Quando è stato introdotto l’euro gli squilibri delle bilance dei pagamenti correnti erano molto contenuti e non strutturali. Ma nei sette anni successivi il surplus corrente della Germania è esploso ed è ormai il più alto al mondo, superiore persino a quello della Cina. Parallelamente, sono anche cresciuti enormemente i disavanzi dei cinque paesi dell’area mediterranea. È una situazione insostenibile, ma le soluzioni “classiche” sono di difficile applicazione perché inaccettabili dalla Germania o efficaci solo nel lungo periodo. L’ipotesi di agire sull’Iva.

Thomas Mayer, economista della Deutsche Bank, sostiene che “Sotto la superficie della crisi delle banche e del debito pubblico dell’area euro vi è una crisi delle bilance dei pagamenti determinata dal disallineamento dei tassi di cambio reali”. (1)

ALL’ORIGINE DELLA CRISI

La crisi dell’euro ha le sue radici proprio in questi squilibri strutturali di cui raramente si parla. Consideriamo i saldi delle bilance dei pagamenti correnti (esportazioni meno importazioni, per intenderci) per i principali paesi (miliardi di dollari). (2)

Quando è stato introdotto l’euro gli squilibri delle bilance dei pagamenti correnti erano molto contenuti e non “strutturali”; la Germania era in pareggio. Nei sette anni successivi il surplus corrente della Germania è “esploso” ed è ormai il più alto al mondo, superiore persino a quello della Cina. Parallelamente sono anche “esplosi” i disavanzi dei cinque paesi indicati sopra, passando cumulativamente da un disavanzo di 23 miliardi di dollari nel 2001 a uno di 292 miliardi di dollari nel 2007. Questi disavanzi venivano coperti da massicci movimenti di capitali privati, soprattutto bancari, in uscita da Germania e Olanda.
Ma da metà 2008 il meccanismo si è inceppato; la crisi finanziaria americana ha fatto sorgere anche timori per la tenuta dei paesi europei il cui disavanzo corrente aveva raggiunto livelli abnormi. L’afflusso di capitali privativerso i paesi in disavanzo si è arrestato e poi, nel 2010-2011, ha addirittura invertito direzione, con massicci rimpatri di capitali da parte delle banche tedesche e acquisti di titoli tedeschi da parte di non residenti. Questa è la principale causa dell’aumento degli spread sui titoli pubblici di Spagna e Italia.
Venendo meno l’afflusso di capitali privati, per il finanziamento dei disavanzi correnti dei paesi in deficit si è dovuto far ricorso alla Banca centrale europea che è intervenuta acquistando titoli di stato e, soprattutto, offrendo ampie linee di credito alle banche dei paesi in difficoltà. Questi fondi sono poi rapidamente rifluiti alla Bundesbank tramite il sistema di pagamenti “Target 2” per cui, alla fine e nella sostanza, i surplus di parte corrente della Germania nel 2009-2011 hanno portato ad un pressoché corrispondente accumulo di crediti della Bundesbank verso le banche centrali dei paesi in disavanzo, e questi hanno finanziato i loro disavanzi accumulando debiti verso la Bundesbank (vedi anche “Bilance dei pagamenti: l’Eurosistema non basta”).

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FINO A QUANDO?

Per quanto ancora si potranno finanziare così i disavanzi dei paesi strutturalmente in deficit? Se non riprende l’afflusso di capitali privati, e non si vedono motivi di ottimismo in tal senso, lo spazio per ulteriori finanziamenti pubblici appare limitato: la Bce non potrà aumentare ancora di molto l’esposizione verso le banche dei paesi in difficoltà visto il deterioramento della qualità dei collaterali dati a garanzia mentre le risorse dell’Esm sono limitate e di non immediata né facile attivazione. Tutta l’attenzione, gli sforzi e i negoziati dei leader europei sono rivolti ad incrementare questi canali di finanziamento pubblico mentre viene pressoché interamente trascurato il problema vero: quello dei modi e tempi per correggere gli squilibri strutturali delle bilance dei pagamenti correnti.
Se Italia, Spagna, Portogallo e Grecia mantenessero per i prossimi due anni politiche fiscali restrittive con economie stagnanti o in recessione, il loro disavanzo cumulato dovrebbe ridursi, secondo le stime dell’Ocse, da 167 miliardi di dollari nel 2011 a 55 miliardi nel 2013 (vedasi tavola sopra). Riusciranno questi paesi a mantenere tali politiche e sopravvivere per due anni e oltre? Quand’anche ciò avvenga, Germania e Olanda, sempre secondo l’Ocse, continuerebbero ancora nel 2013 ad avere un surplus di 280 miliardi di dollari, analogo a quello del 2011. Il saldo di bilancia corrente dell’area euro passerebbe allora da un sostanziale equilibrio a un ampio surplus verso il resto del mondo, prospettiva di cui è difficile valutare fattibilità e conseguenze (sul cambio dell’euro). Il fondamentale e strutturale fattore di squilibrio dell’area euro è il perdurante, enorme surplus di parte corrente dei paesi “nordici”.
La via “naturale” per ridurre il surplus strutturale tedesco sarebbe la rivalutazione della sua moneta rispetto a quelle degli altri paesi dell’area euro. Se si esclude il collasso dell’euro, cos’altro potrebbe fare, in teoria, la Germania per salvare la moneta unica?
Una possibilità è reflazionare la sua economia: aumentare la spesa pubblica e il disavanzo, consentire forti aumenti salariali, accettare un tasso d’inflazione assai più elevato di quello degli altri paesi europei. Ma i tedeschi accetteranno mai una tale prospettiva? Notiamo anche che, sin’oggi, il tasso d’inflazione in Germania (2 per cento) resta più basso della media europea e dell’Italia in particolare (3,4 per cento).
Una seconda possibilità è quella di accollarsi massicci trasferimenti di risorse (non prestiti bensì trasferimenti “a fondo perduto”) a favore degli altri paesi, nel quadro di una unione politica. Questo è ciò che avviene all’interno dei singoli paesi: in Italia ad esempio la spesa pubblica nelle regioni meridionali è notevolmente superiore al gettito fiscale ivi raccolto. In una unione politica europea potrebbe considerarsi normale che parte del gettito fiscale delle aree più ricche vada a finanziare la spesa pubblica nelle aree o stati più poveri. Si potrà mai arrivare a una vera unione politica tra paesi europei? Forse no, e comunque certamente non nell’arco dei prossimi pochi anni.
Sembra assai difficile, per i paesi in disavanzo, recuperare competitività nei confronti della Germania. Le tanto invocate “riforme” (meno burocrazia, liberalizzazioni e via dicendo), quand’anche si facciano, producono effetti solo nel lungo tempo. Effetti immediati si potrebbero invece ottenere agendo sulla fiscalità. Ad esempio, il Fondo monetario indica, per l’Italia, la possibilità di aumentare l’Iva e ridurre, a parità di gettito, gli oneri sociali a carico di imprese e lavoratori.
Finché non si correggono questi squilibri, ulteriori crediti della Bce si traducono, in fine e nella sostanza, in maggiori crediti della Bundesbank verso le banche centrali dei paesi in disavanzo. Lo stesso Mayer si chiede: quanto potrà durare questo sistema? Soprattutto considerando che, mentre l’Esm è oggetto di approvazione parlamentare, l’accumulo di crediti da parte della Bundesbank non lo è, anche se la probabilità di rimborso di quei crediti appare quanto meno remota.

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(1) www.dbresearch.de “Euroland’s hidden balance of payments crisis”, 26 ottobre 2011.
(2) Si noti che ciò che conta non sono i saldi intra area euro bensì quelli complessivi, riportati nella tabella. Infatti, non intervenendo l’Eurosistema nel mercato dei cambi, se la bilancia dei pagamenti complessiva (parte corrente più movimenti di capitali) è in disavanzo si determina un aumento del debito Target2 verso l’Eurosistema.

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