Gli scenari al 2021 per il mercato del lavoro italiano indicano un rischio: l’aumento dei lavoratori in età matura può rallentare l’ingresso dei più giovani. Dannoso però pensare a una riforma delle pensioni. La soluzione è nella crescita del paese.
L’età fa la differenza
Cosa potrebbe accadere di qui al 2021 al mercato del lavoro italiano? Si possono fare alcuni ragionamenti grazie ai tassi di occupazione e alle proiezioni di popolazione dell’Istat (tabella 1).
Fra il 2016 e il 2021, la popolazione in età 55-74 anni crescerà di quasi un milione e mezzo di unità. Vi entreranno infatti le affollate coorti degli anni Sessanta, mentre ne usciranno quelle – molto più striminzite – nate negli anni di guerra. Se i tassi di occupazione per quella classe di età resteranno quelli del 2016, i lavoratori maturi cresceranno quindi di 435 mila unità. Tenendo conto delle norme pensionistiche in vigore, è possibile ipotizzare che il tasso di occupazione cresca dell’1 per cento l’anno, ossia con un ritmo leggermente inferiore a quello del quinquennio 2011-16. In tal caso, nel quinquennio 2016-21 il numero di lavoratori maturi aumenterebbe di un milione e 221 mila unità.
Speculare è ciò che avverrà per la popolazione in età centrale (30-54 anni), che diminuirà di un milione e 303 mila unità nel corso del quinquennio 2016-21, perché usciranno progressivamente da questa fascia i figli del baby boom, mentre ci entreranno i pochi figli nati negli anni Ottanta e Novanta. Se il loro tasso di occupazione rimarrà costante, i lavoratori di quella fascia di età saranno 914 mila in meno. Se invece il loro tasso di occupazione aumentasse dell’1 per cento l’anno, nel 2021 in quella fascia avremmo 129 mila lavoratori in più.
Infine i giovani. Il numero dei 15-29enni, nel corso del quinquennio 2016-21, resterà pressoché costante, riflettendo un numero di nascite che, fra il 1985 e il 2010, ha continuato a oscillare fra 500 e 600 mila. Di conseguenza, se nel 2021 i tassi di occupazione saranno uguali a quelli del 2016, anche gli occupati di quella fascia di età resteranno invariati. Se il tasso di occupazione crescesse dell’1 per cento all’anno, recuperando in parte la forte diminuzione del periodo 2007-14, alla fine del quinquennio lavorerebbero 429 mila giovani in più.
Dalla demografia alle politiche
Nella situazione business as usual – ossia immaginando che i tassi di occupazione per sesso e classe di età restino costanti – nel 2021, per il solo effetto delle “onde demografiche”, i lavoratori saranno 499 mila di meno rispetto al 2016. Se invece, per uomini e donne nelle tre classi di età, il tasso di occupazione aumentasse dell’1 per cento ogni anno, nel 2021 gli occupati sarebbero un milione e 779 mila in più. La probabilità che si realizzi quest’ultimo scenario (che prevede 350 mila nuovi posti di lavoro ogni anno fra il 2016 e il 2021) è però molto diversa per le tre classi di età: quasi certa per i lavoratori maturi, perché legata in massima parte alle regole pensionistiche già in vigore, mentre per i giovani e per le persone in età centrale, il tasso di occupazione è legato all’effettiva capacità del sistema paese di creare nuovo reddito e nuovo lavoro. Nel primo anno le cose non sono andate male, perché fra il terzo trimestre del 2016 e il terzo trimestre del 2017, gli occupati sono cresciuti di 303 mila unità (+1,3 per cento), con una crescita del Pil dell’1,7 per cento. Tuttavia, nello stesso periodo, la crescita del tasso di occupazione è stata relativamente debole in età centrale: +0,7 per cento (15-24), +1,4 per cento (25-34), +0,6 per cento (25-49), +1,0 per cento (50-64).
La sfida è molto difficile. Infatti, malgrado i lavoratori giovani e anziani non siano fra loro del tutto fungibili, per i prossimi anni, i maturi rischiano di rallentare sensibilmente l’accesso al mercato del lavoro dei più giovani, come è accaduto nel periodo 2004-15 (si veda qui e qui). Del resto, non è opportuno – per far posto ai giovani – scardinare l’equilibrio del sistema pensionistico, generalizzando la concessione di pensioni anticipate non onerose, perché si aprirebbero grosse falle sul bilancio dello stato. Nel quinquennio 2016-21, solo creando 350 mila nuovi posti di lavoro all’anno (difficilmente ottenibili se il Pil non cresce almeno del 2 per cento l’anno), i tassi di occupazione dei giovani e degli uomini in età centrale si accosteranno ai livelli precedenti la crisi, mentre i tassi di occupazione delle donne in età centrale potranno avvicinarsi a quelli dei più avanzati paesi europei.
Tabella 1 – Popolazione e occupati in Italia per sesso e classe di età fra il 2016 e il 2021 (dati in migliaia)
* Gianpiero Dalla Zuanna è senatore del Partito Democratico
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SAVINO
C’è una pregiudiziale mancanza di fiducia nei giovani e c’è tutta la testardaggine negli anziani nel non voler mollare le redini della nostra società.
Se proprio non si vuol far contare i titoli di studio, per l’imbarazzo psicologico di un Paese molto indietro nella sua popolazione adulta, sul piano della cultura, della formazione e dell’alfabetizzazione tecnologica, almeno si permetta, ad esempio, in un ufficio informazione di far lavorare gente che non complichi e non ostacoli o in una scuola materna si consenta di far lavorare qualche ragazza che ha studiato discipline pedagogiche piuttosto che una 50-60enne,entrata col semplice diploma, che maltratta i bambini.