Il nuovo fondo del Tfr per le imprese con più di cinquanta addetti istituito presso l’Inps agirà con regole basate sul principio della ripartizione. Non darà luogo ad accumulazione, ma sarà immediatamente destinato ad aumentare alcune voci di spesa pubblica. Il passaggio dal regime attuale al nuovo riduce lo stock di capitale privato dell’economia, senza garanzia che quello pubblico aumenti in eguale misura. Ma la capacità di accumulazione di capitale è condizione essenziale per la crescita: la riforma si trasformerà in un ulteriore elemento di freno?

Il prossimo anno i lavoratori del settore privato dovranno scegliere come utilizzare il trattamento di fine rapporto. Potranno decidere di destinare l’incremento del proprio Tfr alla previdenza complementare, cioè a un fondo pensione. Qualora non optino per questa soluzione, per i lavoratori delle imprese fino a 50 addetti, il T continuerà ad accumularsi presso il datore di lavoro nelle forme consuete; invece nelle imprese con più di 50 addetti il Tfr verrà trasferito a un apposito fondo dell’Inps. Anche in questo caso sarà gestito con le stesse regole delle imprese private. Il flusso annuale avrà il medesimo rendimento del fondo attualmente in vigore (1,5 per cento più 0,75 per cento del tasso di inflazione); in caso di richiesta di anticipazione per acquisto della casa o spese mediche garantirà ai dipendenti con più di otto anni di anzianità la stessa liquidità.

Un cambiamento sostanziale

Sembrerebbe quindi che dal punto di vista del dipendente nulla cambi, tranne l’identità del debitore: le imprese secondo l’attuale normativa, il Tesoro secondo il nuovo fondo. Dal punto di vista economico generale, tuttavia, questo nuovo regime introduce un cambiamento sostanziale. Per apprezzare la differenza tra vecchie e nuove regole si consideri che, nel regime attuale, il Tfr è gestito secondo il principio della capitalizzazione.
Finora, il
Tfr è stato una posta contabile registrata nel passivo dello stato patrimoniale delle imprese. Non genera uscite di cassa per le imprese se non per le liquidazioni pagate nell’anno ai dipendenti che vanno in pensione o a quanti chiedono un anticipo e, per il periodo in cui non è corrisposto al lavoratore, resta a disposizione dell’impresa. Si tratta quindi di una passività a media e lunga scadenza, assimilabile ai prestiti obbligazionari, e rappresenta in quanto tale una fonte di finanziamento importante per le imprese.
Dal punto di vista concettuale, il
Tfr oggi non è diverso da un fondo finanziario che investe unicamente in obbligazioni e garantisce un rendimento fisso differito. L’unica differenza è che si tratta di un fondo non diversificato, poiché investito nel debito del solo datore di lavoro (ma comunque assicurato dall’Inps). Con questo fondo, le imprese finanziano una parte del proprio attivo: ad esempio, possono usarlo per attuare un progetto di investimento, per acquisire immobili o per investire in altre attività finanziarie. A livello aggregato, cioè dell’intera economia, queste risorse sono un’aggiunta netta alla formazione di capitale.
Il nuovo regime istituito presso l’Inps agirà con regole completamente diverse, basate sul principio della ripartizione. Il fondo non darà luogo ad accumulazione, ma sarà immediatamente destinato ad aumentare alcune voci di spesa pubblica. Il passaggio da un regime di
Tfr a capitalizzazione a un regime a ripartizione riduce quindi lo stock di capitale privato dell’economia. In un sistema a capitalizzazione, la ricchezza privata è più elevata perché i lavoratori accumulano, anno dopo anno, un fondo presso le imprese. A fronte di questa maggiore ricchezza le imprese finanziano una parte del proprio attivo. In un sistema a ripartizione il fondo non viene accumulato, ma immediatamente trasferito a maggiori spese.
La differenza tra i due sistemi è sostanziale. Nel momento in cui una parte del
Tfr viene immessa in un sistema a ripartizione (così come potrà avvenire per i lavoratori delle imprese con più di 50 addetti), il contributo diverrà un puro trasferimento e l’offerta di risparmio privato si ridurrà esattamente in pari misura. Anche il contributo del settore privato allo stock di capitale dell’economia si ridurrà in pari misura. Dal punto di vista quantitativo, potrebbe essere una riduzione cospicua.
Non si dispone ancora di stime affidabili, ma si prevede che circa il 30 per cento dei lavoratori dipendenti delle imprese con più di 50 addetti aderirà alla previdenza complementare . La voce passività per “riserve ramo vita e fondi pensione delle società non finanziarie” stimata nei conti finanziari della Banca d’Italia indica che nel 2005 lo stock del
Tfr è di circa 103 miliardi di euro.
Un lavoro recente di Rossella Bardazzi e Maria Grazia Pazienza, basato sulla distribuzione delle retribuzioni per classi di addetti, stima che nel 1998 il 65 per cento dello stock del
Tfr è detenuto da lavoratori di imprese con oltre 50 addetti. (1) Con queste ipotesi si può calcolare che a regime lo stock di capitale sottratto al settore privato sarà di circa 50 miliardi di euro, circa il 3 per cento del reddito nazionale (40 miliardi se il 40 per cento deciderà di aderire alla previdenza complementare).
È importante notare che questa riduzione si verificherà gradualmente, man mano che la riforma andrà a regime. Il suo pieno effetto si verificherà quando il
Tfr sarà stato completamente smobilizzato dalle imprese con oltre 50 addetti e tutti i lavoratori in regime misto (parte del Tfr presso le imprese e parte presso l’Inps) saranno in pensione. In assenza di ulteriori riforme, e qualora le percentuali di adesione e la distribuzione delle imprese per classi di addetti si mantenessero ai livelli previsti per il prossimo anno, la transizione sarà molto lenta (circa 40 anni).
Ciò non significa automaticamente che lo stock di capitale dell’economia si ridurrà, a regime, di 50 miliardi di euro. La riduzione di risparmio privato potrebbe infatti essere compensata da un afflusso di capitali da altri paesi; in questo caso, aumenterebbe però il nostro debito estero. Inoltre, lo stock di capitale di un paese è la somma dello stock di capitale privato e pubblico. Se il nuovo flusso del
Tfr venisse utilizzato integralmente per aumentare il capitale pubblico, il capitale complessivo dell’economia non cambierebbe. Ma cosa garantisce che le somme così sottratte all’accumulazione di capitale del settore privato vengano compensate da nuovi progetti di investimento pubblici, cioè progetti che non sarebbero stati effettuati in assenza di questa riforma? E non piuttosto dal ripianamento delle perdite delle Ferrovie dello Stato o dell’Anas, oppure a progetti di investimento pubblici che sarebbero stati effettuati comunque?
È una domanda importante: in Italia ci si chiede spesso perché l’economia cresce così lentamente. Ma la capacità di accumulazione di capitale è condizione essenziale per la crescita. Se la riforma del
Tfr sarà usata per finanziare la spesa pubblica per consumi pubblici o per trasferimenti, sarà un altro elemento di freno alla crescita del paese.

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(1) Rossella Bardazzi e Maria Grazia Pazienza

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