Per risolvere i problemi delle banche italiane servono decisioni coraggiose. Certo non vanno sottovalutati i rischi di una pervasiva socializzazione delle perdite degli intermediari. Ma già il solo annuncio di un intervento pubblico frena la speculazione. E riduce così il costo del risanamento.
Bail-in e incertezza
Se ce ne fosse stato ancora bisogno, la vicenda del Monte dei Paschi di Siena, con il suo “bail-in mascherato”, testimonia ancora una volta le difficoltà a trovare una soluzione ai problemi delle nostre banche, alla ricerca di aumenti di capitale in mercati anemici (ed esposti a tutte le variabili politiche del caso) e alle prese con la gestione di sofferenze attraverso cartolarizzazioni dagli esiti incerti. La conseguenza, ne abbiamo sentore ormai tutti i giorni, sono i continui segnali di incertezza che vanno ben al di là del ristretto teatro degli istituti problematici, finendo con il coinvolgere e danneggiare l’intero sistema. Un collo di bottiglia dal quale si può uscire soltanto con scelte coraggiose, sicuramente di grande valore “politico” – forse addirittura più forte di un veto a un bilancio comunitario – ma altrettanto sicuramente più coerenti con i principi e le regole funzionali alla stabilità del sistema finanziario nel suo complesso.
Il popolo salva le banche
I principi sono chiari: nella storia delle crisi, l’aiuto pubblico è sempre stato una fattore determinante delle politiche di intervento sui dissesti bancari, e senza i soldi del popolo non si va da nessuna parte. Non bisogna, ovviamente, mai sottovalutare il rischio di una pervasiva socializzazione delle perdite degli intermediari e tutte le strade per prevenire i fenomeni di azzardo morale devono essere perseguite. Ma alla fine il ruolo dello stato nel garantire la solvibilità delle banche e del sistema dei pagamenti che su queste si regge è ineliminabile. E non è affatto detto che lo stato ci debba perdere. Anzi, come testimoniano le esperienze di bad banks di altri paesi sulle quali ci soffermeremo in un prossimo articolo, spesso si produce anche un utile per le casse statali. Ma esiste un altro importante, tanto banale quanto sottovalutato, aspetto “segnaletico”.
Sul piano comunitario, nel periodo tra il 2008 e il 2014, prima dell’introduzione del bail-in, i governi sono stati autorizzati a concedere aiuti alle loro banche per quasi 5mila miliardi di euro. Cinque paesi per oltre 500 miliardi di euro ognuno, guidati dal Regno Unito con oltre 750 milioni di euro e dalla Germania con 650; per tre la soglia ha superato i 300 miliardi. Per l’Italia l’autorizzazione è stata di 102 miliardi, lo stesso ordine di grandezza della Grecia.
Come risulta dalla tabella 1, i due terzi delle autorizzazioni totali sono costituiti dall’importo massimo delle garanzie che gli stati potevano rilasciare su prestiti o su titoli.
L’effetto annuncio
Dalle elaborazioni riportate nella tabella 2 risulta, però, che dell’ammontare totale degli aiuti autorizzati ne sono stati utilizzati il 40 per cento, cioè poco più di 1.900 miliardi di euro; è sicuramente una bella somma, che però non considera i rientri già avvenuti. Per avere un’idea della loro importanza, si consideri che sui 3.165 miliardi di aiuti censiti da Mediobanca, l’esposizione netta degli stati interessati, a fine 2013, era di 986 miliardi, tenendo conto che l’obiettivo della loro concessione è proprio il risanamento degli istituti in difficoltà, con il conseguente recupero del denaro pubblico impiegato.
Lo scarto tra l’importo autorizzato e quello effettivamente utilizzato può essere interpretato come il risultato dell’effetto annuncio dell’intervento pubblico.
Nell’iniziale quantificazione dell’aiuto necessario per superare le difficoltà di un istituto è possibile che si sia considerato anche il prezzo della speculazione al quale sarebbe stato esposto, in mancanza di una rete di sicurezza (ammesso che fosse riuscito a salvarsi). Quando si esclude in via assoluta la possibilità di un aiuto pubblico, non si tiene conto che già l’annuncio di un intervento statale spunta le unghie della speculazione, trasmettendo al mercato un segnale di sicurezza, trasparenza e certezza su caratteristiche e natura dell’intervento e si riduce in questo modo il costo del risanamento. In fin dei conti, ciò che alla fine dovrebbe interessare è proprio questo: rimettere in carreggiata una banca impiegando meno risorse possibile, siano esse pubbliche o private.
Tabella 1 – Importo (miliardi di euro) degli aiuti di stato autorizzati al settore finanziario 2008-2014 per paese e tipologia
Fonte: Commissione europea
Tabella 2 – Rapporto percentuale tra l’importo degli aiuti autorizzati e l’importo degli aiuti utilizzati
Fonte: elaborazioni su dati della Commissione europea
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SpeculaThor
Unica banca/assicurazione nn salvata da stati/banche centrali fu Lehman e si sa come andò a finire. Spiace però che Bankesters la facciano sempre franca
Dario
Domanda: perche gli altri paesi, Portogallo Spagna e Irlanda, hanno dovuto chiedere aiuto all’ESM e noi no?
francesco daveri
Portogallo, Spagna e Irlanda erano insolventi e così hanno dovuto rivolgersi al fondo salva-stati. L’Italia ha un alto debito pubblico ma ha sempre mantenuto i suoi impegni di rimborso di tale debito. E quindi non deve ricorrere all’ESM.
ANDREA
Ma lo stato è costretto dalle regole europee a salvare una banca? Ho letto che dall’inizio della crisi dei mutui subprime (febbraio 2007) negli Stati Uniti ne sono fallite molte di banche, dove è la differenza? Ma quali sarebbero le conseguenza se le lasciassimo al loro destino?
giancarlo
Vecchia prassi democristiana. Nuovo carburante per i populismi.