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La morale della favola irlandese

Ci sono insegnamenti da trarre dalle recenti vicende dell’Irlanda. Intanto, non basta considerare quanto un paese cresce, occorre anche considerare perché cresce, poiché da questo dipende la sua capacità di onorare i suoi impegni finanziari. La crescita finanziata prevalentemente dal capitale estero si rivela intrinsecamente fragile. E certo, gli Ide sono meno facili da smobilitare, ma proprio per questo la necessità di remunerarli può essere una zavorra per un sistema economico per parecchio tempo.

 

L’Irlanda è in crisi e la cosa più importante sembra ora essere a chi dare la colpa: alle famiglie spendaccione, allo stato sociale pletorico, alle banche imprudenti… Ognuna di queste interpretazioni porta con sé un pezzo di verità, ma a me pare che non ci si soffermi abbastanza su quella che i dati mettono in luce come la vera anomalia irlandese nel panorama europeo.

ARRIVANO I CAPITALI…

Tutti sanno che la crescita folgorante dell’economia irlandese è dovuta a un grande afflusso di investimenti esteri, incoraggiato dalle basse aliquote sui redditi di impresa. Il capitale estero affluisce in un paese, finanziandone gli investimenti, attraverso due canali distinti: uno indiretto, se l’investimento viene realizzato da un cittadino prendendo soldi in prestito all’estero; uno diretto, se l’investimento viene realizzato direttamente da un imprenditore straniero con risparmio estero: si parla allora di investimenti diretti esteri (Ide), e siamo nel caso dell’Irlanda.

…E PARTONO LE LORO REMUNERAZIONI

Se un imprenditore residente prende soldi in prestito all’estero, il paese si indebita: la bilancia dei pagamenti registra prima con segno positivo l’ingresso dei capitali nel paese (sono soldi che arrivano) e poi con segno negativo i pagamenti di interessi e la restituzione del prestito (sono soldi che partono dal paese per “tornare a casa”). Anche gli Ide vanno remunerati: l’imprenditore estero che viene a impiantare un’attività produttiva, creando ricchezza e portando lavoro (se è bravo), lo fa per guadagnare un profitto (elevato se le tasse sono basse). Questo profitto sarà in parte reinvestito, in parte speso nel paese, e in buona parte rimpatriato verso il paese estero di residenza dell’imprenditore. Per la bilancia dei pagamenti i profitti rimpatriati all’estero sono redditi passivi, che remunerano il “debito” contratto impiegando capitale estero sotto forma di Ide.

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IL DATO ANOMALO

Nel periodo dal 1992 al 2006 (cioè dalla liberalizzazione dei movimenti di capitale in Europa all’anno precedente la crisi globale) i redditi da capitale pagati dall’Irlanda al resto del mondo sono stati in media pari al 32 per cento del Pil, a fronte di una media del 6 per cento per gli altri membri dell’eurozona a 11 paesi. Insomma, in rapporto alle sue risorse, l’Irlanda ha pagato ai capitali esteri impiegati sul suo territorio una somma quintupla rispetto alla media e più che sestupla rispetto a quella delle economie più rilevanti dell’eurozona: Germania, Francia e Italia si collocano tutte poco sotto il 5 per cento.

LE SVISTE

È ovvio che un paese che ha importato relativamente tanti capitali debba pagare un conto relativamente salato. Meno ovvio il fatto che nessuno si sia allarmato a fronte di un dato così anomalo. Questo è dovuto a tre motivi. Il primo è l’euforia per l’altro dato anomalo, quello sulla crescita. Nel periodo 1992-2006 l’Irlanda è cresciuta al 7 per cento, contro una media del 3 per cento negli altri paesi dell’eurozona. Il secondo motivo è che in presenza di un saldo redditi fortemente negativo, dal 1992 fino al 1999 l’Irlanda ha esibito conti esteri blandamente positivi, perché se da un lato pagava un conto salato agli investitori esteri, dall’altro esportava la maggior parte delle merci prodotte da questi investitori sul suo territorio. Il terzo motivo è che grazie ai tassi di crescita elevati, l’Irlanda ha realizzato un consolidamento fiscale impressionante, portando il rapporto debito/Pil dal 91 per cento del Pil nel 1991 al 25 per cento nel 2007. Per analisti indottrinati a concentrarsi sulla finanza pubblica questa era una garanzia sufficiente. Certo, il fatto che nel frattempo quasi tutti i redditi prodotti dal commercio se ne andassero a remunerare capitale estero qualche dubbio poteva sollevarlo.

LA MORALE DELLA FAVOLA

Quando, a partire dall’ingresso nell’euro, la competitività irlandese si è sgretolata, i proventi del commercio estero non sono più bastati a remunerare i capitali esteri e il paese si è avvitato nella spirale del debito (privato) estero. Dal 2000 al 2008 il cambio irlandese si è apprezzato del 40 per cento in termini reali, il saldo commerciale è diminuito di 13 punti di Pil e le partite correnti sono andate in rosso raggiungendo la soglia del -5 per cento del Pil. Questa la storia, il resto è attualità, con una morale semplice: non basta considerare quanto un paese cresce, occorre anche considerare perché cresce, poiché da questo dipende la sua capacità di onorare i suoi impegni finanziari. La crescita finanziata prevalentemente dal capitale estero si rivela una volta di più come intrinsecamente fragile. Da un decennio a questa parte, i paesi che collassano finanziariamente hanno un debito estero notevole, a fronte di un debito pubblico spesso trascurabile. Il nemico della stabilità non è quasi mai lo Stato. L’anomalia irlandese si inserisce in modo perfettamente coerente in questo quadro, aggiungendo un tassello di informazione importante. Normalmente la teoria economica considera i flussi di Ide come meno preoccupanti degli altri flussi finanziari, perché meno esposti a repentini cambiamenti di direzione: una fabbrica non si può smobilitare con la stessa rapidità di un investimento in derivati. La storia dell’Irlanda mostrerà, temo, che anche questa medaglia ha il suo rovescio. Certo, gli Ide sono meno facili da smobilitare, ma proprio per questo la necessità di remunerarli può zavorrare un sistema economico per parecchio tempo.

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16 commenti

  1. Flavio Pressacco

    Analisi interessante. ma bisogna aggiungere una riflessione sulla qualità della crescita fonte di un altro squilibrio rispetto a quello interno-estero. allora industrie e servizi di alto profilo domestici o estero trainati poco importa, oppure call center, assemblaggi ed edilizia speculativa? E la correlazione fra questa bassa qualità e trattamento fiscale di favore? Quelli che esaltavano il modello Irlanda e suggerivano di riprodurlo anche in Italia dove sono?

  2. claudio leonardi

    Per alcuni versi anche in Turchia mi pare ci sia lo stesso caso, sono affluiti molti investimenti dall’estero, lo stato ha ceduto a investitori esteri molti pezzi di industrie, con la differenza che la Turchia è un grande paese, con una grande struttura produttiva, una larga e crescente popolazione con capacità di risparmio e spesa crescente, in una parola un grande mercato interno (e un indotto di grandi paesi confinanti come l’Iran), per questo i profitti dovrebbero restare per essere reinvestiti.

  3. renato calfi

    L’analisi è pienamente condivisibile. E tuttavia non si può fare a meno di rilevare che per lungo tempo questo autorevole sito ha ospitato scritti di economisti illustri che additavano l’Irlanda e la sua folgorante crescita come modello. Per carità, tutti possono sbagliare, ma la lezione dovtebbe consigliare maggiore cautela a quanti, tra i collaboratori di questo sito, si sentono depositari di verità e di ricette inclinando a considerare "antichi", incoerenti, illusi o addirittura attusi quanti non la pensano come loro e non seguono i loro precetti.

  4. gianluigi

    Complimenti per l’articolo, di una lucidità esemplare, tanto nella forma quanto nella sostanza. credo che il suo contributo più importante sia l’invito a leggere con criterio i numeri che gli organi di cosiddetti "informazione" (ma anche una parte del pensiero economico moderno) ci hanno abituato ad ingurgitare in ogni momento della quotidianità. mi auguro lo leggano tutti coloro – anche tra gli assidui frequentatori di lavoce.info – che fino a due anni fa (!) gridavano al miracolo irlandese. e spero lo leggano anche tutti coloro che vanno (perfino oggi!) ripetendo "…però gli USA fino al 2007 crescevano al 4%!"

  5. umberto carneglia

    L’articolo è molto interessante ed affronta sotto un’ottica poco consueta il tema della crescita dei Paesi in ritardo, sotto la spinta degli investimenti reali diretti dall’estero ;ma non chiarisce – mi sembra – il punto principale: cosa ha derminato l’enorme crisi dei bilanci delle banche irlandesi? Sarei molto grato all’autore se lo spiegasse. .

  6. Paolo Greco

    Mi può chiarire perché l’euro ha sgretolato l’economia irlandese. Con gli Ide anche la Cina può correre lo stesso rischio?

  7. rita castellani

    Ergo: l’Irlanda non è Israele. E non bastano gli irlandesi d’America a tenere in piedi un’economia dall’esterno.

  8. ema da mi

    Mi complimento innanzitutto per la disamina che trovo molto interessante ed istruttiva. Vorrei inoltre che morale fosse insegnamento ed insegnamento saggezza, ma per qualche ragione non mi sento di garantire che non verranno raccontate nuove favole, contraddistinte dalla medesima morale. Sono pessimista?

  9. Gennaro Varriale

    Gli economisti dimenticano spesso che dietro alle loro fredde cifre, ci sono storie di uomini e donne, che vedono distrutte le loro vite da azzardi ideologici che nulla hanno a che fare con la realtà, ma sono frutto di teorie stramplate e senza senso. La tigre celltica diventata un gattino spellacchiato è l’esatta dimostrazione di ciò, aggiungiamo i tre paesi baltici (Estonia, Litunia, Lettonia), l’Islanda di cui si è perso traccia, la Russia, la Spagna, il Portogallo, l’Italia, aggiungo infine gli Stati Uniti, esempio più eclatante di ciò che significa privatizzare i profitti e socializzare i debiti. La verità è che nei governi ci sono tutta una serie di economisti che vengono direttamente da gruppi finanziari, che hanno tutto l’interesse ad un mercato senza alcun governo, tanto poi ci pensaranno i contribuenti a pagare…

  10. Guido Gay

    Complimenti per l’interessante analisi, che mette in luce la fragilità della crescita irlandese già dagli anni ’90. Noto solo che alcuni anni fa altri autori della Voce anni fa avevano espresso valutazioni molto differenti, concentrandosi su aspetti parziali della crescita irlandese, non consentendo una valutazione equilibrata dei rischi ad essa connessi. A titolo d’esempio: Europa: non bastano i cellulari a far crescere la produttività di Francesco Daveri e Guido Tabellini 18.02.2003 "Non casualmente, gli unici paesi europei con una crescita elevata della produttività nella seconda metà degli anni novanta sono Irlanda, Finlandia e Svezia, nei quali i settori in cui si produce l’IT costituiscono una proporzione elevata del valore aggiunto e dell’occupazione." Cordialmente Guido Gay

  11. Giorgio Ragazzi

    Gli investimenti diretti danno luogo a pagamenti di redditi da capitale all'estero solo se ed in quanto la società locale fa profitti. Questi profitti sono certamente destinati a scendere, e magari di molto, se il mercato nazionale è in crisi o se esportare è meno profittevole per la perdita di competitività. Vi è quindi una differenza fondamentale tra ide e debiti. Il problema dell'Irlanda non mi pare possa essere attribuito a troppi investimenti diretti dall'estero quanto piuttosto al fatto che le banche irlandesi sono cresciute tanto che le loro passività sono salite sino a 5 volte il PIL. Il governo ha voluto evitare una fuga di depositi, dopo il fallimento Lehman, garantendo tutte le passività del sistema bancario, ma poi è risultato evidente che questo impegno avrebbe fatto esplodere il debito pubblico a livelli insostenibili.

  12. Gianluca Minieri

    Sono sostanzialmente d’accordo con la disamina fatta da Alberto Bagnai, anche se credo vadano aggiunti due elementi di riflessione: 1) uno dei fattori vincenti per le economie cresciute grazie agli IDE e’ rappresentata dalla capacita’ dei singoli governi di minimizzare la percentuale di profitti che gli imprenditori rimpatriano. Per far questo e’ necessario essere in grado di offrire agli imprenditori alternative di investimento interessanti, investendo (durante le fasi di espansione economica) in infrastrutture, in modo da rendere il paese maggiormente competitivo. In questo modo si tramuta la crescita traballante derivante dai capitali esteri in crescita permanente e ci si protegge per quando tali capitali esteri andranno via. Il governo irlandese ha invece attuato un piano di spesa pubblica scriteriato, concentrato sul finanziamento della bolla immobiliare (dovuto in gran parte alle connivenze esistenti tra industria immobiliare e politica) anziche’ sulle infrastrutture. 2) Nel periodo del boom economico (ed immobiliare) irlandese, l’Irlanda avrebbe avuto bisogno di moderare la crescita con tassi al 6%, mentre i tassi bassi dell’area euro hanno alimentato la bolla immobiliare.

  13. Francesco Benevolo

    Analisi sintetica, interessante ed incisiva. Però mi fa pensare ad un grande problema che abbiamo un po’ tutti: le analisi ex post, brillanti come la tua, non sono certo agevoli da elaborare. D’accordo. Ma la questione chiave sono le analisi ex ante, la capacità di "prevedere" gli effetti delle politiche e conseguentemente di "programmare" efficaci interventi. Questa, a mio avviso, è la vera lezione ancora tutta da studiare. Anche perché, in mancanza di tali fondamentali credibili supporti, quello che si verifica nei fatti è che non si è più capaci di fare programmazione e strategia a medio-lungo termine e le politiche si limitano a tappare falle nel circuito del sistema-Paese o, nella miglipore delle ipotesi, a mettere in campo con immediatezza semplici intuizioni personali di qualcuno o, ancora, a tenere chiusa la borsa dei denari perché, come noto, senza agire si evita di fare grandi errori. Comunque bravo Alberto! Grazie.

  14. Roberto

    Chi ha studiato economia e certi livelli trova sempre la scappatoia, la giustificazione per certi comportamenti, se poi aggiungiamo che per un certo periodo c’è una certa moda, il lustro successivo ce n’è un’altra, il problema è che dicono: " ahhh , ci siamo sbagliati, però quelli che si sono sbagliati hanno riempito la saccoccia, mentre il pinco palla qualsiasi l’ha svuotata o è alla canna del gas. Morale, in economia, meno teoria e più pratica, la libertà di mercato non è quella che vogliono farci intendere adesso, questi movimenti di denaro, tutti questi strumenti finanziari che sono pari a X volte il PIL mondiale magari in mano ad una sola banca d’affari, come si suol dire, nuoce gravemente alla salute, la cosa vergognosa è che gli stati sono andati in soccorso a questo sistema, indebitando ulteriormente chi è già messo male e senza nessuna colpa.

  15. bellavita

    Il mio commento è un apologo: dialogo tra un piantotore di cotone e il suo sovrintendente "Jim, stanotte ho perso un fracco di soldi al casinò del battello sul Mississippi" "Mi dispiace…proprio adesso che dovevamo comprare una nuova sgranatrice per il cotone e rifare la strada d’accesso per i carri" "te le sogni queste spese, io devo pagare i debiti. Anzi, riduci le razioni agli schiavi" "ma così lavoreranno meno" "e tu falli picchiare di più" " ma anche questo li farà lavorare di meno" "arrangiati, ma i debiti di gioco vanno pagati subito, è la regola dei gentiluomini del Mississippi… anzi, sai cosa ti dico: ti licenzio, così risparmio uno stipendio e metto al tuo posto il vice, che è più feroce.." "Già adesso in due non bastiamo, ma lei faccia pure, preferisco non esserci quando qui tutto andrà a rotoli…" Il dialogo si svolge in francese cajum, che abbiamo pensato di tradurre. Ogni paragone su come si è generata la crisi finanziaria d’occidente e su come governi, istituzioni internazionali, economisti e giornalisti pensano di risolverla è puramente voluto.

  16. Dario Quintavalle

    Piuttosto interessante l’osservazione secondo cui "Da un decennio a questa parte, i paesi che collassano finanziariamente hanno un debito estero notevole, a fronte di un debito pubblico spesso trascurabile. Il nemico della stabilità non è quasi mai lo Stato", considerato che in Italia si continua a ritenere lo Stato, i suoi dipendenti, i suoi supposti "sprechi" (che sono in realtà finanziamenti più o meno occulti al sistema delle imprese) l’unico vero piombo nelle ali del Paese. Francamente, anche se non c’è da essere allegri sulle prospettive dell’Italia, la sua inclusione tra i cosiddetti Piigs mi pare del tutto gratuita.

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