Il provvedimento sul Tfr in busta paga è un elemento importante della strategia complessiva per un rilancio della domanda aggregata e dei consumi. Certo, non mancano le criticità. Alcune simulazioni per chiarire gli effetti della misura nei diversi casi.
IL SENSO DEL PROVVEDIMENTO
Il trattamento di fine rapporto in busta paga costituisce un importante accompagnamento dal lato della domanda dei provvedimenti presi dal Governo sul versante dell’offerta: mercato del lavoro, sgravi di tasse e contributi. Le comprensibili osservazioni che il provvedimento ha ricevuto devono confrontarsi con un dato: condizione necessaria per il dispiegarsi di effetti moltiplicativi anticiclici di una riduzione di tassazione sulle imprese, o di regolazione del mercato del lavoro, è un aumento di domanda aggregata e per consumi che inverta le aspettative e quindi gli investimenti, facendo venire un po’ di sete al famoso cavallo che “non beve” per quanta acqua gli metti davanti. Ha solo parzialmente ragione Matteo Renzi quando dice che le imprese non hanno più alibi per le assunzioni: per assumere le imprese devono anche avere interesse nel farlo. L’esperienza del flop degli sgravi contributivi del Governo Letta e della deludente Youth Guarantee (sulla quale pesa anche la inefficienza dei servizi per l’impiego regionali) dimostra che le agevolazioni non generano “automaticamente” nuove assunzioni. Elementi di grande importanza dell’intervento sul Tfr sono la volontarietà dell’operazione, l’assenza completa di costi per le imprese, il rafforzamento della garanzia dello Stato al credito operato dalle banche. In questo quadro positivo, è giusto riflettere su alcune criticità.
LE CRITICITÀ
Una di queste è il fatto che non sembra essere previsto lo schema di accesso al credito per le imprese con più di 50 addetti: queste aziende anticiperanno utilizzando i versamenti che già oggi fanno all’Inps, quindi non ci sono oneri sulle imprese, ma perdita di gettito per lo Stato, comunque compensata dai 2,3 miliardi di entrate aggiuntive. Prevedendo il credito anche per le imprese più di 50 non vi sarebbe stata alcuna perdita di gettito. Altra criticità è quella della tassazione ordinaria (ma che non incide sugli 80 euro). Innanzitutto va chiarito che non c’è un aumento di imposta al quale corrisponde un minor reddito disponibile, bensì c’è un reddito immediatamente disponibile gravato da un’imposta più alta di quelle che probabilmente vi sarebbe se il tfr fosse percepito alla sua scadenza naturale. Tuttavia, è indubbio che tale tassazione da un lato potrebbe da un lato disincentivare la richiesta di anticipazione, dall’altro solleva una questione di equità , operando un “aumento” di prelievo fiscale sull’anticipo che graverà (vedi scheda) anche sulle basse retribuzioni (sia per effetto della riduzione delle detrazioni dovuto al crescere del reddito e sia della presenza delle addizionali regionali e comunali). Eccessivi invece sono i timori manifestati riguardo alla penalizzazione del reddito futuro e al possibile “disincentivo” al risparmio previdenziale, sul quale ho già scritto . Le elaborazioni della scheda confermano tale valutazione: alla anticipazione in busta paga per quattro anni del Tfr corrisponde una limitata riduzione del Tfr futuro o della pensione complementare. Infine, è emersa con forza la questione della fiscalità sulla previdenza complementare, attorno alla scelta di avvicinare la tassazione sui rendimenti dei fondi alle altre rendite finanziarie. E’ certamente vero che ciò risponde a un principio generale di equità tra tipologie di reddito e anche di efficienza dei mercati: spesso gli incentivi fiscali più che un beneficio per i lavoratori sono un aiuto ai gestori finanziari dei fondi, e lo sgravio fiscale spesso compensa bassi rendimenti, coprendo così le “défaillances” dei mercati finanziari. Forse sarebbe stato più opportuno intervenire su tale tematica in una più ampia revisione della tassazione sulla previdenza complementare, caratterizzata da un alto tasso di sussidio fiscale a beneficio sostanzialmente degli alti e altissimi redditi (e questa è una delle ragioni della scarsa adesione dei redditi bassi). Se si volesse fare un’operazione di vera equità fiscale nell’ambito della previdenza integrativa occorrerebbe volgere lo sguardo ad esempio al regime fiscale delle pensioni complementari, che favorisce solo gli alti e altissimi redditi che hanno una previdenza integrativa. Attualmente per una pensione pagata da un fondo privato complementare è prevista una tassazione (proporzionale e non progressiva) tra il 15 e il 9 per cento (dipende dagli anni di contribuzione): quasi la metà rispetto a quella media di una pensione pubblica o di una retribuzione. E il divario aumenta al crescere del reddito. Una pensione Inps, o Inpdap, o Inpgi, o cassa professionale di 3mila euro paga e pagherà fino a circa il triplo di imposte di una pensione privata corrisposta da un fondo complementare. Forse insieme alla necessità di aumentare gli incentivi fiscali sui redditi più bassi questo è un terreno possibile di intervento perequativo.
LE SIMULAZIONI
Effetti Tfr in busta paga e differente tassazione
La tabella 1 mostra gli effetti su sei fasce di retribuzione, evidenziando l’aggravio di imposta presente anche nei redditi bassi.
Con la tassazione prevista dal Governo, ad esempio, il reddito netto di un lavoratore a bassa retribuzione (che sceglierà il Tfr in busta paga) aumenterà attorno al 5,5 per cento, mentre con la tassazione separata sarebbe aumentato del 6,6 per cento. (si sono considerate anche le addizionali regionali e comunali es. Roma).
Effetti macro
La Legge di stabilità stima un’adesione media attorno al 50 per cento (dal 40 per cento nelle piccole imprese al 60 per cento nelle grandi). Il trasferimento in busta paga equivale a 10,1 miliardi al lordo e 7,9 al netto con un gettito fiscale aggiuntivo di 2,2 miliardi. L’impatto sui consumi può essere valutato attorno allo 0,8 per cento e quello sul Pil dello 0,5 per cento.
Se la tassazione fosse stata quella separata, l’effetto su consumi e Pil avrebbe potuto essere più alto (1,2 e 0,7 per cento) con un aumento di gettito equivalente derivante da un’imposta più bassa, ma compensata da un’adesione maggiore alla proposta di anticipo (70 per cento invece che 50 per cento).
Tab. 2b
Il risparmio previdenziale e Tfr in busta paga: incidenza ed effetti
Nella tabella 3 si riporta una simulazione sugli effetti che si determinerebbero nella situazione di un lavoratore con retribuzione lorda di 2.300 euro mese (netta 1.650) che uscisse dal lavoro dopo 35 anni e che decidesse di mettere il Tfr in busta paga per quattro anni (i primi quattro della sua possibile adesione alla previdenza integrativa – ipotesi di “massimo danno”) invece che al fondo o invece di tenerlo accantonato in azienda e prenderlo alla fine del rapporto di lavoro.
Lavoratore non aderente a un fondo pensione
Se non scegliesse di anticipare il Tfr in busta paga all’uscita dal lavoro maturerebbe circa 105mila euro di Tfr, e avrebbe ina pensione pubblica (se fosse tutto sul contributivo) di circa 1.511 euro (circa il 66 per cento al lordo della retribuzione che corrisponde a circa il 76 per cento al netto). (1)
Se scegliesse di avere il Tfr in busta paga ne avrebbe anticipati 9.200 lordi (quattro anni), avrebbe un Tfr a fine lavoro di 90mila euro e avrebbe una pensione pubblica sempre di 1.511.
Lavoratore aderente a un fondo pensione (2)
Se non scegliesse di anticipare il Tfr in busta paga: se ipotizziamo il caso di un lavoratore che per ben 35 anni avesse contribuito per il suo fondo pensione con il Tfr, i contributi dell’azienda e anche con i suoi contributi, non avrebbe ovviamente il Tfr perché sarebbe confluito nel fondo per la pensione complementare, ma avrebbe una pensione complementare di 752 euro lorde al mese (se il lavoratore contribuisse ad esempio solo per 20 anni il livello della pensione complementare sarebbe di 346 euro lordi).
Se scegliesse di anticipare il Tfr in busta paga: (e continuasse a pagare i suoi contributi al fondo e ad avere versati quelli dell’impresa) la pensione complementare scenderebbe a 651 euro.
(1) Le ipotesi macroeconomiche utilizzate sono quelle previste dal modello Ragioneria Generale dello Stato, comprese quelle relative ai rendimenti dei fondi pensione annui (2,5 per cento reale annuo al netto delle commissioni e costi del fondo) e i valori sono espressi in moneta costante 2015.
(2) Assumendo le ipotesi meno favorevoli e cioè che il Tfr che manca fosse quello dei primi anni, mentre se così non fosse, la riduzione di pensione complementare sarebbe molto più bassa, quasi impercettibile se il minor Tfr fosse quello degli ultimi anni immediatamente prima della pensione.
La tassazione dei fondi pensione: incidenza ed effetti
L’effetto dell’aumento di tassazione sui rendimenti dei fondi pensione avrà un impatto relativamente limitato sulla pensione complementare media. Ad esempio la riduzione è valutabile a circa 36 euro lordi in meno su una pensione complementare di 752 euro (nell’ipotesi di ben 35 anni di versamenti tassati con il nuovo sistema – Tabella 4).
Qualche perplessità ha destato anche l’aumento di imposta sui rendimenti del Tfr dall’11 al 17 per cento, che però ha una dimensione quantitativa molto limitata (su un Tfr medio la riduzione lorda annua è quantificabile attorno a 4 euro annui – Tabella 5).
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Giovanni Teofilatto
TFR Subito e Volontario:
Viste le proporzioni di reddito reale e aspettative dei mercato finanziario è second-post una redistribuzione del reddito a vantaggio del lavoro di sussiestenza se non sottopagato a favore dell’entrata di una nuova forza lavoro indicizzati in eaquivalenti saggi salariali: le maggiorazioni di redditi per i lavori svantaggiati sono equivalenze all’entrata dell’esercito industriale di riserva indice dei prezzi al consumo in trend costanti dei prezzi al consumo.
claudio pinna
Ma come si fa a dire che il nostro sistema fiscale per la previdenza complementare favorisca i redditi alti e altissimi quando prevede un contributo massimo non imponibile pari a circa euro 5.000 uguale per tutti? E’ vero il contrario…..
rosario franza
La possibilità di percepire il TFR mensilmente in busta paga ha dei costi che il governo fa pagare ai lavoratori . Se pensiamo che un lavoratore che percepisce una retribuzione mensile netta di euro 1.028,00, arriva a pagare 145 euro in un anno, percepiamo qual’é il sacrificio che si chiede ! E’ come andare in banca chiedere un prestito di 886 euro e ricevere al netto 741 euro, pagando 145 euro di interessi, il 16,36 % …un bel tasso, direi un tasso pesante !
Se questo è l’effetto i lavoratori, che sanno farsi i loro conti, se né guarderanno bene dal chiedere l’anticipazione del TFR in busta paga, tranne nel caso di reale bisogno !
E’ facile prevedere che coloro che né avranno più bisogno saranno quelli che guadagnano meno, scontando così una misura che allarga le diseguaglianze …, insomma a chi togliamo ?…sempre ai più poveri …Non è una bella cosa .
Francesco Pellegrini
Gentile Prof. Patriarca,
lei presenta una dettagliata analisi e propone scenari, stime e previsioni che hanno sicuramente una loro validità. Resta tuttavia una domanda che dovremmo tutti farci prima ancora di dare inizio alle analisi: chi è la mente malata che ha tirato fuori questa proposta?
Chi è che propone di mettere mano all’ultimo salvagente di risparmio rimasto alla gente comune? Come si può essere così sciagurati da pensare di usare il TFR per soddisfare ai bisogni quotidiani? Come si fa a essere così falsi e imbroglioni da riempire le tasche della gente con i propri soldi (e mandando contemporaneamente in fila per due verso il tribunale fallimentare altre migliaia di imprese italiane) per poi passare a raccoglierli tramite TASI, patrimoniali prossime venture e balzelli di ogni tipo e natura che verranno poi dirottati per tappare i buchi degli operatori finanziari del nord europa?
Come si fa ad essere così smaccatamente traditori di un intero popolo.
A chi dovesse mai venirmi a chiedere se voglio incassare il TFR per poi farmelo portare via in tasse e consumi risponderò come rispose il generale Cambronne a Waterloo.
HK
Scusate, ma mi sembra che ci perdiamo i punti fondamentali.
Lo stato in bolletta ha interesse ad aumentare i consumi (il PIL) e ridurre i costi da prestazioni (non i SUOI costi).
Il primo si ottiene spostando il TFR da risparmio a reddito a carico aziende (infatti non vale per i dipendenti pubblici, ma che strano..).
Il secondo imponendo alle ( ancora ) aziende di farsi carico dei licenziati per due anni al posto dello stato.
Bravissimi a spargere le cortine di fumo e a farci fare i galli di Renzo.