Molti i dubbi sul ruolo svolto dalla Banca Popolare di Lodi e dalle autorità vigilanza nello scontro per il controllo di Antonveneta. Nonostante siano due banche simili per dimensione e attività, Bpl vale un terzo dellistituto di Padova. E’ anche la banca con i peggiori fondamentali di mercato. Secondo quali principi di regolamentazione prudenziale è stata allora autorizzata a rastrellare tante azioni Antonveneta a prezzi così alti? E agli azionisti di Bpl bisognerebbe forse spiegare come e in quanto tempo si pensa di recuperare i 500-800 milioni già spesi come premio. Una postilla sull’Ops della Popolare di Lodi.
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L’attuale disciplina delle sanzioni amministrative previste dal Testo unico della finanza, ma anche dal Testo unico bancario, è al tempo stesso iniqua e inefficiente, come del resto è stato riconosciuto in più occasioni dalla stessa Consob. E’ lodevole quindi che il progetto di riforma della tutela del risparmio affronti la questione. Tuttavia, le innovazioni risolvono solo alcuni dei problemi, mentre per certi aspetti ne aggravano altri. La materia merita un ampio e organico ripensamento, cui si potrebbe provvedere con apposita delega al Governo.
Pur tra innegabili contraddizioni, il disegno di legge sulla tutela del risparmio ha il merito di introdurre alcune importanti novità nella corporate governance delle società quotate. La più coraggiosa è l’introduzione della figura dell’amministratore di minoranza. Una scelta che ha subito risvegliato l’antico timore sui pericoli di una degenerazione dei conflitti societari che potrebbe derivare da un eccessivo spazio riconosciuto alle minoranze. Al contrario, potrebbe invece incoraggiare gli investitori istituzionali a organizzarsi e essere presenti nei consigli.
L’investitore non professionale deve ricevere sempre una informazione adeguata al tipo di rischio connesso ai diversi titoli e per lui comprensibile. E il disegno di legge approvato alla Camera la assicura. Ma c’è anche il pericolo di rendere l’emissione di obbligazioni ad alto rischio troppo costosa o impossibile. E’ un errore perché i titoli “spazzatura” svolgono una funzione utile sui mercati finanziari, come insegna l’esperienza di quelli più avanzati. Impedirne l’emissione dall’Italia servirebbe solo ad accentuare lo svantaggio competitivo dei nostri mercati.
Alcuni punti del disegno di legge di tutela del risparmio suscitano critiche, perché sono suscettibili di ostacolare l’ordinato funzionamento degli organi sociali senza peraltro realizzare l’obiettivo che si vuol perseguire. Tra i più rilevanti, la facoltà di nominare un amministratore attribuita alla minoranza che detiene il 2,5 per cento del capitale, i nuovi vincoli per le operazioni con parti correlate, l’azione di responsabilità contro gli amministratori promossa dal collegio sindacale, i rapporti tra le banche e le imprese azioniste.
Consiglio di amministrazione delle società quotate eletto sulla base di liste, con almeno uno dei posti coperto dalla minoranza. Lo prescrive il disegno di legge per la tutela del risparmio. Ma per gli azionisti potrebbe rivelarsi un danno, se rendesse le decisioni più difficili. Il risultato più probabile sarebbe la perdita di trasparenza del processo di nomina e potrebbe risultarne alla lunga compromesso il modello degli amministratori indipendenti, che anche nel nostro paese ha iniziato ad affermarsi, sulla spinta del Codice di autodisciplina. Luca Pacces commenta il contributo.
In Italia la cultura dell’autoregolamentazione non è molto diffusa. Se ne preoccupa anche il disegno di legge sulla tutela del risparmio con una norma logicamente incoerente, generica e dai probabili effetti negativi. Meglio sarebbe seguire l’esempio americano, che impone standard severi a tutte le società quotate e costringe i gestori a un ruolo attivo nella vigilanza sull’adesione, pur nel rispetto delle autonomie istituzionali. Preferire soluzioni barocche e innocue, non aiuta a costruire un mercato capace di tutelare gli investitori.
La tutela del risparmio si realizza con regole efficaci e severe. Ma soprattutto generando fiducia in un funzionamento trasparente e competitivo dei mercati finanziari. La legge approvata alla Camera non raggiunge questo obiettivo. La trasparenza come “bene pubblico” non è adeguatamente valorizzata. Si rinuncia a una seria riorganizzazione delle competenze di vigilanza. E per prevenire il conflitto di interessi tra banca e industria, si impongono vincoli di finanziamento agli imprenditori che partecipano al capitale degli intermediari.
Il mercato europeo del corporate e investment banking non è impenetrabile. Il successo di attori regionali europei fa ritenere che vi sia ancora spazio per operatori italiani che sappiano cogliere la sfida. I costi legati alla fusione di grandi gruppi, per esempio l’emergere di posizioni dominanti in alcune regioni, sarebbero di gran lunga compensati dai benefici che ne conseguirebbero per l’intera economia. Una specializzazione nelle attività all’ingrosso potrebbe anche favorire il processo di crescita dimensionale delle medie imprese italiane.
Il dibattito degli ultimi mesi sembra dare per scontato che la presenza di banche straniere sia dannosa per il nostro sistema economico. Mentre l’esperienza mostra che è vero il contrario. Nel paese di destinazione dell’investimento estero si ha una crescita dell’efficienza complessiva del sistema bancario, con effetti positivi sullintera economia. Se invece si crede che il sistema bancario italiano non sia ancora pronto per fronteggiare la concorrenza delle grandi istituti europei si apre un’altra questione: perché considerare terminata la sua ristrutturazione?