Nel conclave qual è l’andamento tipico dei voti ricevuti dai vari candidati, prima che si raggiunta la maggioranza dei due terzi più uno? Uno studio statistico mostra che in ogni scrutinio le preferenze tendono a convergere sui cardinali più votati in quello precedente e in particolare su coloro che ottengono un numero crescente di voti tra una tornata e l’altra. E, con un curioso “effetto notte”, al mattino si registra in genere un drastico calo dei consensi per il candidato in testa la sera precedente. Gli effetti della riforma elettorale di Giovanni Paolo II.

Lunedì prossimo inizierà il conclave per l’elezione del successore di Giovanni Paolo II al soglio pontificio. Qual è l’andamento tipico dei voti ricevuti dai vari “candidati”, prima che venga raggiunta la maggioranza dei due terzi più uno? Un recente studio statistico degli ultimi sette conclavi fornisce indicazioni più precise a questo proposito.

Le regole elettorali

Nel 1179, durante il Concilio Laterano III, Alessandro III stabilì che per essere eletto Papa un candidato dovesse ricevere due terzi dei voti dei cardinali, e che nessun cardinale potesse votare per se stesso. Paolo VI, riprendendo una modifica introdotta da Pio XII e abrogata da Giovanni XXIII, ha fissato la regola della maggioranza dei due terzi più uno, eliminando dunque l’onere di verificare se l’eletto abbia votato per se stesso. Lo stesso Paolo VI ha limitato l’esercizio del diritto di voto ai cardinali sotto gli ottanta anni di età. La modifica più rilevante delle regole elettorali è stata introdotta dall’ultimo Pontefice il quale con la Costituzione apostolica “Universi Dominici Gregis” ha abbassato drasticamente il quorum necessario per scegliere una soluzione diversa dalla maggioranza dei due terzi più uno, in caso di mancata elezione del Papa al trentaquattresimo scrutinio.

L’evoluzione del voto

A prescindere dagli effetti di questa riforma, la domanda che ci poniamo è: durante i passati conclavi, qual è stata l’evoluzione tipica dei voti dati ai vari candidati durante la sequenza degli scrutini? A quanto ci risulta, su questo esiste un solo studio statistico. Sfruttando memoriali scritti da cardinali presenti, Jayne Toman dell’università di Sydney ha raccolto un insieme di dati sulla dinamica dei voti negli ultimi sette conclavi, ovvero dall’elezione di Benedetto XV nel 1914 (cardinal Della Chiesa) a quella di Giovanni Paolo II nel 1978. (1) Il più breve fu il conclave che portò all’elezione di Pio XII (cardinal Pacelli), con tre scrutini, mentre l’elezione di Pio XI (cardinal Ratti) ne richiese quattordici.
La variabile dipendente studiata dalla Toman è il numero di voti ottenuti in ciascun scrutinio da ogni cardinale che ne abbia ricevuto almeno uno e il cui nome sia stato annotato dai cardinali memorialisti.
Tre variabili hanno un’influenza statisticamente significativa sul numero di voti ricevuti.
(i) Il numero di voti ricevuti da un dato candidato alla tornata precedente (t-1) è correlato in modo fortemente positivo con il numero di voti ricevuti dallo stesso nello scrutinio presente. In altri termini, i voti tendono a convergere verso quei candidati che sono stati maggiormente votati allo scrutinio precedente. Secondo le stime effettuate dalla Toman, l’effetto del numero di voti alla tornata precedente è sempre positivo per tutti i conclavi studiati, eccezion fatta per quello che portò all’elezione di Giovanni XXIII (cardinal Roncalli). A parte questo caso, la stima più bassa dell’effetto si ha per il conclave che elesse Pio XI: ogni voto in più per un dato candidato alla tornata t-1 produsse in media 0,44 voti in più allo scrutinio t.
(ii) Esiste un effetto di “momentum“, ovvero il fatto che i voti dati a un certo candidato siano cresciuti tra lo scrutinio t-2 e lo scrutinio t-1 ha un effetto positivo sul conto dei voti ricevuti nella tornata t. A prescindere dall’effetto per se stesso del numero dei voti ottenuti allo scrutinio precedente, i cardinali tendono a convergere con i propri voti su quei candidati che ricevono un numero crescente di voti. A titolo esemplificativo, durante il conclave che portò all’elezione di Pio XI (Ratti), il cardinal Gasparri ricevette otto voti al primo scrutinio, che poi crebbero fino a ventiquattro nel sesto, per rimanere a questo livello per altre due tornate. La perdita di momentum contribuisce a spiegare il fatto che i sostenitori di Gasparri si siano spostati su altri candidati, e in particolare su Ratti. Nella tornata finale (la quattordicesima) Gasparri non ricevette alcun voto. Il momentum, pur avendo un effetto positivo sul numero di voti, è di magnitudine assolutamente inferiore rispetto al numero di voti al tempo t-1: ad esempio, per i conclavi di Benedetto XV e Pio XI un voto in più tra lo scrutinio t-2 e t-1 avrebbe prodotto in media 0,02 voti in più per quel candidato allo scrutinio t.
(iii) Nel 1904 (disposizione di Pio X) il numero di scrutini giornalieri è stato elevato da due a quattro. A parte la pausa per il pranzo, il momento in cui i cardinali hanno più tempo a disposizione per scambiarsi informazioni e stringere accordi è la sera, quando conversazioni private nelle stanze sono in via di principio possibili. Secondo le stime della Toman, l’effetto principale delle “conversazioni notturne” è quello di ridurre sensibilmente i voti ricevuti il mattino successivo dal candidato che si trovava in testa la sera precedente. Questo effetto potrebbe essere spiegato dal fatto che le conversazioni notturne facilitano un coordinamento tra gli elettori, finalizzato a impedire o rallentare la vittoria del candidato in testa. Unica eccezione a questa regolarità è rappresentata dal conclave che elesse Giovanni Paolo II.

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Dopo la Universi Domini Gregis

Con la Costituzione apostolica Universi Domini Gregis del 1996, Giovanni Paolo II ha di fatto eliminato la possibilità di eleggere il nuovo Papa per “acclamazione” e per “compromesso”, mantenendo come unico metodo quello dello scrutinio segreto. L’elezione per acclamazione è stata eliminata perché giudicata di difficile attuazione data l’eterogeneità del collegio cardinalizio odierno, mentre quella per compromesso, cioè affidando la scelta a un gruppo ristretto di cardinali, è stata considerata troppo “deresponsabilizzante”. Tuttavia, l’elemento di maggior interesse delle nuove regole di votazione è la modifica al quorum necessario per passare, dopo il trentaquattresimo scrutinio senza esito, dalla maggioranza dei due terzi più uno alla maggioranza assoluta o al ballottaggio tra i due candidati più votati nella tornata precedente. Con le regole precedenti, la maggioranza di due terzi più uno poteva essere alterata soltanto con il consenso unanime di tutti i cardinali partecipanti al conclave. Al contrario, con le regole attuali, una maggioranza assoluta di cardinali è sufficiente per decidere se a partire dal trentacinquesima votazione si debba procedere a maggioranza assoluta, oppure con ballottaggio. Questo elemento di novità potrebbe avere effetti non trascurabili sul comportamento strategico degli elettori durante il conclave, e in particolare sugli incentivi alla formazione di coalizioni. In linea di principio, una maggioranza assoluta di cardinali che sia coesa e stabile al proprio interno potrebbe boicottare ogni candidato sgradito fino alla trentaquattresima votazione, per poi votare a favore di scrutini a maggioranza assoluta ed eleggere il proprio candidato preferito grazie a questa soglia più bassa. Nella misura in cui tale minaccia è credibile, la minoranza potrebbe accettare di votare – prima del trentaquattresimo scrutinio – un candidato gradito alla maggioranza e non terribilmente sgradito alla minoranza stessa. Risulta tuttavia difficile stabilire un legame diretto tra le nuove regole di voto e l’emergere di coalizioni che rappresentino una maggioranza assoluta di cardinali, in quanto il grado di coesione delle coalizioni dipende in modo cruciale dal numero e dall’importanza relativa delle caratteristiche (issue) che sono potenzialmente rilevanti rispetto all’identità e alle preferenze del Pontefice da eleggersi.
L’idea è che l’elezione di un Papa “partigiano”, ovvero prescelto da una maggioranza assoluta di cardinali, sia tanto meno verosimile quanto più ampio il numero di issue potenzialmente rilevanti, e quanto più bassa la correlazione esistente tra le posizioni dei cardinali elettori su tali issue. Le analisi di questi giorni intorno alla composizione del collegio dei cardinali fotografano esattamente una situazione di questo tipo. La conclusione che ne traiamo è che per questo conclave la riforma di Giovanni Paolo II non dovrebbe sortire effetti rilevanti sugli equilibri elettorali.

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(1) Toman, J. T. [2004]. “The Papal Conclave: How do Cardinals Divine the Will of God?”. Mimeo, University of Sydney. gunston.doit.gmu.edu/liannacc/ ERel/S2-Archives/REC04/Toman%20-%20Pope.pdf

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