Ai Mondiali le prospettive sono inconsuete, a volte rovesciate rispetto ai punti di vista consueti. Muri che ci sembrano altissimi non lo sono e altri che sottovalutiamo si confermano altissimi.
Categoria: Archivio Pagina 22 di 58
- 300 Parole
- Corsi e Ricorsi
- Dicono di noi
- Europee 2019
- Lavoce fuori campo
- Licenza Poetica
- Pro e Contro
- Question Time
- Rassegna Stampa
- Ricette
- Segnalazioni
- Vocecomics
La vicenda della trattativa di Pomigliano sta prendendo una brutta piega. Il rifiuto della Fiom di firmare l’accordo apre la porta a qualunque scenario, incluso la smobilitazione dello stabilimento. Tutti, dal sindacato ai politici ai commentatori, interpretano la trattativa in chiave di significati altri: il futuro della contrattazione aziendale, la costituzione, un cavallo di troia per attaccare i diritti di tutti i lavoratori. Sono temi importanti, ma che fanno perdere di vista l’aspetto fondamentale: il sito produttivo di Pomigliano. Perché la Fiat pretende clausole molto dure in termini di rispetto degli impegni assunti? La ragione è che teme la rinegoziazione ex post. La Fiat vuole rilanciare Pomigliano utilizzando tecnologie produttive d’avanguardia, che richiedono l’accordo con forza lavoro per un utilizzo intensivo degli impianti e per ridurre al minimo costose interruzioni della produzione. Oggi la Fiat ha molto potere contrattuale, perché può decidere di spostare l’investimento altrove. Ma una volta spesi gli 800 milioni sarà molto più complicato usare questa minaccia: ex-post, il potere negoziale si sposta dalla parte dei sindacati. L’intento della Fiat è quindi di mantenere potere contrattuale anche dopo aver fatto l’investimento, imponendo la clausola di responsabilità. Lo stabilimento di Pomigliano è notoriamente difficile. Le richieste di garanzia della Fiat rispecchiano anche la storia del sito. Esistono altri modi credibili per garantire il rispetto degli impegni da parte dei lavoratori? Se la risposta è no, il sindacato dovrebbe accettare le clausole, per quanto dure, e rilanciare la negoziazione in termini di stipendi. Se si raggiungono determinati target, anche grazie al rispetto degli impegni da parte dei lavoratori, parte dei benefici dovrebbe per contratto andare ai lavoratori. Nel frattempo, non carichiamo sui lavoratori di Pomigliano il futuro delle relazioni industriali italiane. Hanno già abbastanza problemi per conto loro.
Chi è il settantaquattrenne che ha dichiarato nei giorni scorsi: La mia missione non è ancora finita; ho ancora la forza, le energie e l’entusiasmo per candidarmi a un nuovo mandato. Se qualcuno vorrà sfidarmi sarò contento di confrontarmi con lui e, se verrò eletto io, non è scontato che sarà il mio ultimo mandato da presidente. C’è ancora tanto da lavorare e intorno a me avverto un clima di unità e amicizia che in passato non esisteva. La soluzione è in fondo all’articolo.
Ci sono problemi più importanti, lo sappiamo. La manovra finanziaria (chi crede al taglio delle Province?) o le dichiarazioni di Berlusconi (per lui Governare con la Costituzione è un inferno. Per noi l’inferno sarebbe se governasse senza). Ma la notizia oggi è che cominciano i Mondiali di calcio in Sud Africa. Per quattro settimane entreranno nella vita di tutti noi.
Il ministro per la Semplificazione Calderoli se la prende con il presidente dell’Inter, Massimo Moratti. Il problema, secondo il ministro, è che i soldi – tanti- che l’Inter spende per i suoi calciatori e per i suoi allenatori vengono (anche) da incentivi pubblici per l’energia prodotta con fonti rinnovabili e assimilate. Tra cui il tar, l’ultima scoria della lavorazione del petrolio. Questa è roba che unazienda dovrebbe pagare per smaltire. Invece, grazie a una legge, c’è chi la brucia e prende pure i soldi dallo stato per produrre energia pulita. Ma chi vogliono prendere in giro?. Onestamente si fa fatica a capire. Calderoli è ministro. Se questi incentivi sono sbagliati, perché il Governo non li elimina subito? Chi dovrebbe farlo? Invece che queste sparate o le stucchevoli Robin Hood tax sui petrolieri, non sarebbe meglio che il Governo promuovesse una maggiore liberalizzazione del settore in modo da ridurre la bolletta delle famiglie? I soldi che ottiene dall’attività di famiglia, Moratti è libero di spenderli come vuole. Perché non dovrebbe spenderli per calciatori e allenatori stranieri, cosa che sembra irritare Calderoli? Secondo il ministro, Moratti rimpiange i soldi spesi per il portoghese Mourinho? E allora perché il Milan aveva lo scorso anno il brasiliano Leonardo come allenatore? E che dovrebbero dire gli inglesi o gli irlandesi che hanno un allenatore della loro Nazionale italiano? Certo, l’Inter ha avuto in questi anni delle grosse perdite. Tutte però ripianate dai soldi di Moratti. Molto peggio ha fatto il Real Madrid, con perdite ancora maggiori e con una esposizione verso le banche sempre crescente. Nel calcio, in tutto il mondo, non c’è ancora un salary cap, cioè un monte salari che nessuna squadra può superare. Ciascuna squadra spende quanto vuole. Le regole possono essere cambiate e il Presidente dell’Uefa, Platini, sta lavorando a quello che lui definisce il fair play finanziario – ma al momento Moratti non ha violato nessuna regola. Ha ragione Fabio Cannavaro quando dice che siamo un paese ridicolo. Solo noi abbiamo il ministro Calderoli, l’amichevole Padania – Regno dei Borboni e un capitano delle Nazionale (quella vera) che, commentando un contratto milionario con una squadra araba sottoscritto a fine carriera, dice: L’ho fatto per una scelta di vita.
Ah bravo Giulio!
bravo, bravissimo,
fortunatissimo per verità.
Pronto a far tagli,
la notte e il giorno,
la scure in mano
sempre si sta.
Nella lettera inviata al presidente del Consiglio e ai presidenti di Camera e Senato al momento della promulgazione del decreto legge incentivi (n. 40/2010) il presidente Napolitano esprime, fra gli altri, dubbi in ordine alla sussistenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza per alcune nuove disposizioni introdotte, con emendamento, nel corso del dibattito parlamentare.
Si riferisce esplicitamente anche al comma 2-bis dell’articolo 3.
Questo comma prevede due modalità di rapida definizione delle controversie tributarie pendenti da oltre dieci anni e per le quali l’amministrazione finanziaria è risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio. Una di queste (lettera b)) prevede che il contribuente possa estinguere la controversia che lo riguarda, pagando un importo pari al 5 per cento del suo valore (riferito alla sola imposta oggetto di contestazione in primo grado, senza tenere conto degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni).
Ci ricorda Napolitano che la finalità dichiarata, in sé apprezzabile, di assicurare la durata ragionevole dei processi è contraddetta dall’assenza di qualsiasi disposizione a regime diretta alla semplificazione ed abbreviazione del contenzioso tributario.
La norma infatti consiste unicamente in una sanatoria di situazioni in essere, a cui avranno interesse ad aderire solo coloro che hanno ragionevole timore di perdere in Cassazione (pur avendo vinto nei due gradi precedenti).
Perché è stata riproposta, dopo che era stata già fermata una volta al momento della discussione della legge finanziaria? Chi ne avvertiva l’urgenza? A chi giova?
E un dato di fatto che le condizioni richieste per accedere alla sanatoria si attagliano alla perfezione – a un importante contenzioso pendente in Cassazione – che riguarda la Mondadori, dal valore stimato in circa 200 milioni di euro.
Sarà per questo che la norma è stata ribattezzata lodo Cassazione?
In un fase difficile per le famiglie italiane come questa di alta disoccupazione e grave ristagno economico, tra gli obiettivi più importanti c’è quello di aumentare il lavoro retribuito delle donne, tra i più bassi d’Europa e senza il quale oggi le famiglie non riescono a far quadrare il bilancio. Abbiamo già commentato come i tagli dell’organico della scuola abbiano avuto un impatto negativo sull’occupazione femminile sia direttamente che indirettamente e sulla crescente difficoltà di rientro al lavoro per le mamme. Il secondo obiettivo cruciale è investire nell’istruzione a tutti i livelli, ma soprattutto nelle prime fasi del ciclo di vita dei bambini, periodo essenziale per gli esiti cognitivi futuri. I recenti rapporti internazionali e i dati Pisa mostrano che i bambini italiani vanno meno bene a scuola che in altri paesi avanzati (siamo al quartultimo posto per i risultati nei test di scienze e matematica PISA 2006, e al sestultimo per quelli di lettura) e che la spesa in istruzione pubblica è del 15-20 per cento più bassa rispetto alla media dei paesi Ocse. La proposta di riorganizzare la calendarizzazione scolastica che ritarda ulteriormente il tempo di scuola rispetto ad altri paesi Europei (per esempio sia in Francia che in Inghilterra l’anno scolastico inizia nei primi due giorni di settembre e finisce a luglio) mette in maggiori difficoltà le famiglie. Quanto meno vogliamo spendere per l’istruzione dei nostri figli? Chi beneficerà dell’incremento del tempo per gioire delle vacanze estive? Andiamo forse nella direzione di un progetto di home schooling in cui le mamme staranno a casa ad insegnare ai loro figli? Si tratterebbe di un quadro molto coerente con il progetto di ottocentizzazione del paese che esce dalle pagine del documento congiunto del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e del ministero per le Pari opportunità intitolato Italia 2020.
In questi giorni migliaia di docenti universitari stanno completando la domanda dei cosiddetti progetti PRIN (progetti di interesse nazionale). Si tratta di un fondo piuttosto esiguo destinato a finanziarie la ricerca di base delle università (spese per contratti con giovani ricercatori, missioni, spese per attrezzature, ecc). In passato il ministero finanziava il 70 per cento del costo dei progetti e le università il residuo 30 per cento. Così un gruppo di ricerca finanziato, ad esempio, con 20.000 euro ne riceveva 14.000 dal ministero e 6.000 dalla propria università. Una nuova regola prevede ora che le università possono finanziare il progetto impegnando lo stipendio dei dipendenti. Sono costi che luniversità sostiene comunque, anche se il progetto non è finanziato. Si tratta in sostanza di un taglio del 30 per cento ai già esigui e irregolari finanziamenti per la ricerca di base: invece che 20.000 euro il gruppo di ricerca ne riceverà 14.000.
In questi giorni migliaia di docenti universitari stanno anche traducendo (dallinglese o dallitaliano), pagina per pagina, i progetti che intendono presentare. Perché questo supplizio? Interpellato, il ministero ha dichiarato che il progetto va presentato in due lingue perché chi valuta il progetto potrebbe non conoscere linglese. La burocrazia del ministero (i famigerati modelli A e B noti ai docenti costretti a riempirli) non
consente dunque di presentare un progetto esclusivamente in lingua inglese, con risparmio di tempo da parte dei docenti. Sarebbe una regola di buon senso, ma come si sa il buon senso spesso manca.