In tutta Europa, gli studenti con basso rendimento si concentrano nelle famiglie in condizioni più svantaggiate. Anche perché quelle benestanti investono molto nell’educazione dei figli. Tocca alla politica riparare questa forma di disuguaglianza.
Disuguaglianze a scuola
Il rapporto della Commissione europea “Education and Training Monitor, 2017” – che esamina la posizione dei diversi paesi membri rispetto agli obiettivi di Europa 2020 su istruzione e formazione (ET2020) – si focalizza quest’anno sulla diseguaglianza nell’istruzione. Anche se molti paesi europei fanno progressi su alcuni importanti indicatori – ad esempio l’abbandono scolastico – la riduzione della diseguaglianza sembra essere più formale che sostanziale. Basta considerare la quota di alunni che non raggiungono il livello di base nel test Pisa in lettura, matematica o scienze (considerato necessario per un adeguato inserimento sociale). Come si può vedere dalla figura 1, la maggior parte degli stati membri ha registrato tassi di successo più bassi nel 2015 rispetto al 2012. La media UE relativa alla percentuale di studenti con risultati bassi nella lettura è cresciuta dal 17,8 nel 2012 al 19,7 nel 2015, annullando i progressi realizzati dal 2009. In Italia, dopo i miglioramenti ottenuti tra il 2006 e il 2009, nel 2015 si ha un aumento rispetto al 2012 nella percentuale di studenti con punteggi scarsi in scienze e lettura.
Figura 1 – Progressi verso il benchmark degli studenti con risultati bassi nella lettura, 2009-2015
Fonte: Ocse, Pisa 2009, 2012, 2015.
Nota: I paesi sono ordinati in ordine crescente in base alla quota di studenti con bassi risultati nella lettura, secondo i risultati del 2015. Cipro non ha partecipato ai test Pisa nel 2009, i dati 2009 non sono disponibili per l’Austria e Malta non ha partecipato ai test nel 2012.
Gli studenti con basso rendimento si concentrano soprattutto tra le famiglie con background socio-economico più svantaggiato: in media nella UE il 33,8 per cento di questi alunni si colloca nel quartile più basso dell’indicatore di status socio-economico e culturale (Escs), mentre solo il 7,6 per cento appartiene al quartile più alto, con uno spread di 26,2 punti percentuali (per l’Italia è di circa 27 punti percentuali).
Figura 2 – Studenti con bassi risultati nelle scienze per background socio-economico
Fonte: Ocse, Pisa 2015.
Nota: I paesi sono ordinati in ordine decrescente sulla base della quota media di studenti con scarsi risultati nel quartile più basso dell’indicatore di status socio-economico e culturale (Escs)
Queste differenze si traducono in disuguaglianze di reddito e di benessere e il fatto che siano collegate allo stato economico e sociale dei genitori apre un’importante questione di giustizia sociale.
La verità è che sono molto diversi gli investimenti in istruzione per bambini con differente background socio-economico. Le famiglie benestanti fanno grandi sforzi per aiutare i propri figli a sviluppare abilità cognitive e non cognitive, scegliendo le scuole migliori, assistendoli nello svolgimento dei compiti, pagando lezioni di recupero o vacanze studio. Nasce da qui probabilmente il forte incremento nella partecipazione ad attività educative extra-scolastiche a pagamento (shadow education), evidenziato nel rapporto della Commissione (figura 3).
Figura 3 – Partecipazione ad attività educative extra-scolastiche a pagamento per tipo di fornitore, 2012
Fonte: Ocse, Pisa 2015; calcoli di Bukowsky (2017)
L’importanza della famiglia
Questi sforzi, insieme alla rete di conoscenze, permettono a chi ha un background più avvantaggiato di ottenere, a parità di capacità, posizioni migliori sul mercato del lavoro rispetto a chi proviene da una condizione più povera. Alcuni studi evidenziano l’esistenza di un “pavimento di cristallo” che protegge i figli di famiglie benestanti dalla mobilità verso il basso. Una interessante ricerca su un campione di bambini inglesi con stessa abilità potenziale (misurata attraverso i risultati in un test cognitivo all’età di 5 anni) mostra che quelli appartenenti a famiglie più ricche hanno una maggiore probabilità di avere successo sul mercato del lavoro rispetto ai loro compagni provenienti da contesti più svantaggiati. Anche se ottengono risultati deludenti al test cognitivo, i bambini di background sociale più favorevole tendono a evitare posizioni professionali peggiori di quelle occupate dai loro genitori grazie a successivi miglioramenti nelle capacità cognitive e socio-emozionali (misurate a 10 anni). D’altra parte, i bambini con elevate abilità potenziali ma provenienti da famiglie meno avvantaggiate risultano meno capaci di convertire il loro potenziale iniziale in carriere di successo. La combinazione dei due fenomeni fa sì che i bambini provenienti da contesti di alto reddito che mostrano segni di scarsa capacità accademica all’età di 5 anni abbiano il 35 per cento in più di probabilità di avere un reddito elevato in età adulta rispetto ai bambini di famiglie più povere che davano segnali di elevata abilità. Non ci sono ricerche simili disponibili per l’Italia, ma la forte dipendenza del reddito dalle condizioni familiari ci fa temere risultati non molto diversi.
È naturale che i genitori vogliano fare del proprio meglio per aiutare i figli, ma poiché non tutti hanno le stesse possibilità, le politiche pubbliche dovrebbero cercare di compensare i bambini con background peggiore.
La Buona scuola ha compiuto alcuni passi in questa direzione, ma molto resta da fare per migliorare la qualità delle scuole nelle aree più svantaggiate e incentivare i docenti più bravi a prestare proprio lì la loro attività. E se è legittimo che i genitori con maggiori possibilità diano tutto il supporto possibile ai propri figli nel processo di formazione, non è invece legittimo che intervengano nella formazione delle classi, scegliendo i compagni e gli insegnanti migliori. Le classi ghetto fanno molto peggio che produrre effetti negativi sulle capacità cognitive degli studenti svantaggiati: infliggono una seria umiliazione e danno un chiaro segnale del posto che spetta a ciascuno nella società.
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giovanna martellato
forse le politiche pubbliche oltre che orientare verso un obiettivo da conseguire valido per tutti, si dovrebbero domandare anche se il sistema scolastico è adeguato anche al sistema cognitivo dell’età dei ragazzi anche in relazione all’ambiente socio-culturale-economico da cui provengono
Rosalia Garzitto
Francesco Ferrante in un interessante articolo pubblicato su Scuola Democratica 2/2017 “La qualità dell’istruzione in Italia: un’eredità del passato?” porta argomentazioni e dati a sostegno della tesi che la qualità dell’istruzione dipenda in misura significativa anche dai ritardi nei livelli di istruzione della popolazione ereditati dall’esperienza italiana pre-unitaria, che può condizionare i tempi di realizzazione del cambiamento, implicazioni poco considerate dalla politica dell’istruzione.
Maragno Mariano
Questo è un articolo molto interessante a mio avviso. Auspico che un simile studio sia fatto al più presto anche in Italia e che faccia molto rumore nei mass media.
Fabrizio Bercelli
Un contributo negativo lo danno i libri di testo che sono spesso poco comprensibili per gli scolari senza l’aiuto di un adulto capace di capirli e spiegarli. Servirebbero testi molto più comprensibili, in cui anche lo scolaro più in difficoltà potesse trovare un aiuto senza l’assistenza di un adulto. E testi più brevi, oppure con brevi parti a esposizione semplificata, ben segnalate. Testi troppo corposi scoraggiano l’uso da parte degli scolari meno attrezzati.
Massimo
Interessante. Ma perché impedire ai genitori di scegliere la scuola? Non sarebbe meglio consentire a tutti di scegliere le scuole migliori?
Chiara Fabbri
Se tutti scelgono le scuole “migliori”, poi come si fa? Avremo istituti con 10.000 iscritti che non hanno spazio fisico per accogliere nelle classi gli allievi (tralascio di osservare che la gestione di questi maxi istituti sarebbe di una complessita’ ingestibile) e scuole “peggiori”che chiudono.
Che dire poi dell’inevitabile impatto sulla mobilita’cittadina del quotidiano andare e venire di studenti ancora minorenni – quindi accompagnati – verso istituti “migliori”, del costo del trasporto per le famiglie, dell’impatto – anche in questo caso sicuramente maggiore per le famiglie disagiate – dei tempi di trasporto sulle ore disponibili per lo studio (se sono ricco abito vicino alla scuola migliore e i miei tempi di studio non risentono dei tempi di spostamento, se sono povero abito lontano e le mie giornate sono mangiate dal tempo per andare e venire da scuola). La scuola va potenziata sul territorio, le scuole “cattive”vanno supportate con investimenti in strutture, progetti, formazione e soprattutto buoni insegnanti, che andrebbero adeguatamente incentivati – economicamente ma non solo, con specifica formazione, anche all’estero, budegt adeguato per progetti educativi specifici, supporto di esperti etc. – ad accettare incarichi in scuole difficili. Lo stesso per i dirigenti scolastici, i migliori dovrebbero andare negli istituti piu’complicati, nei territori difficili dove la performance e’bassa, e dovrebbero essere incentivati adeguatamente e remunerati per il loro successo
Fabrizio Bercelli
Un contributo negativo lo danno i libri di testo, che hanno spesso un linguaggio inaccessibile, e un mole scoraggiante, per i ragazzini in difficoltà, senza l’assistenza di un adulto competente. Penso specialmente ai libri di matematica, ma non solo. Libri di testo più agili, con un linguaggio meno formale, che non richieda la mediazione di un adulto, sarebbero un buon aiuto. Se poi chi scrive i libri di testo vuole, aggiungerci tutto quello che potrebbe forse servire agli studenti più bravi, lo faccia in approfondimenti facoltativi.
Ilaria M.
Il linguaggio che lei definisce “inaccessibile”, in realtà sarebbe comprensibilissimo con il semplice ausilio di un vocabolario. E’ importante che i ragazzi apprendano termini nuovi e, se buone competenze linguistiche non vengono acquisite in ambito familiare, la scuola rappresenta l’unica possibilità di insegnare all’alunno un linguaggio corretto.
Filippo
Sarebbe ben strano che le famiglie che hanno più risorse non le usassero per ottenere la migliore istruzione possibile per i figli. Il problema non sono le differenze (che sono inevitabili in una società economicamente polarizzata), il problema è garantire un livello minimo comune adeguato alle esigenze di cittadinanza di oggi.
giovanni maria
Ha mai letto “Costituzione della Repubblica Italiana, art. 3”?
Riccardo B
Ottimo articolo (come sempre a lavoce.info) ma ahimè nulla di nuovo. La scuola italiana (ma non solo) riproduce le differenze di classe (come si diceva qualche anno fa). Tragico invece che la questione sia peggiorata negli ultimi anni. Ma chiaramente questo non è un tema all’ordine del giorno dell’agenda politica.
Henri Schmit
Articolo interessante che attraverso studi comparati difende una posizione coraggiosa su un tema importante. La democrazia è fondata sull’uguaglianza e sulla libertà, due valori che non esistono in natura, ma che sono i principi e le promesse della comunità politica. La (III°) Repubblica francese è stata costruita negli ultimi decenni del 800 attraverso la scuola pubblica (cioè gratuita e uguale per tutti) obbligatoria. La scuola costa e sarebbe assurdo non investire nelle capacità delle future generazioni. “Ognuno può scegliere per i suoi figli la scuola che preferisce”, si, ma a condizione che la paghi lui. È però nell’interesse di tutti che ci sia un’ampia offerta scolastica. Detto ciò si capisce che serve un compromesso ragionevole. Bisogna investire nell’istruzione, ma a beneficio di tutti. I paesi vincenti, più forti, sembrano essere quelli che vi sono riusciti. Nella tabella 3 l’Italia non si colloca in una posizione particolarmente negativa. Ma la mancanza di risorse pubbliche e un’ideologia unilaterale hanno sicuramente creato grossi danni soprattutto negli ultimi due decenni.
Lorenzo
Dott.ssa De Paola,
posto che le famiglie dei ceti più abbienti non compiono “grossi sforzi” per sostenere l’istruzione dei propri figli in quanto hanno le capacità economiche per farli, nell’ultimo capoverso, non comprendo la coerenza fra gli interventi a livello di istituto e quelli che purtroppo avvengono (e come se avvengono!) durante la formazione delle classi.
giovanni maria
Consola leggere uno studio che valuta oggettivamente la scuola aprendo il discorso al contesto sociale sul quale essa dovrebbe agire e dal quale è evidentemente agita. Purtroppo dominano l’opinione pubblica indagini come quella elaborata dalla Fondazione Agnelli conosciuta come Eduscopio accreditata dalla stampa nazionale e locale come specchio fedele della qualità della scuola italiana. Lo scopo di Eduscopio è fornire una graduatoria delle scuole migliori che serva da criterio di scelta per le famiglie, Ora De Paola ci spiega accuratamente che scegliere l’istituto al quale avviare i figli è un privilegio che solo una parte della popolazione può permettersi. In realtà Eduscopio conferma la tesi di De Paola sulla scuola come promotrice di disuguaglianza mostrando come nelle graduatorie (stilate incrociando i dati relativi al numero di esami sostenuti e ai voti ottenuti dalle matricole universitarie provenienti dai diversi istituti) risultino ai primi posti le scuole dei quartieri abitati dalle famiglie ad alto reddito e di sicuro fuori dalla portata dei giovanni delle periferie le cui scuole occupano il fondo delle graduatorie. Naturalmente la Fondazione Agnelli fa il suo mestiere che é perpetuare il privilegio convogliando iscritti e risorse verso le scuole avvantaggiate e condannando alla ghettizzazione le scuole già in difficoltà. Invece fa specie che diventi apprezzato strumento di orientamento uno studio che documenta l’ingiustizia sociale che viviamo e accettiamo
Alberto
Nello stesso intorno, non mi risulta che ci siano preclusioni oggettive ad iscrivere i propri ragazzi nella scuola che ha i migliori punteggi secondo la fondazione Agnelli. In alcune nazioni come l’India, le risorse sono una frazione di quelle nostrane, ma gli esperimenti nei laboratori tecnici vengono attrezzati da insegnanti con materiale di recupero. Se legge in questo sito http://www.reinventore.it per attrezzare un’aula didattica non servono ingenti somme di denaro che “condannando alla ghettizzazione le scuole già in difficoltà”.
massimo gandini
La scuola meritocratica e selettiva è un vero ascensore sociale. L’attuale istruzione pubblica , lassista e scarsamente impegnativa, perpetua le differenze sociali , vuole aiutare i più deboli ma in realtà li penalizza
Felice
Interessante interpretazione. Qualche dato a supporto della tesi? fonti bibliografiche, ricerche empiriche pubblicate? insomma, qualcosa che possa dare fiducia nelle conclusioni? Ad esempio qualche studio che associ, almeno in qualche parte del mondo, mobilità sociale a “meritocrazia” (una volta che si è capito come definirla)?
Pietro
L’articolo si limita a sintetizzare quanto emerso da una ricerca condotta dalla Commissione per la povertà infantile e la mobilità sociale, a cui si accede attraverso il link nella pagina (la parola ricerca evidenziata in colore arancione) che presenta dati e rinvia a studi specifici.
Aggiungo il link per comodità:
http://dera.ioe.ac.uk/23370/1/Downward_mobility_opportunity_hoarding_and_the_glass_floor.pdf
Henri Schmit
Supponiamo che Lei abbia ragione (e qualche critica è sicuramente pertinente), la domanda è: che cosa fare? Distruggere la scuola pubblica investendo altrove o investire per migliorarla?
Alberto
Se in una classe esistono alunni che per predisposizione naturale o per educazione famigliare hanno competenze molto diverse, per l’insegnante medio è molto difficile svolgere una lezione che non sia troppo difficile per alcuni e noiosa per altri. Penso sia fondamentale chiarirsi quale sia lo scopo della scuola: o formare un gruppo di studenti, nella stessa scuola, con competenze superiori alla media, dando sempre agli altri, se si applicano, la possibilità di farne parte o abbassare l’asticella per tutti, con il risultato che i genitori più lungimiranti o accorti scelgano soluzioni alternative che portino i figli a risultati superiori agli obiettivi fissati dalla scuola.
Felice
Ottimo vedere descrivere e discutere una condizione di disuguaglianza nei risultati, piuttosto che – come va di moda sembrerebbe – esclusivamente nelle opportunità. Perché evidentemente di questo si tratta, una forma particolarmente odiosa di diversa condizione di istruzione, mi permetto di chiamarla di povertà educativa, piuttosto che di “low performance”. L’obiettivo di spingere sopra la linea di povertà gli apprendimenti degli studenti implica il superamento di politiche esclusivamente attente alla uguaglianza nelle opportunità, potrebbero non essere sufficienti a influire sull’ottenimento del risultato sperato. Grazie
bob
nel Paese dei Prof. Comm. Cav. S.E. etc la cultura intesa come capacità critica e di analisi delle cose terrorizza il potere come l’aglio il vampiro. Il grosso equivoco è: la cultura e la scuola! Due cose diverse anche se complemetari nel percorso
Alberto
Suppongo sia lapalissiano che chi dispone di un reddito di molto maggiore alla media possa consentire ai propri figli le migliori università del mondo e corsi di formazione linguistica all’estero. Ma a parità di reddito un genitore che preferisce portare nel fine settimana i suoi figli allo stadio o in un centro commerciale e un altro che preferisce portarli in un museo o a fare una passeggiata nel bosco mostrando loro i segreti della natura, tra chi, a casa, preferisce leggere o sfogliare con loro un libro o guardare trasmissioni TV come il grande fratello la differenza di reddito è ininfluente. Se sei un genitore curioso, hai maggiori probabilità di educare un figlio alla curiosità. All’estero leggono molti più libri rispetto gli italiani ma poiché le biblioteche fornisco libri a prezzo zero, il livello di reddito è ininfluente.