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Se il malcontento è di classe

La lunga recessione italiana ha lasciato un forte malcontento in quasi tutte le classi sociali, compresi imprenditori e professionisti. Ma è aumentato anche il divario tra i diversi gruppi. Piccola borghesia e classe operaia sono le più scontente.

Effetti di una lunga crisi

Che effetti ha avuto, e ha ancora oggi, sugli strati sociali del nostro paese la lunga recessione dell’economia iniziata nel 2008? Quali gruppi e quali categorie ha colpito maggiormente? Alcuni studiosi e istituti hanno iniziato a porsi queste domande. Nella sua ultima relazione annuale, la Banca d’Italia ha messo in luce che la diseguaglianza nella distribuzione del reddito, aumentata nel corso degli anni Novanta, “non ha subito variazioni apprezzabili” dopo il 2008. Andrea Brandolini ha mostrato che l’ultima crisi ha colpito soprattutto i più giovani e i lavoratori manuali. Giovanni Vecchi, in una relazione a un convegno Istat, ha sostenuto che a pagare il prezzo più alto sono state le fasce meno abbienti.
Che dire delle altre classi sociali? Come hanno vissuto e come vivono oggi la crisi e i suoi effetti sulla loro condizione gli italiani che ne fanno parte? I dati che l’Istat raccoglie dal 1993 sul livello di soddisfazione delle persone residenti nel nostro paese per la loro situazione economica ci permettono di dare una prima risposta a questi interrogativi. Il malcontento che rilevano non dipende solo dalla situazione obiettiva del lavoro e del reddito, ma anche dalle aspettative che le persone hanno e dai loro gruppi di riferimento, dal senso di privazione relativa che nasce dal confronto con questi.
Secondo lo schema usato dai sociologi (basato su due criteri: la situazione di lavoro e quella di mercato) vi sono oggi in Italia quattro grandi classi: la borghesia, la classe media impiegatizia, la piccola borghesia e la classe operaia. Ma all’interno di ciascuna vi sono delle frazioni. Nella classe operaia, vi è una netta distinzione fra gli occupati nell’industria e occupati nei servizi. Nella borghesia, da un lato vi è lo strato più piccolo dei dirigenti, dall’altro quello assai più ampio degli imprenditori e dei professionisti. Nel 2001, la percentuale dei soddisfatti per la loro situazione economica cresceva, come ci si poteva attendere, man mano che si saliva nella piramide sociale, passando dalla classe operaia alle due medie e alla borghesia (tabella 1). Ma da allora la situazione è notevolmente cambiata.

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Tabella 1 – Non tutti i ricchi piangono
Percentuale di residenti in Italia (da 15 anni) molto o abbastanza soddisfatti della propria situazione economica, dal 2001 al 2016, per classe sociale di appartenenza

Fonte: Elaborazioni su dati archivi Istat

Vi è solo un gruppo sociale che non ha risentito per nulla della lunga recessione: quello dei dirigenti. La percentuale dei soddisfatti in questo strato ha subìto solo una lievissima diminuzione prima del 2008 ed è oggi la stessa del 2001. Il malessere e lo scontento sono invece aumentati fra gli imprenditori e i professionisti, a tal punto che, dal 2012, è avvenuto un sorpasso un tempo impensabile: la classe media impiegatizia ha superato, in termini di soddisfazione, gli imprenditori e i professionisti (figura 1). Di conseguenza, nell’ultimo quindicennio, vi è stata una divaricazione fra le due frazioni della borghesia riguardo alle emozioni degli uomini e delle donne che ne fanno parte, alle frustrazioni che ricevono, al senso di privazione, alla sensazione che provano di non farcela, all’impressione di essere stati dimenticati dai partiti politici, dal governo e dal parlamento.

Figura 1 – Dirigenti e impiegati hanno patito meno la crisi
Percentuale di residenti in Italia (da 15 anni) molto o abbastanza soddisfatti della propria situazione economica, dal 2001 al 2016, fra i dirigenti, gli imprenditori e i professionisti, e la classe media impiegatizia

Insoddisfazione generalizzata

Il malessere e il malcontento sono cresciuti anche nella classe operaia raggiungendo il picco nel 2013. Sono diminuiti nei tre anni successivi, ma restano più alti che all’inizio del periodo considerato. Solo fra gli appartenenti alla piccola borghesia il peggioramento è stato maggiore. Per questo, nel 2013 e nel 2015, vi è stato un altro sorpasso un tempo impensabile: gli operai hanno superato i lavoratori autonomi nel livello di soddisfazione per la propria situazione economica (figura 2).

Figura 2 – Piccolo borghesi e operai uniti nell’insoddisfazione
Percentuali di residenti in Italia (da 15 anni) molto e abbastanza soddisfatti della propria situazione economica, dal 2001 al 2016, tra la classe operaia e la piccola borghesia

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Dunque, la lunga recessione ha lasciato un forte malcontento in quasi tutte le classi in cui si articola la società italiana, un’insoddisfazione che è diminuita negli ultimi tre anni, ma che resta molto maggiore che all’inizio del nuovo millennio. Il malcontento è cresciuto soprattutto nella piccola borghesia e nella classe operaia, ma ha raggiunto anche la frazione più ampia della borghesia, quella degli imprenditori e dei professionisti.
Nell’ultimo quindicennio è aumentato inoltre il divario fra le classi. Parlare di una polarizzazione sociale dei sentimenti, di una contrapposizione fra la felicità delle classi elevate e lo sconforto di quelle più basse, è sicuramente esagerato. È indubbio tuttavia che, in termini di malcontento, la piccola borghesia e la classe operaia sono oggi più lontane di un tempo non solo dai dirigenti, ma anche dagli imprenditori e dai professionisti.

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In Puglia proteste contro il bersaglio sbagliato

  1. Piero Caracciolo

    Quale è la definizione di “piccola borghesia” in questo contesto?
    Grazie,

  2. Savino

    La “gente” non si informa più a dovere da oltre 30-35 anni. Nel frattempo, è stata abolita la scala mobile, è cambiata la politica dei redditi,sono subentrati i parametri di Maastricht, è subentata la globalizzazione, è subentrata l’Europa allargata, è subentrato l’Euro, si è avuta la crisi finanziaria globale.
    La “gente”, quindi, pensa ancora di vivere a fine anni ’70 – inizio anni ’80.
    Da qui il malcontento, la disillusione, la nostalgia della lira.
    Bastava vivere la realtà ed essere aggiornati per non farsi travolgere dagli eventi.

  3. Salvatore Recupero

    Insoddisfazione. Per misurarla non è forse necessario rilevare lo scarto esistente tra il livello di remunerazione di un dirigente e quello di un operaio ? . Ai tempi di Valletta, alla Fiat, quello scarto era pari a 4 volte . Oggi lo scarto tra la remunerazione di marchionne e quella di un suo operaio è pari a 40 volte o forse più. Situazione riscontrabile nel pubblico impiego anche se in misura inferiore. L’insoddisfazione è anche acuita dalla condizione dii insicurezza dell’operaio o dell’impiegato rispetto una possibile e probabile delocalizzazione o disoccupazione o del piccolo imprenditore , costretto a navigare nei marosi di una crisi. senza tempo, senza credito , senza punti di rifermento nel mondo globalizzato o di un padre che teme per il figlio laureato la prospettiva della disoccupazione. “Mala tempora currunt ” dicevano gli antichi romani. La nostra governance è all’altezza di questi tempi ?

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