Se sull’economia pesano “sette peccati capitali” che bloccano la crescita, i loro effetti potrebbero essere ridotti aumentando il capitale sociale degli italiani. Soprattutto in alcune aree del paese. Ma occorre una trasformazione sociale e culturale.
Sette peccati capitali frenano la crescita
Molti sono i fattori che hanno frenato la crescita dell’economia italiana: l’evasione fiscale, la corruzione, la troppa burocrazia, la lentezza della giustizia, il crollo demografico, il divario tra Nord e Sud, la difficoltà a convivere con l’euro. Come osserva nel suo ultimo libro l’ex commissario per la spending review, Carlo Cottarelli, questi “mali” italiani possono essere tutti collegati in un quadro unificante. Se si moltiplicano i livelli della burocrazia si moltiplicano anche le occasioni per esercitare la corruzione. Il fenomeno sarà tanto più pervasivo quanto più lenta e inefficace è l’azione della giustizia. L’evasione risulta “incoraggiata” se mancano gli adeguati controlli e in Italia si continua a evadere molto più che nella maggior parte dei paesi avanzati. Anche il crollo demografico ha pesanti conseguenze sull’invecchiamento della popolazione, e dunque sulla spesa pensionistica e sanitaria. La crisi economica ha peggiorato la situazione, ma il calo di fertilità dura da ben più lungo tempo e non c’è da sperare che la ripresa congiunturale possa segnare una differenza sostanziale.
Tutti i sette “peccati” possono essere ricondotti a uno, unificante, che giustifica la loro esistenza: la mancanza di un adeguato livello di “capitale sociale”.
Il concetto di “capitale sociale”, introdotto dalla letteratura sociologica, è stato considerato inizialmente come un bene pubblico e indivisibile di cui i membri di una società possono usufruire grazie a norme e valori condivisi che favoriscono la cooperazione e grazie al buon grado di integrazione sociale e a modelli di comportamento improntati alla fiducia. Una definizione ancora più ampia di capitale sociale include l’ambiente politico e sociale che dà forma alla struttura della società e permette alle norme di svilupparsi. Questo fattore è stato poi indicato in alcuni recenti modelli di crescita come una delle principali condizioni per l’avvio del processo di sviluppo. È una linea di ricerca sviluppata prevalentemente all’interno della Banca Mondiale.
Particolarmente interessante è lo studio effettuato da Robert Putnam per spiegare l’arretratezza del Sud d’Italia. Per Putnam il capitale sociale consiste nella fiducia e nelle norme che regolano la convivenza e le reti di coinvolgimento civico. Proprio questi fattori – che migliorano l’efficienza dell’organizzazione sociale e che promuovono le “buone” relazioni tra cittadini e istituzioni – sono presenti in misura troppo limitata in alcune zone del nostro paese. La loro mancanza spiega il divario tra Nord e Sud, uno dei più importanti tra i peccati capitali dell’economia italiana. Cottarelli osserva, confortato dai dati statistici, come l’evasione fiscale sia più elevata al Sud, come gli indici di corruzione siano più sfavorevoli, la giustizia più lenta.
Debito pubblico e competitività
Come uscire dalla stagnazione italiana e riavviare il processo di sviluppo? Non ci si deve illudere di poter stimolare la crescita aumentando la spesa pubblica oppure continuando a sostenere la spesa privata con il credito bancario. L’Italia è stata sempre un paese ad alto debito pubblico, sottolinea Cottarelli. Il suo peso sul Pil è aumentato in modo esponenziale negli anni Ottanta, che hanno registrato un forte calo della crescita economica. Negli anni più recenti, dopo l’entrata nell’euro, la spesa pubblica, al netto di quella per interessi e compresa quella relativa agli stipendi dei dipendenti pubblici, è aumentata ancora e rapidamente. Nel settore privato, poi, i prezzi e il costo del lavoro sono cresciuti più velocemente che all’estero, causando una perdita di competitività.
Il principale fattore in grado di accrescere la competitività del paese è allora la concorrenza, mentre l’uscita dall’euro non è certo la soluzione. Gli effetti di una (inevitabile) svalutazione della lira sarebbero molto negativi, non solo in termini di aumento dei costi dei beni importati, ma anche in termini di svalutazione dei debiti privati definiti tecnicamente balance sheet effects (effetti di bilancio). E potrebbero essere così forti da mandare in bancarotta parecchie famiglie o imprese. Occorrono, invece, maggiori investimenti nazionali – e non solo europei – in infrastrutture. Occorre una profonda trasformazione della pubblica amministrazione e dei comportamenti dei singoli. Occorre un radicale cambiamento sociale e culturale.
L’idea di fondo è che gli effetti negativi dei sette peccati italiani potrebbero essere ridotti, anche se certo non annullati, aumentando il “capitale sociale” che è alla base del rispetto delle regole. Naturalmente, un fattore decisivo per il successo di un simile processo è l’esistenza di un forte consenso dell’opinione pubblica verso le riforme che si renderebbero necessarie.
Carlo Cottarelli, I sette peccati capitali dell’economia italiana, Feltrinelli, Milano, 2018, 15 euro.
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Elisabetta Iossa
Mah. Alcune di queste considerazioni mi ricordano quelle che fanno della questione meridionale una questione culturale, che non è. Esse mancano di riconoscere che il capitale sociale è endogeno e dipende dalle istituzioni che governano il territorio e da quelle che lo hanno governato in tempi recenti.
Per aumentare il capitale sociale bisogna investire nelle istituzioni che governano il territorio, ristabilendo la fiducia in esse, bisogna combattere la mafia, l’illecito, il sopruso, la corruzione, ed investire nell’amministrazione pubblica, selezionando amministratori competenti e capaci, dando loro le risorse necessarie all’adempimento delle loro funzioni.
arthemis
Amministratori competenti e capaci, che devono tuttavia seguire procedure bizantine disegnate per cercare di limitare la ‘creatività’ dei cittadini nell’aggirare le regole e per tentare di dare ‘oggettività’ alle procedure di valutazione, visto che per definizione i vincitori non lo sono mai per merito ma per chissà quale altro motivo?
Marco Spampinato
Non condivido affatto l’idea che il concetto, molto variamente stiracchiato, di capitale sociale, sia la leva che tutto spiega nello sviluppo economico. Tantomeno che sia utile nel parlare di rispetto delle regole. Anche questo articolo mostra parte delle diverse interpretazioni del medesimo concetto che possano darsi. La sua utiità come “variabile indipendente”, figuriamoci se unica, è dubbia. Invito a leggere, con attenzione, i contributi in originale sul concetto. Ad es., l’articolo di Coleman (Social capital in the creation of human capital, The American Journal of Sociology, 1988) è interessante, ma ragiona a livello individuale, non si avventura a spiegare “divari territoriali” attraverso il “capitale sociale”. Ad un estremo metodologicamente opposto Putnam usa una teoria storico-istituzionale, ma la dimostra con indicatori medi territoriali su un sistema sociale, oggi anch’esso in crisi. Proporre poi quel sistema come modello è un modo privo di curiosità e interesse per altri percorsi storico-culturali. Sopratutto è poco credibile che non ci si accorga che la mafia è un brillante esempio di capitale sociale (in senso stretto e non vago o generico a la Putnam): la mafia assicura la chiusura di legami e contratti. Ed al suo interno, anche se asimmetricamente, il capitale sociale abbonda. Se si vuole parlare di regole (quali peraltro), che cosa c’entra il capitale sociale? Dal Nord cala la nebbia….
Henri Schmit
Carlo Cottarelli menziona il capitale sociale (e umano) come problema trasversale (evasione p. 36; corruzione 56; burocrazia 82; demografia 117; divario N-S 128) senza far figurare la sua scarsità fra i sette peccati capitali dell’economia italiana. Perché? I peccati denunciati nel saggio sono difetti strutturali che misure precise possono (provare a) correggere, ma non esistono strumenti tecnici per rinforzare il capitale sociale o umano. È l’esempio dei genitori, degli insegnanti, dei dirigenti, delle autorità, degli uomini politici che formatta il capitale sociale di una comunità. Il capitale sociale corrisponde a modelli comportamentali di bilanciamento fra valori spesso incompatibili. Un dilemma attuale molto discusso è fra competenza e onestà. Aiuta, ma non basta e non convince perché parziale e interessato, il moralismo politico del M5s. Un dilemma valoriale importante è la scelta fra equità effettiva e diritti acquisiti. Per consolidare un futuro capitale sociale bisogna abbandonare il formalismo giuridico e avere il coraggio di resettare le rendite pubbliche, stipendi alti della PA, pensioni d’oro, privilegi delle carriere pubbliche, concessioni contrarie all’interesse pubblico. Nei rapporti fra privati e lo Stato deve prevalere la giustizia pubblica, la legge sostanziale, il compact costituente, non presunti diritti privati se ritenuti abusivi o eccessivi. Senza l’accettazione di questa regola non ci può essere né capitale sociale né fede pubblica, temo
Marcello
Mi sembra che sia stato dimenticato uno dei nostri mali cronici: e cioè la presenza di malavita organizzata che è riuscita a infiltrarsi nel tessuto economico e forse anche di più in quello amministrativo. Questo malanno prospera sulla corruzione, sulla lentezza farraginosa della burocrazia e della giustizia, e alimenta un enorme giro di affari al di fuori della legalità e quindi della tassazione. L’altro grande problema, in comune con i paesi più sviluppati, è il dumping sociale da parte dei paesi meno sviluppati che fruiscono di manodopera a prezzi con cui non potremo mai competere, Questo rende difficile il consenso a riforme che accrescano la competitività e la concorrenza, se non si riesce a creare anche un quadro di corretta competizione e di intervento tempestivo per sanzionare chi non rispetta le regole. Di nuovo vengono chiamati in causa l’Amministrazione e la Giustizia sulle cui lentezze e cavillosità prosperano tanti interessi
francesco Zucconi
Credo che con l’adozione della moneta unica il “capitale sociale”della nostra nazione abbia subito il colpo più duro dopo quello della guerra civile 1943-1945. L’aumento della povertà in questo paese è gigantesco. La possibilità di attuare politiche tese a creare molti buoni posto di lavoro ben remunerati e sicuri, cemento di ogni vero capitale sociale, è azzerata. È possibile che un sistema ultraliberista come quello che sta alla base delle istituzioni europee possa far aumentare il capitale sociale dell’Italia? A me sembra una speranza non ben fondata.
Pal
Se invece di cercare sempre soluzioni “semplici” (l’uscita dall’Euro, la Patrimoniale, e tante altre anche recentemente suggerite) ci concentrassimo pragmaticamente su ogni singolo aspetto (sette peccati capitali) delle nostre mancanze, lavorandoci duro e ogni santo giorno (quindi non con interventi occasionali, straordinari e salvifici) forse otterremmo dei risultati concreti. Mi stupisce poi che in una analisi così esaustiva dei nostri “peccati” venga considerato solo marginalmente il debito pubblico. Più che al “capitale sociale” (meritorio ma dai tempi biblici) punterei a forme più immediate, condivisibili e riscontrabili. Un solo esempio : semplificazione burocratica, leggi più snelle, tempi certi, colpire con sanzioni pecuniarie e patrimoniali più che con condanne penali che nessuno sconta. Mi rendo conto della complessità dei problemi ma credo sia oggi indispensabile dare risposte visibili ai cittadini sfiduciati, in altro caso il “capitale sociale” non potrà che diminuire.
Michele
A mio giudizio 2 sono i drivers del capitale sociale: la scuola e i mezzi di comunicazione di massa (in particolare la TV). Su entrambi i fronti si è assistito negli ultimi 20/30 ad una progressiva svalutazione e degrado. Voluto. Molto voluto. La scuola pubblica è sotto attacco anche per creare un business privato della formazione. La TV è passata dal servizio pubblico che ha fatto gli italiani dandogli un linguaggio comune (un esempio per tutti il grande Maestro Manzi della RAI) ad una TV solo commerciale che – con la sua carica di individualismo antistatale – è l’esatto opposto del capitale sociale.
Henri Schmit
Il capitale sociale, i valori condivisi e la loro retta interpretazione e applicazione, dipendono anche da come si comportano i vertici dello stato. Ieri il presidente della repubblica ha ricevuto la delegazione di un gruppo parlamentare guidata da un uomo privato, molto potente, non eletto perché ineleggibile, condannato varie volte per frode a danno dello stato, corruzione di deputati, giudici, testimoni …. e nessuno protesta, nemmeno i nuovi rappresentanti dell’onestà prima di tutto. Siamo partiti male, un’altra volta, almeno per quanto riguarda il capitale sociale, che in questo paese è solo una categoria accademica.