (cioè pensando soprattutto alle madri single) e sviluppare i servizi all’infanzia.

      • L’aborto è la vergogna, non il diritto.
        In un mondo in cui ci sono tutti gli strumenti anticoncezionali affidabilissimi ed in cui tutti sono informati di come funzionano, perché si deve ricorrere all’aborto a meno che non ci siano problemi seri di salute per madre e nascituro?
        Oggi si abortisce pure perché il sesso non è quello voluto o perché si deve andare in vacanza. E ne ho citate solo due tra mille e molto di più.

  6. Henri Schmit

    Saranno pure due ragioni, il lavoro femminile e i servizi per l’infanzia, che mancano e spiegano in parte la decrescita della popolazione. Ma è la seconda che è concausa della prima. Inoltre, concentrandoci sulla causa principale, bisogna allargare il concetto dei servizi all’infanzia alle politiche pubbliche di sostegno della maternità – come esistono in altri paesi, da molti anni in Francia e da quando sotto la ministra della famiglia van der Leyen l’ovest ha copiato l’est! anche in Germania. Il lavoro delle donne è un obiettivo difficile e aleatorio tanto che non si impongono quote (che sarebbero assurde), mentre politiche per la maternità e per l’infanzia sono cose concrete che permettono di ottenere risultati meccanicamente. I costi aziendali di una dipendente in maternità sono uno svantaggio obiettivo che solo politiche pubbliche attive possono compensare. È quindi importante distinguere le due questioni, il lavoro femminile e il sostegno della maternità e dell’infanzia. Per aumentare le opportunità di lavoro delle donne, bisogna prima creare, incentivare il lavoro e non farlo scappare in altri paesi. Infine, alla ministra suggerirei di utilizzare l’inglese corretto: un progetto di legge sarebbe semmai un Family Bill che diviene Act quando è approvato, promulgato ed entrato in vigore.

  7. Alice

    Non e’ chiaro, cara Chiara, qual e’ il costo di un figlio, figlia… Per esempio, il costo di un figlio, nel 2020, in Italia dal concepimento al 18 anno di eta’, al nord, al centro e al sud…blandi dati economici.

  8. Enrico Motta

    L’articolo prende in considerazione gli ostacoli di tipo economico e lavorativo per cui si fanno meno figli in Italia. Non considera invece per nulla le trasformazioni culturali e antropologiche per cui oggi una coppia, e una donna in particolare, non vedono più realizzata la propria vita facendo figli, ma facendo altre cose, tra cui un lavoro interessante, una vita affettiva appagante , e, perché no? anche forme di divertimento e cultura. Il modello : facilitazione della gestione dei figli e conseguente aumento della natalità è troppo meccanicistico, anche se in parte vero.

  9. quintino lequaglie

    Il calo demografico è una “benedizione” per il nostro Paese purtroppo vanificata dal contesto mondiale dove la popolazione aumenta a ritmi insostenibili per il pianeta. Comunque per restare alla nostra piccola penisola, vogliamo fare quattro conti. 60 milioni:300.000 kmq=200ab/Kmq. Togliamo metà del territori costituito da montagne inabitabili e la densità sale a 400/Kmq cioè 4 abitanti/ettaro che vivono nelle pianure, nelle valli e sulle coste. Togliamo 50.000 Kmq urbanizzati e la superficie agricola (sau) scende a 100.000 kmq .Ognuno di noi ha un piccolo lotto di 1600 mq, un fazzoletto di 40 mt di lato, dove produrre cereali per se e foraggio per gli animali di cui si nutre nonchè smaltire le deiezioni per 365 giorni. E’ possibile?

  10. Maurizio Daici

    Anche dall’ articolo emerge che non c’è solo un problema di norme, livello a cui si ferma solitamente la politica, ma anche, e soprattutto, un problema “culturale” che investe la società nel suo insieme. Infatti, se da un lato ci si lamenta delle “culle vuote”, dall’altro nel mondo delle imprese quello della “riproduzione sociale” è un’esternalità, un “problema d’altri”. In questo quadro le norme sulla maternità o paternità a favore dei lavoratori rimangono inapplicate.

  11. Lorenzo

    L’Italia ha il primato del paese europeo dove il primo figlio si fa più tardi, in media a 31 anni. Seguono Spagna (30,8) e Lussemburgo (30,5) e con Francia, Germania, Svezia e UK sui 29 anni. I paesi con i dati più bassi sono invece quelli dell’est Europa: Bulgaria (26 anni), Romania (26,4), Lettonia (26,8) [https://www.lenius.it/eta-media-primo-figlio-in-europa/]. Come dire che tutte le ragioni di ordine economico cadrebbero (ma il discorso è molto lungo e non servono altre indicazioni oltre quelle della professoressa). Io aggiungo che una concezione generale così puritana o terroristica dell’evento maternità forse non ha eguali al mondo (avversione all’uso del preservativo / pillola, contrapposizioni infinite sulla 194, uso pragmatico della obiezione di coscienza, procreazione militarmente assistita L.40/2004, giovani che si realizzano all’estero …).

  12. Mahmoud

    Le donne che in questo Paese sono straniere hanno un tasso di fecondità maggiore alle donne che di questo Paese sono cittadine. Ogni 5 nati vivi in Italia nel 2019 uno ha madre straniera. Dove indirizzare il welfare prodotto da chi in questo Paese dichiara imponibile fiscale? Io direi di spostarlo ancora di più dalle tasche dei 20-40enni che non evadono a quelle di chi deve essere integrato ed alle famiglie incapienti ma numerose, per il tramite di servizi sociali, case popolari, trasferimenti diretti, bonus bebè, reddito di cittadinanza ai non cittadini stranieri lungosoggiornanti disoccupati. Cioè come ora, ma con importi ancora maggiori.

    • Henri Schmit

      Oggi sono gli stranieri residenti che pagano le tasse per sostenere il welfare di largamente a favore dei vecchi di questo paese. Domani non si potrà far altro che chiedere ai non residenti della zona euro a garantire le prestazioni insostenibili a favore dei residenti e soprattutto ai più colpevoli di loro, cioè coloro che hanno il diritto di voto, Già ora il sistema sarebbe crollato (secondo il modello Argentina) se non vi fossero almeno la garanzia dei tassi ultra-bassi procurati (nonostante lo spread) dall’euro. Commenti anonimi, non firmati nome e cognome, sono strumento di informazioni fasulle, spesso pagate da poteri occulti, e andrebbero ostacolate.

      • Mahmoud Schmit

        Gli stranieri mediamente (inclusi nella media stranieri di altri Stati UE, Svizzeri, Statunitensi etc) pagano MENO tasse pro capite per sostenere il welfare (Fonte, tra le altre, questo stesso quotidiano: https://www.lavoce.info/archives/63308/dove-investono-gli-immigrati/) dei cittadini italiani e pro capite ne usufruiscono in misura maggiore, vedasi case popolari a titolo di puro esempio. In merito al resto del commento nemmeno rispondo, non è comprensibile. Concordo invece riguardo ai commenti anonimi, caro Henri Schmit, pur senza personalmente pensare lei sia mosso da “poteri occulti”, ma riporti le sue “informazioni fasulle” quali che “sono gli stranieri residenti che pagano le tasse per sostenere il welfare di largamente a favore dei vecchi di questo paese” solo per inadeguatezza rispetto alla materia trattata. Tuttavia io invece non credo commenti quali il suo vadano ostacolati, finendo per essere chiara immagine di come tesi strampalate quali quelle per cui mediamente uno straniero pagherebbe pensioni di altri, se non per cassa e solo parzialmente, abbiano vita breve nell’opinione di chi non ha interessi pecuniari diretti nel fenomeno dell’accoglienza, siano gestori di centri, lavoratori, avvocati bramosi di gratuito patrocinio o altro.

      • Mahmoud Schmit

        P.S. Se si riferisce al dato dei nati in Italia da madre straniera in percentuale del 20% su totale, tra le varie fonti che riportano la notizia le segnalo https://www.open.online/2020/02/11/istat-cala-la-popolazione-117-mila-italiani-in-meno-poche-nascite-soprattutto-al-sud/ con relativa infografica, magari più comprensibile.

  13. Savino

    Le redini dell’economia e della società sono in gran parte nelle mani degli over 60, i quali ignorano artatamente l’esistenza di una parabola discendente del ciclo vitale, biologico e sociale. Si sono aggrappati all’apice e non vogliono scendere più, sfidando le regole fisiche, algebriche e geometriche.

  14. Henri Schmit

    A Mahmoud#Schmit: La mia prima frase è un’esagerazione retorica: afferma solo che senza stranieri che lavorano la copertura finanziaria del welfare italiano sarebbe peggiore. Il welfare si è arricchito recentemente di elementi sbilanciati a favore della popolazione vecchia (quota 100) e indigena (reddito di CITTADINANZA). Già il nome della legge dovrebbe essere censurato come misura che intende violare il diritti fondamentali: il welfare, giusto o sbagliato, sostenibile o demagogico, deve valere per tutti (i residenti) indistintamente (regole UE e CEDU). La normativa italiana introduce una discriminazione in base alla nazionalità e quindi all’origine delle persone. Questo è nazional-socialismo, inimmaginabile negli altri paesi democratici. Quello che fa la Gran Bretagna ora persegue obiettivi similari, ma è legittimo, cioè tenere stranieri indesiderati fuori, ma una volta dentro saranno trattato (me lo auguro) come i Britannici. Spiego meglio la parte più ostrica del mio commento: quando il sistema del welfare nazionalista italiano crollerà, l’Italia chiederà inevitabilmente aiuto ai partner UE e Euro, a meno di aver lasciato prima l’unione prima.

  15. vetrallla

    mia nuora aspetta, avendo percepito reddito deve pagare ticket sanitari……solodi analisi ed ecografie ha speso già 390 eur al terzo mese gravidanza,,,,,,,,,è normale….che non fanno figli,,con questa premessa!!!

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