In Europa e negli Stati Uniti prosegue la “normalizzazione” della politica monetaria. La restrizione dipende anche dalla riduzione del bilancio delle banche centrali, non solo dai tassi. Non vanno sopravvalutati i contraccolpi sulla stabilità finanziaria.
Autore: Angelo Baglioni Pagina 1 di 19
Professore ordinario di Economia Politica presso l’Università Cattolica di Milano, Facoltà di Scienze Bancarie, Finanziarie e Assicurative. È direttore di Osservatorio Monetario e membro del Comitato direttivo e scientifico del Laboratorio di Analisi Monetaria (Università Cattolica e Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa). Dal 2018 al 2020 è stato membro del Banking Stakeholder Group della European Banking Authority. Dal 1988 al 1997 è stato economista presso l’Ufficio Studi della Banca Commerciale Italiana (ora Intesa Sanpaolo). I suoi interessi di ricerca si collocano nell’area dell’economia monetaria e finanziaria. Ha scritto numerosi articoli pubblicati su riviste internazionali e libri; l’ultimo è Le frontiere della politica monetaria (Hoepli 2021).
L’aumento dei tassi di interesse ha fatto danni ad alcune banche americane, ma non è così per tutte. Le italiane, per esempio, ne hanno tratto profitto, aumentando il margine di interesse, mentre le perdite sui titoli sono in buona parte solo potenziali.
Il fallimento di Silicon Valley Bank trae origine da errori del management e carenze della vigilanza. E un ruolo ha giocato la deregulation di Trump sulle banche medie. La gestione della crisi sembra però in grado di evitare un allargamento del contagio.
La politica della Bce è meno aggressiva di quanto si pensi. Non c’è una “stretta monetaria” e la Banca centrale fa bene a uscire dalle politiche ultra-espansive degli ultimi anni. Rinviare la “normalizzazione” non farebbe altro che aumentarne i costi.
La maggioranza di governo sta isolando l’Italia in Europa, bloccando la riforma del Mes che è stata invece approvata da tutti gli altri paesi. Non c’è alcun motivo valido per bloccare la riforma, ma solo un pregiudizio ideologico e il populismo anti-Europa. Riproponiamo un articolo di tre anni fa in cui spieghiamo in cosa consiste la riforma del Mes.
La politica monetaria “verde” muove i suoi primi passi concreti nella zona euro. La Banca centrale europea si allinea così alla strategia dell’Unione europea, che assegna alla finanza un ruolo importante nella transizione verso un’economia sostenibile.
Una manovra fiscale discutibile scatena la tempesta sui titoli di Stato inglesi e sulla sterlina. La Bank of England interviene prontamente. La Bce non potrebbe fare altrettanto: il futuro governo italiano lo sappia.
Il nuovo scudo anti-spread prevede condizioni severe per il suo utilizzo. Occorrerà rispettare tutte le regole europee e dimostrare di avere un debito sostenibile. Il Consiglio Bce si riserva ampi margini di discrezionalità.
L’Eurozona non ha ancora un vero scudo anti-spread. Il nuovo strumento annunciato dalla Bce è avvolto nel mistero. Basterà la flessibilità nel riacquisto dei titoli? Intanto l’Omt è andato in soffitta.
Sia la Bce sia la Fed proseguono sulla strada di una politica meno espansiva, nonostante la guerra in corso. Ma le ragioni della “normalizzazione” sembrano meno solide nell’Eurozona che negli Usa.