Seguiamo sempre con interesse gli interventi del professor Daveri e cogliamo l’occasione per significargli la nostra grande stima. Abbiamo letto anche l’articolo “Sorpresa: l’aumento dell’Iva colpirebbe i più ricchi” ma le conclusioni, in questo caso, non ci convincono affatto. Pensavamo che l’Iva fosse un’imposta terribilmente regressiva e ne siamo tuttora convinti.
PERCHÉ L’IVA È UN’IMPOSTA REGRESSIVA
A nostro avviso i risultati del suo pezzo sono dovuti al fatto di considerare, come elemento su cui computare l’aliquota d’imposta, i consumi, e non invece, come crediamo sia più corretto fare, il reddito disponibile delle famiglie. Il nostro suggerimento è coerente con la prassi di valutare la pressione fiscale in rapporto al Pil (reddito) e non alle diverse basi imponibili su cui gravano i diversi tributi.
Consideriamo la tabella Istat sulla ripartizione, per quinti di spesa, dei consumi soggetti alle varie aliquote Iva. Ciascuna percentuale andrebbe ponderata con la quota di consumo rispetto al reddito. È quanto abbiamo fatto noi mettendo a sistema i dati Bankitalia su redditi e consumi aggregati con la tabella Istat che ci è servita per disaggregare gli stessi consumi (trascuriamo che l’indagine sottostima sia i livelli del reddito sia quelli dei consumi rispetto ai dati di Contabilità nazionale; questo non inficia il ragionamento né esso viene alterato dal considerare la distribuzione del reddito medio famigliare al posto di quello equivalente).
Abbiamo poi calcolato le basi imponibili (consumi) per quinti di reddito e classi di consumo e calcolato il gettito Iva, il gettito Iva per ciascuno scaglione d’imposta in rapporto al reddito per ciascun quinto e poi il rapporto tra gettito Iva complessivo e reddito per ciascun quinto (sono i conti in sequenza, dall’alto verso il basso, nella tabella allegata).
Emerge che non solo l’Iva nel complesso è regressiva ma lo è anche per scaglioni d’imposta: cioé in percentuale del reddito, le aliquote al 4 per cento, 10 e 21 pesano comunque di più sui poveri piuttosto che sui ricchi. E la situazione non migliora certamente passando dal 21 al 22 per cento.
A nostro avviso concetti come equità, capacità contributiva, progressività o regressività delle imposte hanno bisogno di qualche metro comune per avere senso. Variare la base imponibile del tributo è un utile artificio pratico per migliorare l’efficacia e l’efficienza dei tributi stessi, la cui equità, valutata nell’ottica della progressività, dovrebbe essere commisurata, a grandi linee, al reddito-entrata (eminentemente il reddito disponibile delle famiglie).
QUI SI METTE IN DISCUSSIONE UN PRINCIPIO COSTITUZIONALE
Ci pare che se si seguisse il ragionamento del suo articolo non resterebbe che arrendersi al fatto che le imposte vanno soltanto e sempre innalzate, visto che in assoluto i ricchi ne pagano di più (e una volta innalzate non vanno mai e poi mai diminuite). Una conclusione sconfortante.
Siamo convinti, infine, che in ottica di ciclo vitale le imposte proporzionali abbiano un effetto talmente grave sul piano della regressività da mettere in discussione anche il principio costituzionale (riferito al sistema tributario), cioé potrebbero essere tali da rendere regressivo il complesso del prelievo su famiglie a basso reddito (che potrebbero risultare gravate da una pressione fiscale totale superiore a quella che indice contribuenti più ricchi).
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Edoardo Causarano
L’IVA è regressiva, senza alcun dubbio ma ha l’indubbio vantaggio di facilitare la tracciabilità delle attività commerciali. Come rimediare? Io la butto lì: e se si estendesse a tutti il rimborso dell’IVA? Se su base trimestrale qualsiasi consumatore potesse recuperare una quota proporzionale al reddito dell’IVA versata, eventualmente maggiore se destinata ad un fondo pensionistico, si potrebbe re-introdurre l’aspetto progressivo senza rinunciare alla tracciabilità delle attività fiscali. Se riservato alle sole transazioni elettroniche – requisito irrinunciabile per non rendere la procedura eccessivamente onerosa, con la quota IVA già scorporata nella registrazione – questo meccanismo ne diverrebbe un potente incentivo all’uso, con ovvi vantaggi nell’emersione del nero.
O no?