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SE NON SI FA PIU’ CREDITO ALL’INNOVAZIONE

Il credito di imposta riconosciuto alle imprese per i costi sostenuti in attività di ricerca e sviluppo è uno strumento agile e efficace. Il decreto anticrisi introduce un meccanismo a prenotazione e altri limiti alla possibilità di fruizione che riducono il volume dell’intervento, eliminano l’automaticità dell’accesso e cancellano la sicurezza della disponibilità in tempi certi delle risorse. Eppure è vitale che la crisi economica non blocchi la capacità di innovazione, rendendo le aziende italiane ancora più deboli di fronte alla competizione internazionale.

Le Finanziarie del 2006 e del 2007 avevano introdotto il credito di imposta per il sostegno all’innovazione e alla ricerca. La misura permette a un’azienda di ottenere un credito di imposta pari al 10 per cento di tutti i costi sostenuti internamente per attività di ricerca e sviluppo e al 40 per cento di tutti i contratti affidati a università ed enti di ricerca.

IL CREDITO DI IMPOSTA PER L’INNOVAZIONE E LA RICERCA

In un paese che spende poco e male per ricerca e innovazione, in presenza di un finanziamento privato alle università molto basso, il credito di imposta affronta alcuni nodi cruciali. È automatico e certo, e quindi non richiede complesse, lunghe e incerte procedure di valutazione ed erogazione. Spinge le imprese ad avere rapporti con le università e i centri di ricerca e innovazione. Stimola queste strutture a essere attente e reattive rispetto ai bisogni e alle istanze delle imprese. In sintesi, il credito di imposta è uno strumento agile e efficace per sostenere i processi di innovazione delle imprese.
Il credito di imposta ha avuto un percorso piuttosto tortuoso, come notavano Daveri e Sacrestano nel loro articolo su lavoce.info, ma all’inizio di questo anno era finalmente divenuto operativo. Inoltre, un importante documento dell’Agenzia delle Entrate chiariva che il credito si applica anche nel caso di contratti affidati a strutture di ricerca private purché non-profit e non controllate in modo determinante da singole imprese. (1) Si tratta di un passaggio importante che allinea la normativa sul credito di imposta alle direttive in materia dell’Unione Europea e allarga lo spettro di applicazione della misura.
Certamente, come qualsiasi altro meccanismo di incentivazione, il credito di imposta può essere utilizzato in modo improprio. Servono quindi severi controlli sia formali che “di sistema”, anche da parte delle associazioni industriali, affinché le potenziali distorsioni siano tenute sotto controllo. Tuttavia, tenuto conto che il nostro paese per decenni ha sprecato ingenti risorse finanziarie sia nazionali che comunitarie in misure poco efficaci o usate in modo improduttivo, non c’è dubbio che l’avvio di uno strumento finalmente efficace e snello costituisca un netto e positivo cambio di passo rispetto al passato.

LE NOVITÀ DEL DECRETO LEGGE ANTI-CRISI

Il recente decreto legge anti-crisi, concepito come stimolo per aiutare imprese e consumatori a superare questo momento difficile, ha modificato il processo di erogazione del credito di imposta, introducendo un meccanismo a prenotazione: l’azienda che volesse richiedere il credito deve fare domanda telematica al ministero; questo, in base alla disponibilità dei fondi, decide se accettare la domanda o rimandarla all’anno successivo. Inoltre, si introducono altri limiti sulla possibilità di fruizione del credito. In pratica, nonostante la relazione di accompagnamento al decreto legge parli di un intervento a “carattere meramente procedurale”, si tratta di un cambiamento che limita fortemente l’impatto della misura, riducendo il volume dell’intervento, eliminando nei fatti l’accesso automatico al credito e cancellando la certezza della disponibilità in tempi certi delle risorse nel conto economico dell’impresa. Inoltre, il disegno di legge rimanda alla stesura di nuovi regolamenti attuativi, che dovrebbero essere emanati nel prossimo futuro, rallentando ulteriormente il funzionamento complessivo della misura.
In un momento di grave crisi economica sono necessarie misure che stimolino e aiutino il rilancio dell’economia. È vitale che la crisi economica non blocchi la capacità di innovazione delle imprese, rendendole ancora più deboli di fronte alla competizione internazionale. Inoltre, negli ultimi mesi molte aziende hanno avviato investimenti in ricerca e innovazione pluriennali, sulla base di valutazioni che prevedevano il credito di imposta. Il sostanziale ridimensionamento della misura introdotto dal decreto e, soprattutto, l’incertezza circa la sua disponibilità creano significativi problemi alle aziende, in particolare a quelle multinazionali, abituate a operare in contesti normativi stabili e con certezza delle regole. Ciò non contribuisce certamente a rendere il nostro paese più attraente agli occhi degli investitori nazionali e soprattutto esteri.
Perché quindi questa limitazione del credito di imposta sulla ricerca? È indubbio che nei momenti di crisi, stante la situazione finanziaria del paese, sia necessario investire in modo oculato. Ma perché non si è esitato minimamente a impiegare risorse molto più ingenti per l’operazione Alitalia o per ripianare i buchi di bilancio di comuni spendaccioni, per fare due esempi, mentre si penalizza l’unico strumento efficace messo in campo negli ultimi anni per stimolare i processi di innovazione delle imprese? In tutti i paesi, il sostegno a questi processi è considerato uno dei cardini di una qualunque moderna politica di sviluppo. Perché per l’Italia deve essere sempre e solo un costo o una forma di assistenzialismo da tagliare?

(1) Si tratta della circolare n. 46/E del 13 giugno 2008.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

  1. Aram Megighian

    Io credo che l’opinione comune dell’attuale Governo (e in parte anche dei precedenti) sia che la Ricerca (di base e applicata) non sia importante nello sviluppo economico di un Paese. Questa nefandezza giustifica gran parte delle decisioni e non decisioni prese riguardo al principale settore strategico di una nazione avanzata: il settore Ricerca e Sviluppo (R&D). Solo così possono essere spiegati il progressivo smantellamento delle Università (la riforma si fa iniettando risorse umane e di denaro, cambiando le regole, non tagliando indiscrinatamente), l’asfissia e degrado degli enti di ricerca affidati spesso ad incompetenti, la mancata incentivazione della Ricerca Privata. In Germania quest’ultima rappresenta il 60% dei fondi per la ricerca (che sono al 3% del PIL), mentre in altri Stati Europei e mondiali sono tra il 50 e il 60% (fonte Eurostat), mentre da noi solo il 34% (in Turchia il 41%). E dopo ci lamentiamo per un calo della competitività, vista solo come un problema di dazi e non come un problema di prodotti di bassa tecnologia e quindi in concorrenza con chi ha costi del lavoro inferiori come i paesi emergenti.

  2. Roberto Camporesi

    Credo che da diversi fronti sia comprensibile che occorre cercare di attuare il massimo del sostegno alle aziende che vogliono investire in ricerca e sviluppo. Questa è, a mio avviso, una misura incomprensibile e che spinge in direzione opposta a quella in cui bisognerebbe andare. Oltre ad essere davvero triste il vedere questa sequenza di eventi in cui un governo si rimangia quello che aveva fatto il governo precedente, è soprattutto il merito di questa cosa che è grave. C’è qualcuno che si ricorda ancora degli obiettivi di Lisbona 2010? Ma soprattutto di questi tempi, in cui la parola d’ordine nelle aziende è "tagliare i costi", "stare attenti alla cassa" e, laddove è possibile, "rinviare ogni investimento", come si fa a tenere viva una politica e una pratica dell’innovazione che premi quelli che la fanno davvero, che sappia aiutare il mettere in relazione il mondo delle imprese e quello dell’università e della ricerca e che sia di aiuto per innescare comportamenti virtuosi che sono fondamentali per la competitività e la vitalità del nostro sistema di imprese ai tempi della globalizzazione? Credo che sia urgente una "rivolta" a questa mancanza di coraggio.

  3. Giovanni Gellera

    Vorrei rispondere alla domanda finale dell’articolo, domanda che è chiaramente retorica. Siamo alle solite: in Italia i soldi ci sono, o meglio, si trovano, ma solo per le cose che interessano a vari gruppi di potere che riescono a fare pressione su chi governa. E questa pressione appare "sistemica", visto che non cambia con i vari cambi di governo. La ricerca appare drammaticamente come una non priorità in Italia, mentre si usano soldi pubblici male e per operazioni di dubbio ritorno per la collettività, come la svendita di Alitalia. Siamo un paese che guarda indietro, o al massimo guarda al presente: l’innovazione è rivolta al futuro, è ovvio che non riscuota molto successo. Siamo un paese che vive delle regalie dello Stato, che ha quindi interesse a non modificare la siuazione. Non è una politica molto lungimirante…

  4. Claudio

    In data 05/12/2008 il MSE ha pubblicato una circolare (non protocollata, distribuita solo sul sito e magicamente sparita dopo pochissimi giorni) dal titolo ambiguo e indirizzata alle Associazioni di rappresentanza del mondo imprenditoriale, dove si precisava che la UE aveva dato il via libera a tali crediti di imposta solo perchè non erano considerati aiuti di stato, in quanto aperti a tutte le imprese che ne avessero avuto titolo, senza distinzione territoriale o dimensionale. Ho recuperato il link sparito dal sito MSE, notare gli ultimi 2 commi dell’art. 2 http://www.sviluppoeconomico.gov.it/pdf_upload/documenti/php61zzao.pdf

  5. Bruno Stucchi

    Ci sono troppi ricercatori in Italia. A 1200 euro/mese, sono troppi e inutili. Troppi “ricercatori” ma, a quanto pare (brevetti, pubblicazioni, allievi, studenti ecc) mancano trovatori. I soprani non servono.

  6. Michele Betassa

    Sono un consulente e mi sono occupato nell’anno in corso delle pratiche per il credito di imposta per alcune aziende clienti. Negli ultimi tempi mi sono state fatte richieste per l’anno successivo ed ho fatto presente che ben difficilmente sarà possibile per le imrpese usufruire ancora del credito d’imposta per attività R&S. Bene, nessuna delle imprese che mi hanno contattato ed anche quelle clienti nulla ne sapevano. E’ stato nascosto, abilmente, con il teatrino della retroattività del credito d’imposta del 55% per i privati per costi sostenuti per l’efficienza energetica, che riguardava anche le imprese (ma le varie associazioni di categoria, Confindustria della Marcegaglia prima in testa, zitti e mosca), ma dei tagli agli investimenti in R&S, niente. Comprensibile che alla Marcegaglia ed al suo gruppo, poco importi anche perchè non sio comprende bene che attività di R&S debba fare chi trasforma minerale grezzo.

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