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Nuovo Isee e disabilità: conti da rifare

La sentenza del Consiglio di Stato stabilisce che le indennità di accompagnamento e di natura risarcitoria non vanno conteggiate come reddito nel nuovo Isee. Perché l’indicatore possa continuare a garantire l’equità non basterà qualche aggiustamento. Un complesso equilibrio di pesi e contrappesi.

I ricorsi al Tar e la sentenza del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato si è pronunciato a febbraio sul ricorso del governo in opposizione alle sentenze del Tar Lazio e ha stabilito che l’indennità di accompagnamento e le altre indennità di natura risarcitoria non devono più essere conteggiate come reddito all’interno dell’Isee.
Sono stati così accolti parzialmente, in via definitiva, i ricorsi contro il decreto del presidente del Consiglio dei ministri 159/2013 presentati al Tar del Lazio da alcune associazioni di tutela di disabili che volevano l’esclusione dal computo dell’Isee dei redditi esenti Irpef e una equiparazione delle franchigie per disabili maggiorenni a quelle per minorenni.
Tutto ciò nonostante il monitoraggio ministeriale del terzo trimestre di applicazione evidenziasse come i primi effetti applicativi della riforma dell’Isee risultassero soprattutto significativi proprio per i nuclei con componenti disabili o non autosufficienti: per una quota considerevole di queste famiglie (55,5 per cento circa) le nuove regole di calcolo avevano consentito una diminuzione del valore dell’Isee rispetto al precedente e l’incidenza degli Isee nulli era più che raddoppiata, passando dall’8 al 17 per cento.
Il Consiglio di Stato ribadisce quindi che l’indennità di accompagnamento e le altre indennità che prescindono dal reddito, verosimilmente le rendite Inail, debbano essere escluse dal calcolo della componente reddituale dell’indicatore, in quanto si tratta di misure risarcitorie, non finalizzate a sostenere i redditi delle famiglie, ma a compensare una situazione di inabilità e quindi di potenziale svantaggio, ripristinando così una posizione di parità morale e competitiva rispetto a famiglie senza componenti disabili.

Pesi e contrappesi del nuovo Isee

Togliere dal computo le indennità avrebbe come risultato un abbassamento degli Isee dei disabili. Ora, se la natura risarcitoria di questi trattamenti è indiscutibile, è anche vero che il nuovo Isee li considera nei redditi, ma prevede già delle ‘compensazioni’, attraverso franchigie e detrazioni, commisurate al grado di fragilità e in conto reddito, per depurare eventuali ‘maggior favori’ alle famiglie in condizione economica più benestante. Escludere dal computo i suddetti trattamenti avrà come ricaduta l’impossibilità di detrarre parte delle spese per l’impiego di badanti o collaboratori domestici, attualmente prevista dal Dpcm nei limiti dei trattamenti percepiti. L’incentivo indiretto all’assunzione regolare di un’assistente familiare sembra dunque venire meno. E non si fa più menzione neanche del destino delle altre spese (per esempio, sanitarie, mediche o per cani guida) ora ammesse in detrazione.
Il Consiglio di Stato sembra poi riferirsi ai soli trattamenti indennitari e non ai trattamenti assistenziali e previdenziali, anch’essi esenti Irpef e ricompresi dal Dpcm nel computo dei redditi Isee. Pensione sociale, integrazione al minimo e pensione di invalidità erogati dall’Inps, così come altri trasferimenti monetari di varia natura (come contributi per l’affitto e le utenze, minimo vitale) erogati dalle amministrazioni comunali sembra debbano continuare a essere calcolati tra i redditi e non ‘sfilati’ dal computo. Ma è proprio così?
Rispetto alla questione delle franchigie, il Consiglio di Stato ritiene poi ‘illogico’ e ‘infondato’ il trattamento differenziato tra maggiorenni e minorenni in quanto la maggiore età di fatto non abbatterebbe i costi della disabilità. Uniformare le franchigie per la disabilità significherebbe creare un maggior favore per i disabili maggiorenni, in ragione dell’attuale differenziazione dei nuclei familiari previsti dal Dpcm. L’attuale normativa considera infatti Isee diversi in funzione della prestazione richiesta e dei suoi destinatari: sempre Isee ordinario (o cosiddetto ‘per minorenni’, nel caso di genitori non coniugati e non conviventi) per disabili di età inferiore ai 18 anni, ove il nucleo di riferimento è sempre la famiglia anagrafica; prevalentemente Isee socio-sanitario, e dunque nucleo ‘ristretto’ (addirittura uni-personale, se il disabile vive con i genitori), per prestazioni rivolte a disabili maggiorenni.
Al di là comunque delle ragioni della differenziazione, occorrerà ora rimettere mano alle franchigie e uniformarle e dove verrà posta l’asticella (al rialzo o al ribasso) è cosa ancora tutta da definire.
Tanta confusione, dunque, e tante questioni aperte e scelte da compiere per rivedere l’indicatore, come ben argomentato anche nell’articolo di Trivellato su Etica ed Economia.
Secondo il Consiglio di Stato sarebbe sufficiente “correggere l’art. 4 del Dpcm e fare opera di coordinamento testuale (…)”. Evidentemente non basterà solo correggere un articolo del Dpcm, proprio perché l’Isee è un complesso equilibrio di pesi e contrappesi e non sarà sufficiente ‘sfilare’ una componente dal numeratore per modificarlo, ma occorrerà bilanciare le modifiche, franchigie e detrazioni comprese, ragionevolmente apportando interventi migliorativi al testo che vadano oltre quanto richiesto dal Consiglio di Stato, in modo tale che lo strumento possa continuare a garantire equità nell’ordinamento della condizione economica di chi ha diritto alle prestazioni sociali agevolate, nei limiti degli equilibri di bilancio.
Certo, si dovrà cercare di fare in fretta, pur nel rispetto dell’iter legislativo necessario alla revisione del decreto, per evitare l’esplosione di contenziosi sul territorio anche in merito a eventuali effetti retroattivi della sentenza.

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  1. claudio

    A me sembrava giusto è sempre un reddito che entra nel portafoglio, qualunque sia il motivo che te lo porta dentro. Piuttosto ricevono l’accompagnamento anche i milionari, questo mi sembra assurdo e da vero paese delle banane!

  2. piera

    E’ l’impianto della normativa che è iniquio perchè non differenzia la disabilità totale dalla nascita da quella causata dalla vecchiaia. Hanno implicazioni totalmente diverse.

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