La Finanziaria prevede una serie di misure destinate a sviluppare il mercato di Borsa anche per le società di piccola e media capitalizzazione. Continua a mancare, però, un progetto complessivo dedicato alle Pmi non quotate, che sono poi quelle specializzate nella produzione del “made in Italy”. Un’attenzione che invece ritroviamo nella proposta di legge dei Ds. Ma se è condivisibile la scelta di puntare ancora sugli incentivi fiscali, più dubbi suscita il meccanismo di reperimento delle risorse necessarie.

Il mercato del venture capital può rappresentare una soluzione al problema del finanziamento dell’attività innovativa, e quindi della crescita economica e dell’occupazione in Italia.
Gli operatori tendono, però, a concentrarsi su alcuni settori di mercato, e gli interventi richiedono una soglia dimensionale minima, eccessiva per alcune piccole e medie imprese. È necessario inoltre un efficiente mercato azionario dove sia possibile e vantaggioso collocare le imprese, una volta preparate a raccogliere capitali sul mercato.
Il ruolo della politica economica è quindi importante anche nel sostegno logistico e finanziario di quei segmenti di mercato o settori economici che non sono direttamente appetibili dai venture capitalist, ad esempio con interventi di fornitura di garanzie creditizie o di predisposizione di “incubatori”; e nello stimolo dato allo sviluppo dei mercati finanziari organizzati, attraverso una regolamentazione efficiente e moderna.

Le Pmi nella Finanziaria

Per raggiungere questi obiettivi la Legge finanziaria prevede sostanzialmente una serie di incentivi fiscali.
Per le matricole di Borsa è prevista una aliquota Irpeg ridotta al 20 per cento per l’anno di quotazione e i due successivi. (1)
È possibile anche dedurre dalle imposte il 10 per cento dei costi sostenuti per attività di ricerca e sviluppo e per le spese relative alla quotazione. Per quegli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (fondi e Sicav) che investiranno in società quotate di piccola e media capitalizzazione è fissata un’aliquota ridotta (5 per cento).

La ratio degli interventi è molto chiara: favorire lo sviluppo del mercato di Borsa e in particolare di un segmento strategico nel contesto italiano: le società quotate di piccola e media capitalizzazione, spesso più innovative e con tassi di sviluppo superiori. La stima degli effetti di tali interventi è invece decisamente più ardua: coinvolge infatti la “voluntas” del mondo imprenditoriale italiano, ancora fortemente caratterizzato da una dimensione familiare e “privata”, a accettare logiche “pubbliche” di mercato, che richiedono standard contabili, finanziari, manageriali e di trasparenza più elevati.

Nella Finanziaria manca, invece, un focus particolare dedicato alle Pmi non quotate e non immediatamente quotabili anche con i nuovi incentivi. Eppure, a questo universo decisamente rilevante possiamo idealmente ricondurre la maggior parte delle imprese dei distretti industriali, specializzate nella produzione e nell’esportazione di prodotti tipici del made in Italy.

La proposta dei Ds

Questi stessi temi sono affrontati dalla proposta di legge Ds, presentata a fine luglio.
Il titolo secondo si concentra sull’istituzione delle “Società private di partecipazione” quale veicolo privilegiato per investimenti di minoranza (e per la concessione di prestiti mezzanini) in operazioni di venture capital e di private equity. Assumerebbero la forma di società a responsabilità limitata, avrebbero un capitale sociale minimo di 1 milione di euro, la cui sottoscrizione sarebbe riservata a investitori qualificati, ognuno dei quali non potrebbe eccedere la soglia massima del 30 per cento del capitale. Una serie di benefici fiscali (un credito di imposta del 23 per cento per gli investimenti effettuati e i prestiti concessi) è accompagnata da limitazioni circa il divieto di effettuare operazioni per valori superiori al patrimonio (capitale sociale più riserve) e, per ogni singola operazione, di investirvi un ammontare superiore al 10 per cento del patrimonio stesso.

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Si tratta di un veicolo complementare, non sostitutivo, rispetto ai fondi chiusi già previsti nell’ordinamento vigente, alcuni dei quali sono esplicitamente rivolti al finanziamento di iniziative di ricerca e sviluppo. (2) Allarga dunque il possibile ventaglio di soluzioni previste dalla legislazione italiana, già oggi non particolarmente indietro rispetto agli altri paesi europei.

La proposta sostiene anche altri interventi. In particolare, sono previste (al titolo terzo) diverse agevolazioni per la costituzione, da parte di aziende di un distretto e delle loro associazioni di categoria, di società di servizi per l’outsourcing di varie funzioni aziendali, tra cui la promozione di attività di ricerca e sviluppo, la promozione e la gestione di marchi di qualità esistenti (e nuovi) dei prodotti, l’emanazione di certificati di rispetto delle norme di sicurezza, di compatibilità ambientale, la logistica.

Tali società sarebbero esenti dall’imposta sulle persone giuridiche e dall’Irap per un periodo di dieci anni. Mentre alle imprese aderenti sarebbe concesso un credito di imposta pari al 23 per cento del valore della loro partecipazione. Il capitale infatti sarebbe frazionato tra un minimo di venti associati (5 per cento massima quota di capitale acquisibile): questo può suscitare qualche dubbio sui meccanismi di governance.
All’articolo 12 si prevede di istituire un aliquota del 23 per cento del reddito societario per imponibili fino a 100mila euro, per rendere fiscalmente neutrale la scelta di avviare una impresa sotto forma di società di persone o di capitali.
La ratio dell’intervento è di eliminare un possibile meccanismo di svantaggio fiscale delle società di capitali, a cui corrispondono tuttavia dei vantaggi patrimoniali abbastanza rilevanti (la responsabilità limitata).
Il titolo quarto prevede incentivi fiscali per le spese relative ad attività di ricerca e sviluppo condotte da società o enti controllanti gruppi di piccole e medie imprese e per le società di servizi , estesi anche a eventuali collaborazioni con università e centri di ricerca nell’ambito di apposite convenzioni.

Il titolo quinto, proprio per tutelare l’attività specifica delle nostre piccole e medie imprese, istituisce invece i marchi di “prodotto italiano di qualità” e di “prodotto interamente realizzato in Italia”, di proprietà dello Stato e assegnati dalle società di servizi, specificando altresì eventuali sanzioni per tentativi di frode e contraffazione.

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Pregi e difetti

Gli interventi appaiono ragionevoli e potenzialmente adatti a proteggere i prodotti qualitativamente più soddisfacenti del made in Italy. Potrebbero anche stimolare sinergie di sistema che sono imprescindibili per mantenere competitive realtà imprenditoriali di dimensioni ridotte.
La logica degli incentivi fiscali è assolutamente condivisibile.
Quello che appare meno convincente è il meccanismo di reperimento delle risorse finanziarie a copertura.
La proposta è infatti di elevare al 23 per cento la tassazione sulle rendite finanziarie oggi prevista al 12,5 per cento.
Rimango scettico su questa soluzione. Se si applicasse ai titoli già nei portafogli, andrebbe giustificato il maggior prelievo a danno di chi ha investito in base anche a un certo trattamento fiscale. Così come è probabile che la detenzione di titoli del debito pubblico italiano si sposterebbe rapidamente verso investitori esteri, che ricevono un trattamento fiscale più conveniente. Se venisse applicato solo ai titoli di nuova emissione, avrebbe l’effetto di aumentare il rendimento richiesto per la loro sottoscrizione, e risulterebbe probabilmente poco rilevante a livello macroeconomico. Data l’elevata sostituibilità delle attività finanziarie, una seria e coraggiosa azione riformatrice della tassazione delle rendite finanziarie, non mi sembra oggi praticabile se non a livello di intera area dell’euro.


(1)
A condizione che le azioni della società non siano state precedentemente negoziate in altri mercati regolamentati dell’Unione europea e che la società effettui, ai fini della quotazione, un’offerta di sottoscrizione di azioni proprie mirante a innalzare del 15 per cento il patrimonio netto relativo all’esercizio precedente.

(2) Fondi chiusi per lo sviluppo, istituti nel 2001, promossi da una Sgr la cui maggioranza del capitale sia sottoscritta da una università o centro di ricerca: il requisito di capitale sociale è ridotto a 100mila euro fin quando l’ammontare del fondo, riservato a investitori istituzionali, è inferiore ai 25 milioni di euro.

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