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Italicum: dopo la Consulta, nuovo rebus elettorale

La Corte costituzionale si pronuncia sull’Italicum. Sentenze di questo tipo si basano però sulla congruenza rispetto a principi fondamentali e non specificano i criteri politici sui quali una legge elettorale dovrebbe fondarsi. Cosa accadrebbe se l’Italicum non fosse dichiarato incostituzionale.

In attesa della sentenza

Martedì 24 gennaio la Corte costituzionale si pronuncia sulla costituzionalità o meno di alcune parti dell’Italicum, la legge vigente per l’elezione alla Camera dei deputati.
Sul sistema elettorale che il parlamento dovrà discutere e approvare dopo la decisione della Consulta, molti sono gli scenari possibili: dalla riproposizione del Mattarellum, una legge d’ispirazione maggioritaria, all’estensione al Senato dell’Italicum, passando per il cosiddetto Consultellum, di stampo proporzionale e oggi in vigore al Senato, dopo che la Corte costituzionale nel 2014 ha dichiarato incostituzionale il premio di maggioranza su base regionale e la presenza di liste bloccate, previste dal Porcellum.
L’attuale assetto tri-quadripolare del sistema politico italiano complica la ricerca di un accordo tra i principali partiti. Uno scenario ulteriormente complicato dalla presenza in parlamento di piccole formazioni politiche con una preferenza per leggi elettorali con basse soglie di sbarramento.
Per questo motivo, l’udienza della Corte costituzionale in relazione all’Italicum viene considerata da alcuni esponenti politici lo spartiacque per l’omogeneizzazione delle due leggi elettorali. Tuttavia, queste sentenze portano con sé due ordini di problemi, che non dovrebbero essere ignorati.

La delega alla Consulta

Il primo problema è eminentemente politico. I padri costituenti non avevano esplicitato alcuna preferenza per l’impianto elettorale (maggioritario, proporzionale o misto), lasciando così ai partiti l’incombenza di trovare il sistema più adatto. Con la sentenza sul Porcellum e, ora, con quella sull’Italicum la delega viene assunta, per lo meno parzialmente, dalla Corte costituzionale, che però può fondare il suo giudizio solo in riferimento agli articoli 48, 56 e 58 della Carta.
In particolare, il voto eguale e libero (articolo 48) è non tanto un principio guida per la legge elettorale, quanto semmai il cardine di ogni democrazia rappresentativa. La Corte nell’ultima sentenza non ha quantificato il limite della disproporzionalità di una legge elettorale: in parole povere, pur giudicando incongrui i premi di maggioranza del Porcellum, non ha escluso che non ve ne possano essere. Essendo però quei particolari premi di maggioranza incostituzionali, l’attuale Consultellum non ne prevede. Né si fa menzione della possibilità di re-introdurre i collegi (uninominali o plurinominali), se non per escludere le liste bloccate e (per così dire) troppo lunghe, ritenute incompatibili con i principi della carta.
Tuttavia, una sentenza della Corte non può essere comparabile all’indirizzo politico di una legge, il quale si fonda (o si dovrebbe fondare) sia sulla volontà popolare, intermediata dai partiti, sia sulla capacità di mediazione dei partiti stessi all’interno del parlamento.
In sintesi, sentenze di questo tipo si basano sulla congruenza rispetto a principi fondamentali, ma non specificano i criteri politici sui quali qualunque legge elettorale dovrebbe fondarsi. Né tantomeno possono tenere conto delle particolari circostanze politiche in essere.
Il rischio principale è quindi quello di veder ulteriormente delegittimato il parlamento, bloccato da veti incrociati sul tema e incapace di assolvere a una sua funzione fondamentale. In questo senso, potrebbe trovare una impropria giustificazione nelle prossime legislature l’eccezionalità del percorso di approvazione del Porcellum prima e dell’Italicum poi. Leggi che molto devono alla maggioranza del momento e lontane da un largo compromesso tra le parti in causa, come si converrebbe per questa particolare fattispecie legislativa.
Il secondo problema è di natura più pratica. Si dà per scontato che l’Italicum sarà dichiarato incostituzionale sia per il premio di maggioranza al primo turno sia per il ballottaggio. E se così non fosse? Se una parte dell’impianto fosse mantenuta, ci si ritroverebbe in una situazione non dissimile da quella attuale, con l’aggravante di non avere nemmeno la Corte costituzionale come organismo a cui delegare (impropriamente) lo sblocco dell’impasse politica. Con partiti e fazioni all’interno dei partiti su posizioni a volte antitetiche, il cerino rimarrebbe in mano nuovamente all’esecutivo. Un governo più debole di quello precedente e con visioni differenti al suo interno.
Se non si troverà un accordo sul Mattarellum, il minimo comune denominatore potrebbe essere un proporzionale con una bassa soglia di sbarramento, stile Consultellum. Una legge di un organo controllore, ma non del parlamento eletto.
La politica, prima ancora che la giurisprudenza, dovrebbe prevalere su tale argomento.

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  1. Serafino Brunetti

    Se siamo giunti a questo punto è anche perché la politica non è stata in grado di elevare il bene comune quale unico fondamento nella “stesura” di una legge così importante. Non piango affatto all’idea che quest’ultima “derivi” da interpretazioni giuridiche, considerato che ad un tema così delicato dovevano pensarci per tempo i politici, al posto che occuparsi solamente della loro sopravvivenza. Sia di monito anche a noi elettori, nelle future scelte alle urne.

  2. D’accordo, la costituzionalità della legge elettorale dovrebbe riguardare solo la conformità ai principi costituzionali, scritti e non scritti. La procedura elettorale è decisa (dagli attori politici assistiti) dagli esperti di scienze politiche e di ingegneria elettorale, che come tali non si occupano di diritti, ma calcolano possibili conseguenze e suggeriscono soluzioni alternative, sempre perfettibili sotto il profilo dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione e dalla Corte. In realtà non solo il giudice si occupa di soluzioni politiche, ma sono proprio i criteri politici (partiti) che hanno preso il sopravvento sui criteri giuridici (individui), essendo ormai (sentenza 1/2014) equiparati ai diritti individuali come se fossero anche loro principi costituzionali. Così si è perso per strada l’essenziale, i diritti individuali di candidato, di elettore e di rappresentante, liberi ed uguali (art. 48, 51 e 67), sacrificati alle “nuove” ideologie dell’equa rappresentazione dei partiti (proporzionale di lista) e della governabilità (premio), obiettivi aleatori ed antitetici, non trattati dalla costituzione. Conclusione: diamo la parola ai giuristi più rigorosi, non a quelli inquinati dalla logica delle scienze politiche, e facciamo rispettare la libertà e l’uguaglianza dei cittadini quali elettori, candidati e deputati! Fatto questo, la rappresentazione delle diversità degli interessi e la governabilità-stabilità-continuità si risolverebbero quasi da soli.

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