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Perché la Bce sceglie ancora il Quantitative easing

Mario Draghi ha annunciato l’intenzione di rinforzare e prolungare il Quantitative easing oltre la sua scadenza prevista. Ma ha funzionato o no? La ripresa è debole, ma per la prima volta da anni le previsioni di crescita sono state periodicamente riviste al rialzo. Il tabù dei tassi negativi.
Tassi di interesse e Quantitative easing
Mario Draghi ha annunciato l’intenzione di rinforzare e prolungare il cosiddetto Quantitative easing (Qe per gli amici) oltre la sua scadenza, finora prevista per il settembre 2016. Ma cos’è il Qe? È l’ultima spiaggia del banchiere centrale. Quando l’arma dei tassi d’interesse diventa una pallottola spuntata, bisogna inventarsi qualcos’altro. E allora si ricorre al cosiddetto “allentamento quantitativo”, che significa: aumentare la quantità di moneta in circolazione.
In tempi normali, le banche centrali agiscono manovrando i tassi d’interesse. Quando la Banca centrale europea vuole dare una spinta all’economia, abbassa il tasso d’interesse al quale presta i soldi alle banche, in modo che queste a loro volta riducano il costo dei prestiti alle imprese e alle famiglie. Anche la Banca d’Italia agiva così prima dell’euro: qualcuno ricorderà il tasso ufficiale di sconto (Tus). Questa politica incontra però un limite naturale in un numero: zero. Quando il tasso d’interesse raggiunge il “pavimento”, lo zero appunto, è ben difficile ridurlo ancora. Ecco allora che la banca centrale è costretta ad abbandonare lo strumento abituale, cioè il prezzo del denaro (leggasi tasso d’interesse), e comincia a usare la quantità di moneta.
È quello che è successo nell’area euro e prima ancora in altri paesi, come Stati Uniti e Inghilterra. La Bce ha raggiunto il pavimento nel settembre del 2014, quando ha portato il tasso d’interesse sulle sue operazioni di prestito alle banche al livello di 5 centesimi, cioè pressoché nullo. Non è bastato a risollevare una economia nel complesso assai debole, seppure con qualche differenza tra un paese e l’altro. La Bce ha quindi avviato all’inizio di quest’anno un massiccio programma di acquisto di obbligazioni, prevalentemente titoli di Stato. Alla Bce li vendono le banche, che ricevono in cambio moneta, nella forma di depositi presso la Bce stessa. E così i depositi che le banche detengono presso la Bce aumentano.
Gli effetti sull’economia
Perché operazioni simili dovrebbero giovare all’economia? L’intento della Bce è di indurre le banche ad aumentare la quantità di prestiti alle imprese e alle famiglie. Trovandosi inondate di soldi, dovrebbero essere spinte a prestarne almeno una parte al resto dell’economia. È vero però che prestare soldi è un’attività particolarmente rischiosa in un periodo di crisi economica: la prospettiva di non riaverli più indietro è più concreta che in altri tempi. Quindi, una banca può scegliere di “parcheggiare” i soldi ricevuti in attesa di tempi migliori, tenendoli presso la Bce stessa o investendoli in titoli a breve termine (come i Bot). Ciò spiega perché, da quando la Bce ha iniziato il Qe, l’offerta di prestiti da parte delle banche sia migliorata, ma non in misura tale da imprimere una svolta all’economia.
L’altro canale attraverso il quale il Qe sostiene l’economia è il tasso di cambio. Coloro che si trovano in mano tutta questa moneta immessa nel sistema, che siano banche o altri soggetti, decidono di investirne una parte in valuta estera, che comprano vendendo euro. Facendo così, fanno diminuire il valore dell’euro nei confronti delle altre valute. Da un anno a questa parte, l’euro si è svalutato del 12 per cento nei confronti del dollaro. Parte della svalutazione è avvenuta prima che il Qe avesse inizio, grazie al classico effetto creato dalle aspettative. Prevedendo l’introduzione del Qe e la conseguente svalutazione dell’euro, qualcuno ha pensato bene di comprare in anticipo valuta estera, destinata a rivalutarsi rispetto all’euro; il risultato è stato una immediata svalutazione della moneta europea. A sua volta, la svalutazione rende più convenienti le nostre esportazioni verso gli altri paesi: se un americano paga di meno un euro, vuole dire che paga di meno le merci prodotte da noi, il cui prezzo è fissato in euro.
La solitudine della Bce
Ma serve davvero il Qe? Guardando alla debolezza della ripresa in atto, sarebbe fin troppo facile criticare la Bce dicendo che serve a poco. In realtà, il 2015 è il primo anno, dopo molti di crisi, nel corso del quale le previsioni di crescita vengono periodicamente riviste al rialzo, seppure di poco, anziché al ribasso. Va anche detto che la Bce è un po’ isolata, visto che i governi europei si sono vincolati a una politica fiscale restrittiva, al fine di perseguire il pareggio di bilancio: è il risultato del fiscal compact. In presenza di tagli di spesa pubblica o di aumenti di tasse, la politica monetaria può fare poco per fare ripartire l’economia. Il rifiuto della Germania, che ha un bilancio pubblico più solido di altri, di realizzare una politica fiscale espansiva, costringe altri paesi con alto debito ad aumentare il loro disavanzo. L’Italia sta facendo così con la legge di bilancio per il 2016.
In ogni caso, la Bce sembra intenzionata ad aumentare la sua potenza di fuoco. Il piano già avviato prevede acquisti di titoli per 60 miliardi al mese, dal febbraio 2015 al settembre 2016, per un totale di 1.140 miliardi. È un programma aggressivo, destinato a fare aumentare la dimensione del bilancio della Bce di circa il 50 per cento. Tuttavia, recenti dichiarazioni di Mario Draghi hanno lasciato intendere che la Bce ne sta studiando un ampliamento, nella sua dimensione e nella sua durata. Ne sapremo di più il 3 dicembre, quando si riunirà il Consiglio direttivo della Bce.
L’ampliamento del Qe potrebbe essere accompagnato da una riduzione del tasso d’interesse sui depositi che le banche tengono presso la Bce. In realtà, questi sono già sotto zero, seppure di poco (20 centesimi): per un verso, quindi, la Bce ha già rotto il tabù dei tassi d’interesse negativi. Potrebbe decidere di andare oltre, nell’intento di indurre le banche a impiegare i loro soldi in prestiti e in valuta estera (anziché “parcheggiarli”), favorendo così una ulteriore svalutazione dell’euro. Il fenomeno dei tassi d’interesse negativi, impensabile fino a poco tempo fa, è quindi destinato ad ampliarsi. Sono i paradossi di una politica monetaria lasciata sola.
 

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Il Punto

  1. Stefano Scarabelli

    In sostanza la BCE è sempre assolta con il solito ritornello: è l’unica istituzione dell’area euro non disfunzionale. Ma questo perchè è in grado di operare senza precisi vincoli (che essa stessa stabilisce e modifica ogni 6 mesi con il beneplacito della Corte di Giustizia Ue), il che dovrebbe interrogarci sulla salute della democrazia europea (e non solo). Peraltro, se la Bce ritenesse (come dice di ritenere) che, così come è strutturata attualmente, l’unione monetaria non sta in piedi, dovrebbe cessare di fare il pompiere e far precipitare la situazione, di modo che le autorità politiche siano incentivate o a correggere il progetto europeo o ad abbandonarlo del tutto. Inoltre, anche sotto il profilo strettamente economico, l’obiettivo di inflazione (che per la Bce cela l’obiettivo, impossibile senza trasferimenti espliciti, di diminuire il fardello del debito estero dei paesi periferici) si allontana sempre più; ma il refrain è sempre il medesimo: colpa di fattori esogeni, come il calo delle commodities e il rallentamento delle economie emergenti. Ma forse questi fattori esogeni tanto esogeni non sono, visto che zona Euro e Giappone hanno già, senza bisogno del QE, surplus commerciali enormi e che la disponibilità di credito a buon mercato determinata dal Qe (specie in dollari) ha indotto ad un eccesso di investimenti in settori come quello delle materie prime.

  2. massimo de biasio

    Ottimo riassunto, anche per non “addetti ai lavori”, sull’argomento QE. Grazie professore.

  3. Maurizio Cocucci

    L’unica osservazione che mi sento di muovere personalmente a questa chiara e semplice illustrazione riguarda la critica alla politica di consolidamento dei conti pubblici. Io non credo che si possa generare crescita attraverso un aumento smisurato del debito e per smisurato intendo quando esso, come ne caso italiano, eccede una certa soglia. E’ come per una famiglia che non arriva a fine mese il chiedere ed ottenere un prestito o un fido pari a qualche mensilità di entrate ordinarie. Una volta che quel denaro viene a terminare il problema si ripresenta ed in misura ancora più grave. Sono decenni che cambiamo e siluriamo commissari alla Spending Review, gli ultimi due (Cottarelli Perotti) se ne sono andati perchè hanno visto inutile il loro contributo. Abbiamo fior di soluzioni tese a riportare la spesa al suo ragionevole costo senza ridurre i servizi ma intervenendo sugli sprechi eppure non si fa nulla e si preferisce chiedere altri soldi ai mercati, altro debito, altri oneri da aggiungersi in futuro.

  4. Giovanni Teofilatto

    Le masse monetarie di grandezza moltiplicativa delle produzioni di merci hanno lo scopo di alleviare i redditi bassi: falso. In altre parole le politiche dei policy-makers non sostituiscono le maggiori aspettative di aumento dei redditi più svantaggiati in quanto la gestione dell’attività finanziaria è concentrata a svantaggio delle fiscalizzazioni del reddito monetario con conseguente mano visibile sui conti di costo delle vari saldi di pagamento: non è giustizia.

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