In Italia convivono due modelli contrattuali nel food delivery: quello della collaborazione autonoma regolata dal Ccnl Assodelivery e quello del lavoro dipendente regolato dal contratto aziendale Just Eat. Un confronto delle due esperienze.
Autore: Pietro Ichino Pagina 1 di 7
Nato a Milano nel 1949, è stato dirigente sindacale della Fiom-Cgil dal 1969 al 1972; dopo il servizio militare, dal 1973 al 1979 è stato responsabile del Coordinamento servizi legali della Camera del Lavoro di Milano. Dal 1970 è iscritto all’Albo dei Giornalisti e dal 1975 a quello degli Avvocati. Nell’ottava legislatura (1979-1983) è stato membro della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, eletto nelle liste del Partito comunista italiano. Ricercatore dal 1983 nell’Università statale di Milano, dal 1986 al 1991 è stato professore straordinario di diritto del lavoro nell’Università di Cagliari; dal 1991 è professore ordinario della stessa materia nell’Università statale di Milano. Nel 1985 ha assunto l’incarico di coordinatore della redazione della “Rivista italiana di diritto del lavoro” (diretta dal prof. Giuseppe Pera), della quale è stato vicedirettore dal 1991 e direttore responsabile dal 2002 al 2008, quando è stato eletto al Senato. È stato senatore dal 2008 al 2018. Dal 1997 è editorialista del Corriere della Sera. Dall’aprile 1998 al marzo 1999 ha collaborato anche con l’Unità. Quasi tutte le sue pubblicazioni sono disponibili nell’Archivio degli scritti di Pietro Ichino, agevolmente raggiungibile dal suo sito: www.pietroichino.it.
Negli ultimi cinque anni si è confermata la tendenza al superamento di un’anomalia italiana: l’ipertrofia del contenzioso giudiziale in materia di lavoro. Tramonta l’idea che la protezione delle persone che lavorano non sia veramente tale se non passa per le aule dei tribunali.
Nel mercato del lavoro del futuro saranno sempre più anche le persone a selezionare le imprese e non solo viceversa. La protezione più efficace della libertà e sicurezza di chi lavora sarà nel potenziamento dei servizi di orientamento, informazione e formazione.
La proposta del Governo belga di consentire la ripartizione dell’orario normale in quattro giorni è solo una parte di un pacchetto di misure che riguarderanno anche le nuove forme di organizzazione, nelle quali il tempo di lavoro non ha più rilievo.
Il protocollo del 7 dicembre non contiene novità rispetto alla legge che da quattro anni disciplina il lavoro agile. Ma è il primo accordo interconfederale che riconosce esplicitamente il ruolo centrale della contrattazione tra azienda e dipendente.
Ecco come in Germania, già cinquant’anni fa, il servizio pubblico per l’impiego affrontava e risolveva il problema delle persone difficilmente ricollocabili. Un modello di politiche attive del lavoro che l’Italia è ancora incapace di replicare.
La linea delle confederazioni sindacali maggiori, guidate dalla Cgil, sull’obbligo di vaccinazione anti-Covid in azienda sancisce la rinuncia all’autonomia e al rafforzamento del ruolo della contrattazione collettiva nel governo delle condizioni di lavoro.
Una legge che, come nella sanità, prevedesse l’obbligo di vaccinarsi per tutto il personale scolastico sarebbe altamente auspicabile. Ma la misura potrebbe essere adottata dal ministero, quale datore di lavoro, a norma dell’articolo 2087 del codice civile.
Anche senza emanare una legge ad hoc, opportuna ma non indispensabile, possono essere i rapporti contrattuali a sostenere la diffusione della copertura vaccinale. Perché il contratto può prevedere questa misura di protezione, là dove essa sia praticabile.
La decisione di JustEat di inquadrare i propri ciclofattorini come dipendenti implica la sperimentazione di un nuovo modello di organizzazione del rapporto di lavoro. Ma servirà comunque una deroga rispetto alla disciplina generale del lavoro subordinato.