Le quote di genere, dove applicate, sono state efficaci nell’aumentare la partecipazione delle donne nei board delle società quotate, ma spesso l’impatto positivo si ferma ai board, senza generare effetti “a cascata”.
Il 16 giugno si è raggiunto un accordo per Women on Board, l’iniziativa europea per portare al 33 per cento la quota di donne amministratrici con incarichi esecutivi e al 40 per cento tra tutti gli amministratori. Riproponiamo questo articolo del 2 giugno per indicare vantaggi e criticità dell’approccio delle quote.
La normativa sulle quote di genere
La normativa italiana e di altri Paesi europei ed extraeuropei hanno introdotto o stanno introducendo regole di gender balance negli organi apicali delle imprese più importanti per l’economia, fra cui le società quotate nei mercati regolamentati. In Italia, queste regole sono state varate per la prima volta con la legge 120 del 2011 (c.d. l. Golfo Mosca), che ha imposto l’equilibrio di genere negli organi di amministrazione e controllo (tipicamente i CDA e i collegi sindacali) delle società quotate e a controllo pubblico. Si è così introdotta non una “quota rosa”, ma una quota neutra, a favore del genere sottorappresentato, costituito sino ad ora in Italia da quello femminile, ma che un domani, in alcune società, potrebbe diventare quello maschile (in Cassa Depositi e Prestiti attualmente su 9 amministratori 5 sono donne, anche se il presidente e l’AD sono uomini). La quota inizialmente imposta era di 1/3 dei componenti; successivamente, per le sole società quotate è stata portata a 2/5 dalla legge di bilancio 2020 (l. 160 del 2019) e, recentemente, l’art. 6 della l. 162 del 2021 ha esteso le nuove disposizioni ai CDA delle società a controllo pubblico. Sull’osservanza delle disposizioni dettate per le società quotate vigila la Consob, che può infliggere anche pesanti sanzioni pecuniarie, mentre al rispetto delle norme previste per le società a controllo pubblico sovraintende la Presidenza del Consiglio dei Ministri o il Ministero delle Pari Opportunità. In entrambi i casi, ove le società siano inadempienti, è previsto un meccanismo di doppia diffida, un richiamo all’osservanza delle regole e, laddove la violazione persista, è comminata la decadenza di tutti i consiglieri eletti. Per le quotate le nuove disposizioni introdotte (TUF 58/98 dalla l. 160 del 2019) hanno durata circoscritta nel tempo: attualmente, per le società quotate, sono destinate a operare ancora per 6 mandati (ovvero 18 anni) a far data dai rinnovi successivi al gennaio 2020.
L’impatto sulla composizione dei board e sui rendimenti dei mercati finanziari
Quali effetti ha avuto l’introduzione delle quote di genere sulla composizione dei board, sulla performance delle imprese, sui rendimenti dei mercati finanziari? In Italia osserviamo gli stessi effetti che si hanno in altri paesi? Si osservano anche cambiamenti significativi nella quota di donne in altre posizioni manageriali? Negli ultimi anni sono state svolte numerose ricerche con l’obiettivo di rispondere a queste domande.
Per osservare la differenza nella composizione dei board dovuta alla riforma, un primo studio sfrutta la circostanza (casuale) che, negli anni 2013 e 2014, le società che devono rinnovare i board lo fanno seguendo le nuove regole, mentre le società che non devono rinnovare i board (perché non ancora in scadenza) mantengono la composizione dall’ultimo rinnovo, non ancora soggetto alle nuove regole. Nello stesso momento, è quindi possibile osservare società quotate simili – che per un fattore casuale (cadenza del rinnovo del board) – devono rispettare / non devono ancora rispettare le nuove regole. Troviamo differenze significative tra i due gruppi, dovute alla legge: più donne nei board, più board con un numero superiore di donne rispetto a quello atteso, membri più istruiti (più master, più studi all’estero), membri più «giovani» (sotto i 55 anni). Fortunatamente, non si osserva un aumento dei membri appartenenti alla famiglia proprietaria dell’azienda e del numero di posizioni nei board detenuti da singoli membri. Inoltre osserviamo effetti positivi sui rendimenti dei mercati finanziari intorno alla data del rinnovo degli organi per le aziende che erano più lontane dalla soglia richiesta dalla legge.
Impatto sulle performance di impresa
Uno studio recente confronta, per gli anni 2009-2016, le imprese quotate con un campione di imprese simili non quotate (costruito utilizzando la metodologia del propensity score matching), quindi non soggette alla normativa sulle quote di genere. L’obiettivo principale è l’analisi dell’effetto della riforma sulle attività di internazionalizzazione delle imprese, quali la probabilità di esportare, il volume dell’export, il numero di prodotti esportati, il numero di paesi di destinazione dell’export, tenendo conto anche del grado di incertezza e di rischio legati alla volatilità dei diversi mercati internazionali. Vengono confermati i risultati di alcuni studi che non trovano effetti delle “quote di genere” su diversi indicatori di performance (redditività, produttività, efficienza). Le società quotate mostrano invece, se confrontate con un gruppo simile di imprese non quotate, una maggiore propensione all’export e registrano un aumento del valore delle esportazioni. Aumenta anche la probabilità di esportare nuovi prodotti, mentre non emergono impatti significativi rispetto alla rischiosità dei flussi commerciali misurata attraverso alcuni indicatori di volatilità della domanda nei mercati esteri. I risultati suggeriscono quindi che un aumento della rappresentanza femminile nei CdA sia in grado di apportare un diverso stile di
direzione e di leadership, più aperto verso i mercati internazionali e, contrariamente a quanto comunemente sostenuto, non caratterizzato da scelte più caute e meno rischiose.
Un confronto internazionale
Uno studio comparato sull’impatto delle leggi sulle quote di genere in tre paesi europei (Italia, Francia e Spagna) conferma che l’assetto istituzionale è determinante nell’influenzare l’effetto sulla performance delle aziende (misurata in termini di occupazione, produttività, profittabilità e indebitamento). L’analisi su dati panel confrontabili a livello d’impresa per il periodo 2004-2014 e l’utilizzo di metodologie di stima Difference-in-Differences mostrano che queste riforme non hanno generalmente prodotto effetti significativi sulla performance delle imprese in nessuno dei paesi considerati, con l’eccezione dell’Italia, dove l’aumento delle donne nei consigli di amministrazione ha determinato un aumento della produttività del 4-6%. Questo risultato sembra giustificato dalle peculiarità della legge adottata in Italia, che, essendo indirizzata ad un target di imprese molto ristretto (le aziende quotate e a controllo pubblico), ha di fatto consentito alle imprese di selezionare le potenziali donne da inserire nei CdA da un bacino relativamente ampio e qualificato.
Mancano ancora gli effetti “a cascata”
Purtroppo, gli effetti positivi si fermano a livello dei board. Non ci sono (ancora?) effetti “a cascata”. Un recente studio (Maida e Weber, 2021) basato su dati Inps non evidenzia, almeno fino al 2016, cambiamenti significativi nella quota di donne in altre posizioni manageriali o nella quota di contratti part-time. Inoltre, la legge non sembra aver prodotto effetti di imitazione su altre imprese non soggette all’obbligo di legge, dal momento che non si osservano cambiamenti significativi nella quota di donne nei CdA di un campione confrontabile di imprese non quotate.
La legge Golfo-Mosca ha quindi portato dei benefici in termini di composizione dei board e performance delle imprese e non ha portato a nessun effetto indesiderato, che è il timore di chi si oppone alle quote. Purtropponon si vedono ancora ricadute sulla probabilità delle donne, in generale, di accedere ad altre posizioni manageriali. Grazie al fatto che la soglia è salita al 40% e la legge è stata prorogata, i prossimi studi si occuperanno nuovamente di questo aspetto.
Le autrici e gli autori sono intervenuti all’evento organizzato all’interno del Festival Internazionale dell’Economia di Torino intitolato “Leadership femminile, quote “rosa” ed effetti su imprese e lavoratori”, che si è tenuto giovedì 2 giugno alle 17 nell’Aula Magna della Cavallerizza Reale.
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Jeriko
Sinceramente trovo le “quote” (rosa o piu politicamente correetto “neutro”) aberranti, in quanto sottolineano una differenza e presuppongono l´appartenenza alla minoranza come qualita´ primaria, sminuendo ed adombrando i reali meriti.
Non e´ chiaro inoltre se gli attesi effetti a cascata siano frutto di un´aspettativa di “preferenza” di genere (uomini assumono uomini, donne assumono donne); anche in questo caso mi sembra una lettura superficiale e svilente, in cui il merito della singola persona viene sminuito.
Tutta la questione mi sembra mal posta, ed apre a derive pelose:
– a quando una parita´ di genere tra gli insegnanti delle scuole materne? (chiaramente predominati da donne)
– a quando una quota neutra basata sull´etnia?
Eggi
Ritengo che l’effetto possa essere di tipo non misurabile e di più lento riscontro. Per le ragazze credo significherà un ampliamento di orizzonti: vedere presenti le donne a quei livelli può aprire nel loro immaginario una nuova opzione, hanno bisogno di avere esempi concreti per poterlo credere possibile anche per se stesse. Per questo sarebbe molto importante riportare anche nei libri di scuola i contributi di molte donne che in tutte le discipline sono state messe da parte o passate sotto tono.