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Sulla pelle degli immigrati: il sommerso in agricoltura

Se il sommerso vale in totale il 13 per cento del Pil italiano, in agricoltura il lavoro irregolare supera il 18 per cento. A trarne altissimi profitti è il sistema del caporalato. Che va contrastato non solo per ragioni etiche, ma perché l’integrazione è presupposto per lo sviluppo del territorio.

Forza lavoro in larga parte extracomunitaria

La manodopera straniera offre notevoli opportunità, ancora oggi sottovalutate. Tuttavia, l’immigrato non integrato nella società alimenta fatalmente il sommerso e catalizza il lavoro nero. Secondo l’Istat, l’economia sommersa frutta ben 206 miliardi di euro, il 13 per cento del Pil: dato preoccupante se si considera anche il mancato contributo al pagamento dei servizi pubblici.
In agricoltura, il numero totale di occupati è in larga parte costituito da extracomunitari. In aumento in tutta Italia, nel settore la presenza di stranieri è raddoppiata in soli dieci anni, e non vi è zona della penisola in cui si sia registrata una flessione.

Grafico 1 – Lavoratori Stranieri in Agricoltura in Italia

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Fonte: Inea 2013

Il lavoro degli immigrati in agricoltura è dunque economicamente rilevante. Ma quasi il 18 per cento di loro è irregolare – il dato più alto di tutti i settori. Ciò principalmente perché le imprese agricole, che già beneficiano di leggi semplificate, hanno necessità di un incremento in manodopera per poche settimane l’anno e quindi ricorrono a lavoratori stagionali, spesso stranieri e irregolari. Lavoro nero significa sfruttamento, violazione di diritti fondamentali, danno per l’erario e linfa per la criminalità che gestisce il sommerso.

L’economia del caporalato

Alcuni dati aiutano a inquadrare il fenomeno degli stranieri irregolari in agricoltura. In Puglia e Calabria, per esempio, permangono realtà di braccianti immigrati sottopagati: agli extracomunitari irregolari si applica il pagamento “a cottimo”, che li spinge ad accettare paghe fino a 3 euro l’ora, per dodici-sedici ore di lavoro al giorno. Una situazione non solo eticamente inaccettabile, ma economicamente inefficiente: da un lato non si premia la qualità del lavoro, dall’altro si frena l’integrazione, volano di sviluppo economico.
Al centro di tutto c’è il fenomeno del caporalato, un “sistema di reclutamento della manodopera attuato nel Meridione a opera dei caporali”, secondo la definizione dei dizionari – ed è preoccupante il legame fra caporalato e Meridione. Un esempio significativo: nel ghetto di Rignano Scalo, a circa 20 chilometri da Foggia, si stima che durante l’estate siano presenti 2mila-2.500 braccianti africani. Lo strumento su cui si fonda il caporalato è il trasporto sul luogo di lavoro, in assenza di un sistema di trasporto pubblico o privato alternativo: per usufruirne l’immigrato deve accettare di trasferire al caporale 5 euro del suo già misero guadagno giornaliero. In media, dunque, il ricavo giornaliero del lavoratore è di soli 18 euro netti.
Facciamo l’esempio di una superficie di circa 27mila ettari coltivata a pomodoro: nel 2014, la produzione territoriale complessiva è stata di circa 9 milioni di cassoni da tre quintali (quelli utilizzati per il trasporto del pomodoro). Ogni lavoratore migrante raccoglie mediamente un cassone all’ora, con un dato medio giornaliero di dieci cassoni, il che equivale a circa 900mila giornate lavorative. Il periodo di raccolta del pomodoro dura sostanzialmente due mesi (giugno-luglio) e per ogni giornata di raccolta abbiamo almeno 10-15 mila lavoratori, quasi esclusivamente migranti, in parte non regolari.
Il caporale prende da 1 a 2 euro a cassone, a seconda del livello di produttività del campo, per una mole di illeciti legati alla sola raccolta fra i 9 e i 18 milioni di euro. Se aggiungiamo che per 60 giorni (900mila giornate) il caporale riscuote 5 euro per ogni viaggio verso il luogo di lavoro, totalizziamo altri 9 milioni di euro. In più, i caporali gestiscono il ghetto e riscuotono circa 200 euro al mese a testa per l’alloggio: per la sola Rignano si stimano altri 500mila euro. I caporali speculano anche sul pasto che forniscono, con circa 2-3 euro di rincaro medio: considerando circa 15mila migranti al giorno per 60 giorni di lavoro significa altri 2,7 milioni di euro. Inoltre il caporale può lucrare sulla ricarica elettrica di ogni telefono cellulare (circa 3 euro a ricarica): con una stima media di una ricarica ogni due giorni, si desume un ulteriore ricavo di un milione di euro.
Dalla semplice somma matematica si ricava che la quantità di denaro che ruota attorno al caporalato nel periodo della raccolta del pomodoro oscilla fra i 21 e i 30 milioni di euro. Dunque sui 27-36 milioni di euro di ricavo dalla raccolta, circa 6-7 milioni di euro sono intercettati dai braccianti, mentre oltre l’80 per cento alimenta l’economia sommersa, è profitto per il sistema del caporalato.
A livello nazionale il bilancio è pesante: con un volume d’affari di circa 17 miliardi di euro, il caporalato pesa sull’economia per oltre 600 milioni di euro di mancato gettito fiscale.
L’attenzione politica per contrastare il caporalato è forte, ma molto ancora resta da fare: l’integrazione è presupposto fondamentale per lo sviluppo del nostro territorio e la presa di coscienza dell’entità del fenomeno è il primo passo.

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  1. Amoretti Aldo

    Si ha pure l’aggravante di finti rapporti di lavoro di italiani che “comprano le giornate” dagli agricoltori fingendo un rapporto che non esiste per incassare l’indennità di disoccupazione e contributi previdenziali che spetterebbero all’immigrato.
    Purtroppo i caporali fanno un lavoro necessario. Organizzano l’incontro domanda-offerta e il trasporto.
    Vanno sostituiti in queste funzioni anche facendo funzionare le strutture della bilateralità contrattuale che se non intervengono in questa problematica non si capisce cosa ci stanno a fare.
    Un sistema decente di relazioni sociali dovrebbe poter prevedere che una parte del salario sia erogato in natura e costituito da alloggio, mensa e servizi. Le imprese potrebbero versare una quota ad una istituzione territoriale deputata ad organizzare i servizi anche con ruolo degli enti locali.
    Tutto sommato niente di nuovo rispetto alla storia. Le mondine partivano da casa con un viaggio organizzato, sapevano dove avrebbero lavorato e i padroni provvedevano a ricovero, mensa e servizi. Mia madre diceva che era sempre riso, ma c’era in tavola.

  2. Sergio

    Se c’è “sommerso” in agricoltura o in altre realtà è perchè lo Stato non fa il proprio dovere ovvero mancano i controlli capillari e la certezza delle sanzioni. Vige il “tira a campà” e se qualcuno cade in “disgrazia” la sanzione è ridicola e vale il rischio visto i benefici.

  3. Sono anni che si parla di “caporalato” ma non si fa nulla, sono anni che si dice che le Ong che accolgoni i migranti fano soldi ma non fanno altro, sono anni che si leggono inchieste sulle condizioni da animali che vivono gli imigranti, in genere e solo neri. Ma dov’è la polizia, o i carabinieri che tanto “lavorano” contro la criminalità organizzata? Già anche in questo, c’è una questione di razzismo: ma tanto sono solo neri. Dove sono i sindacati? Ma loro non pagano i contriburi sindacali. Ma dove sono i nostri amministratori communali, i nostri vigili urbani, i sindaci perchè questi emigranti risedono in territori communali.

  4. rosario nicoletti

    Tutto vero: ma nessuno si occupa di analizzare il vero scandalo, rappresentato dalla pessima (vocabolo inadeguato) distribuzione all’ingrosso delle derrate alimentari. I produttori sono letteralmente ricattati e vendono sottocosto o quasi. La pessima distribuzione incide anche sulla qualità: alcuni tipi di frutta sono immangiabili, essendo raccolti prematuramente ed immagazzinate per mesi.

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