In Italia la cultura dell’autoregolamentazione non è molto diffusa. Se ne preoccupa anche il disegno di legge sulla tutela del risparmio con una norma logicamente incoerente, generica e dai probabili effetti negativi. Meglio sarebbe seguire l’esempio americano, che impone standard severi a tutte le società quotate e costringe i gestori a un ruolo attivo nella vigilanza sull’adesione, pur nel rispetto delle autonomie istituzionali. Preferire soluzioni barocche e innocue, non aiuta a costruire un mercato capace di tutelare gli investitori. Lautoregolamentazione si fonda su due pilastri: la condivisione generalizzata del principio di rispetto delle norme allinterno di una determinata collettività e la capacità di sanzionare anche solo moralmente i trasgressori, facendo loro perdere in tutto o in parte la reputazione e dunque una parte rilevante della stessa capacità di operare. Basta questo per capire che lItalia non brilla per propensione allautoregolamentazione e che il settore finanziario non costituisce certo uneccezione. Luigi Spaventa, allora presidente della Consob, aveva osservato che la cultura del name-shame non è ancora entrata nel bagaglio degli operatori italiani. Se le norme calano dallalto Questo però non è un motivo sufficiente per imporre norme dallalto che possono creare effetti perversi. Il disegno di legge sulla tutela del risparmio si occupa anche di autodisciplina e dispone (articolo 15) che imprese e intermediari diffondano annualmente, nei termini e con le modalità stabiliti dalla Consob, informazioni sulladesione a codici di comportamento promossi da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria degli operatori e sullosservanza degli impegni a ciò conseguenti, motivando le ragioni delleventuale inadempimento. Inoltre, in base allarticolo 35, gli amministratori, i componenti degli organi di controllo e i direttori generali di società quotate nei mercati regolamentati i quali omettano le comunicazioni prescritte dallarticolo 15, ovvero divulghino false informazioni in proposito, sono puniti con la sanzione amministrativa da 10mila a 300mila euro. Il codice di corporate governance Nella riforma da varare, lunico codice di autodisciplina che merita di essere preso in considerazione è quello di corporate governance. Il problema, però, non è quello di portarlo nella sfera di competenza della Consob, ma di renderlo veramente efficace. Non sentiamo nessuna necessità di poter sanzionare i sedicenti amministratori indipendenti di Cirio e Parmalat: quello che vogliamo è che non possano essere spacciati per amministratori indipendenti soggetti notoriamente legati a filo doppio agli azionisti di controllo dal punto di vista professionale.
Una simile impostazione è logicamente incoerente, troppo generica e gravida di effetti perversi. È logicamente incoerente perché tutti i codici di autodisciplina sono basati sulladesione volontaria e sullimpegno degli aderenti a spiegare le eventuali deviazioni dai precetti – sempre best practice, non norme comportamentali scolpite nel bronzo -, che per definizione sono già nella legge. Trasformare lobbligo di comunicazione al mercato in obbligo derivante dalla legge, passibile per lo più di sanzioni in via amministrativa, snatura la funzione stessa dellautodisciplina.
La norma è anche troppo generica perché non si possono mettere nello stesso calderone il codice di corporate governance delle società quotate e il codice delle varie categorie di operatori. In quali forme, ad esempio, dovrebbero essere assicurate informazioni sullosservanza degli impegni relativi ai codici emanati da Abi, Assosim e promotori finanziari, che riguardano migliaia di persone? Infine, la norma può avere effetti perversi perché il timore della sanzione rischia di aumentare la prudenza dei redattori dei codici di autodisciplina, già impegnati nel difficile compito di persuadere una comunità che di queste norme farebbe volentieri a meno. I nostri codici di autodisciplina potranno sembrare troppo blandi e infatti, come per la prima versione del codice Preda, sono stati accolti con il commento che “si poteva fare di più”. Ma va ricordato che sono molto più audaci di quanto avrebbe voluto la generalità degli operatori. Se fossero stati sottoposti a referendum, difficilmente sarebbero sopravvissuti.
Si badi che questa è la strada scelta dalla legge Sarbanes-Oxley, che ha delegato alla Sec il compito di emanare regolamenti in base ai quali siano escluse dalla quotazione le imprese che non ottemperano ai codici di autodisciplina proprio per quanto riguarda gli amministratori indipendenti, il comitato di controllo interno, la scelta dei revisori e gli altri aspetti più delicati dei controlli endosocietari. È una soluzione enormemente più efficace, che non stravolge la natura dellautoregolamentazione, che impone standard severi a tutte le società quotate e che costringe le società di gestione dei mercati a un ruolo attivo nella vigilanza sulladesione, ma sempre nel rispetto delle autonomie istituzionali. Una soluzione forse troppo semplice e troppo severa per essere adottata anche in Italia. Ma se continueremo a preferire soluzioni barocche e innocue, non costruiremo mai un mercato capace di tutelare gli investitori.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Lascia un commento